19 Novembre - XXXIII  DOMENICA del Tempo Ordinario

Vivere sempre pronti e vigilanti per l’incontro con il Signore.

Nella Colletta iniziale dell’Eucaristia di questa Domenica chiediamo a Dio, che affida alle « mani dell’uomo tutti  i beni della  creazione e della sua grazia », di fare in modo che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della sua Provvidenza,  rendendoci « sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo ritorno, nella speranza di sentirci chiamare servi buoni e fedeli e così entrare nella gioia del tuo regno».

Domandiamo a Dio che l’offerta del Corpo e Sangue del Signore, con la grazia di servirlo quindi con fedeltà e amore, ci faccia fruttare i doni che egli nella sua bontà  ci dona, perché così, come i servi della parabola del Vangelo di oggi, possiamo essere introdotti, essendo stati servi buoni e fedeli, nella gioia del suo regno. Nell’Eucaristia, allora, da cui attingiamo la forza di essere « operosi nella carità » e la pazienza, con cui affrontiamo le prove delle vicende liete e tristi della vita, alimentiamo la speranza, nell’attesa del suo avvento, di raggiungere  e godere il frutto « dell’eternità beata ».

Prima Lettura: Pr 31,10-.13.19,20-23.30.

Il Libro dei Proverbi, nella lettura che oggi riflettiamo, fa le lodi  della donna forte, il cui valore la rende superiore alle perle, perché, ella teme Dio, in lei può confidare il cuore del marito, a cui dà felicità e non dispiaceri. E’ dedita alla casa lavorando volentieri lana e lino con le sue mani, è previdente e generosa verso il  misero e il povero, e non  fa tanto affidamento sul suo fascino o sulla  sua fugace bellezza fisica,  a cui, purtroppo, oggi si tiene molto. Con tutto ciò la Scrittura non vuole porre   la donna in  una condizione di inferiorità rispetto all’uomo, perché Dio, creando « l’UOMO, a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina li creò », quindi in pari dignità e con gli stessi diritti e doveri, anche se con ruoli diversi in vari aspetti della vita. Un esagerato femminismo,  forse oggi, svaluta alcuni aspetti del ruolo della donna, fondandoli su un « concetto assoluto di libertà e di emancipazione ».

Seconda Lettura: 1 Ts 5,1-6.

La Parola di Dio di queste ultime domeniche dell’anno liturgico ci esorta a guardare  al giorno del giudizio in cui il Signore verrà d’improvviso, come un ladro di notte. Essa, più che descrivere gli eventi futuri, cioè escatologici, in maniera precisa di come accadranno e di cui non possiamo fare né calcoli né illusioni, mette in evidenza la necessità di prepararsi a quella fine, facendo fruttare i doni di Dio, vigilando e vivendo con sobrietà per non essere appesantiti nel sonno dello spirito da vari adagiamenti, per non essere sorpresi nel giorno in cui il Signore, certo, verrà per introdurci nella sua luce e nella gioia del suo regno.

La vita terrena dei cristiani, così come di tutti gli uomini, è da considerarsi vigilia  di “una esistenza diversa” o vigilia del “nulla”? Attesa operosa per il bene proprio e dell’intera umanità in vista di un traguardo in Dio o esistenza senza senso per sé e per gli altri, e solo per il perseguimento di mete terrene e fugaci? Se diciamo di amare il Signore, dice un padre della Chiesa, non dobbiamo aver paura della sua venuta, perché, diversamente, che razza di amore sarebbe il nostro? Allora perché non impegnarci a vivere con cuore attento e attività operosa, con il vivo desiderio di  incontrare il Signore che viene, anche se non ne conosciamo il momento e l’ora? L’atteggiamento vigilante non deve farci perdere l’attenzione e la consapevolezza della nostra vita e della storia.

Vangelo: Mt 25,14-30.

La parabola del Vangelo ci esorta a riflettere sui doni che Dio ci dà, per collaborare al suo progetto di salvezza, e su come li abbiamo fatto fruttare per realizzare la nostra esistenza, non solo a nostro beneficio ma anche per gli altri. Nel giudizio finale ognuno dovrà rispondere personalmente dell’impegno posto durante la  vita a rendere tutti i doni di Dio, pochi o molti che siano, non solo la propria vita e le doti personali ma anche quelli comunitari, sociali e ambientali, i doni di grazia, fruttuosi per sé e i fratelli, mettendoli continuamente in gioco valorizzandoli. Possiamo anche seppellirli o rifiutarli non capendo così il significato che essi hanno per noi e gli altri, come ha fatto il servo pigro e infingardo. La fedeltà  e la laboriosità devono, invece, contraddistinguere l’agire del credente e di ogni uomo di buona volontà, perché, volenti o nolenti, dobbiamo rendere conto a Colui che ce l’ha dati da amministrare. Per il buon uso di essi, possiamo attendere il plauso di Dio  e la sua accoglienza nella  gioia del suo regno. Certamente la pigrizia, la negligenza colpevole o l’atteggiamento del servo, che ha sotterrato il talento e lo ha restituito al padrone con insolenza accusatoria, non possono essere premiati. Gesù ci esorta, dunque, a prendere, nel presente della nostra vita, l’impegno per il Regno di Dio, con fedeltà  creativa al suo insegnamento, se vogliamo nel futuro partecipare alla gioia della comunione con Lui nella gloria.