5 NOVEMBRE – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO(A)

Nutriti lungo la vita terrena nell’Eucaristia con il Corpo e Sangue del Signore, ci prepariamo a conseguire i beni promessi nel cielo. Entrando in sintonia con il Signore,ÁÁÀ nell’ascolto e nella adesione con l’unico Dio, veniamo nutriti da lui che si è fatto uomo per nostro amore e, di conseguenza, dobbiamo mettere in pratica il Vangelo con tutto noi stessi.  Accogliendolo in noi, dobbiamo attuare uno stile di vita evangelico, che ci porta a condividere con il prossimo anche i beni terreni. Solo così possiamo sperare di conseguire i beni celesti. Questo vuol dire vivere in maniera esistenziale l’Eucaristia.

Nell’orazione iniziale preghiamo dicendo: « O Dio, creatore e Padre di tutti, donaci lo Spirito del tuo Figlio Gesù, venuto tra noi come colui che serve, affinché riconosciamo in ogni uomo la dignità di cui  lo hai rivestito e lo serviamo con semplicità di cuore. Per il nostro Signore Gesù Cristo... ».

Prima Lettura: Ml 1,14b-2,2b.8-10

Il Signore, per bocca del profeta Malachia, proclamandosi grande re,  il cui nome è terribile tra le nazioni, ammonisce i sacerdoti perché, se non lo ascolteranno e non si daranno premura  di dare gloria al suo nome, Egli manderà su loro la maledizione. Poiché essi hanno deviato dalla retta via, sono stati per molti d’inciampo  con i loro insegnamenti e hanno distrutto l’alleanza di Levi, il Signore li ha resi spregevoli e abietti davanti al popolo.

Il profeta, ricordando che tutti gli israeliti hanno un solo padre, sono stati creati da un unico Dio, si domanda perché si agisca  « con perfidia l’uno contro l’altro, profanando  l’alleanza dei nostri padri? ». Coloro che erano i custodi dell’alleanza, avrebbero dovuto camminare fedelmente nelle vie del Signore e osservare  le sue leggi, per cui, non rappresentando più il Signore davanti a tutto il popolo, essi sono divenuti spregevoli. Ogni ministero, sia il sacerdotale e sia ogni altra forma di servizio, deve risplendere per l’esemplarità del servizio, poiché è necessario imitare il Signore, che ci ha creati uguali e vuole che tutti gli uomini, creature o figli, debbano essere rispettati nella loro dignità.

Seconda Lettura: 1 Ts 2,7b-9.13.

San Paolo ricorda ai Tessalonicesi  come egli sia stato amorevole verso di loro, come una madre lo è con i propri figli, tanto che, essendo divenuti a lui cari, non solo il Vangelo ha desiderato trasmettere ma anche la sua stessa vita avrebbe voluto dare. In mezzo a loro, infatti, con duro lavoro e fatica, non ha voluto essere di peso ad alcuno, pur annunziando il Vangelo di Dio.

Così egli rende continuamente grazie a Dio perché, « ricevendo la parola di Dio » che egli ha annunziato loro, l’hanno « accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti ».

La tenerezza materna di Paolo per i cristiani a cui annunzia il Vangelo lo porta a non essere di peso ad alcuno e anche a poter dare, se necessario, la sua stessa vita per adempiere al ministero che il Signore gli ha affidato.

Vangelo: Mt 23,1-12.

Gesù, parlando alla folla e ai discepoli, li esorta a praticare e osservare tutto ciò che gli scribi e i farisei insegnano, ma a non agire secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno quello che insegnano. « Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito ». Inoltre essi fanno le loro opere per essere ammirati, allungano filatteri e frange, si compiacciono di posti di onore e primi seggi nelle sinagoghe, di essere salutati nelle piazze e di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Esorta ancora a non farsi chiamare” rabbì”, perché uno solo è il loro Maestro e loro sono tutti fratelli; né a chiamare  “padre” qualcuno, perché uno solo è il Padre loro, quello celeste; a non farsi chiamare “guide”, perché solo il Cristo è la loro guida. Esortando infine a vivere umilmente dice loro: « Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato ». L’incoerenza e l’infedeltà di non osservare quello che si vuole  insegnare agli altri non fa un buon servizio alla bontà dell’opera educativa, né alla Parola di Dio che si vuole annunziare. Non si può essere rigidi ed esigenti con gli altri e accondiscendenti con se stessi. La superbia, la volontà di dominio o essere onorati come “ maestri” o “padri”, sono atteggiamenti che  non si confanno con l’esempio del Cristo, né del Padre celeste: tutti siamo fratelli.     Un ministero, dunque, qualunque esso sia, deve esercitarsi come servizio ai fratelli e il più grande è colui che serve: non può un ministero ricercarsi per avere prestigio e onore, ma esige dedizione che promuove l’unità, la fraternità e l’amore vicendevole.