11 Maggio – IV  Domenica  di   Pasqua.

Cristo Gesù che ci libera, ci conduce alla salvezza.

Gesù che si presenta come il buon pastore è, ancora oggi, colui che accudisce, guida e conduce il popolo di Dio. Egli dice che al di fuori di lui non c’è salvezza e senza la sua croce non c’è risurre-zione.

La Chiesa, che ha come origine e punto di arrivo Cristo, è chiamata a mettersi a servizio dell’umanità e a rinnovarla con il suo sacrificio.

A volte ci domandiamo, attanagliati dal dubbio, più o meno doloroso, più o meno violento: e se Dio non esistesse? Spesso tale situazione di crisi può essere positiva per una fede più autentica. Infatti,  a seconda di come pensiamo Dio, assumiamo di conseguenza  atteggiamenti e realizziamo relazioni diverse con lui.

Ogni credente dovrebbe porsi la domanda: « Chi è Dio per me? »;« In chi ripongo la mia fiducia di salvezza? ». Il cristiano, come dice San Pietro, è colui che con certezza accoglie il messaggio che « Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che avete crocifisso ». Forse anche noi, se fossimo stati lì, anche non operando in solido per la sua crocifissione materialmente, saremmo stati come gli undici: dovremmo convincerci che Gesù non è stato crocifisso solo per il peccato di quelli soli. La sua  morte ha una portata universale: è morto per tutti, di ogni tempo e di ogni luogo.

La sfida dell’incredulità può essere vinta con l’atteggiamento di affidamento, di abbandono in Dio, come ha fatto Gesù nel momento della prova.

Con la parabola del Buon Pastore Gesù ci dice che egli conosce, chiama, conduce, cammina davanti alle sue pecore e queste riconoscono la sua voce e lo seguono. Con questa similitudine, facilmente compresa dagli uomini di allora, Gesù vuol farci comprendere la relazione che si pone tra lui e coloro che sono suoi discepoli: una relazione di appartenenza « siamo sue pecore », di affezione « ci conosce uno ad uno e ama »,  di  guida « come il pastore che sta alla testa delle sue pecore » che lo seguono con fedeltà e amore. Il pastore conduce le pecore verso la libertà di « pascoli ubertosi ».

L’ immagine del buon Pastore, che tratta e accudisce le sue  pecore con amore e sollecitudine, è ben diversa da quella  di un Dio che incute timore, ma comporta, da parte delle pecore, una relazione esclusiva con il Pastore: relazione nuova che ci fa accogliere Cristo come porta d’ingresso nella salvezza. Essendo egli rivelazione del Padre, è mediazione unica fra Lui e l’umanità. Egli è l’unica guida alla libertà, che è dono gratuito, salvezza ricevuta, accettata e corrisposta con amore.

La giustificazione che Dio ci dà è sempre dono gratuito.

Un « umile gregge »di fedeli: siamo chiamati così oggi in una preghiera. Ma un gregge con il proprio pastore, Gesù risorto. Si tratta di seguirlo con sapienza e costanza, di riconoscerne la voce, e di lasciarsi condurre da lui, mentre siamo « fra le insidie  del mondo ». Saremmo sprovveduti se chiudessimo gli occhi su queste insidie o se pensassimo di potercene preservare da soli. Come pastore, Cristo « ci guida alle sorgenti della vita»: è vita la sua parola, lo sono i suoi sacramenti, che ci risanano e ci legano a lui. L’immagine del gregge richiama quella dell’unità. Gesù « raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia ». L’unità dipende anche da ciascuno di noi, nella misura in cui supera e vince tutti i motivi di divisione, anche i più nascosti.

Prima Lettura: At 2,14.36-41.

Un crocifisso, Gesù di Nazaret, costituito Signore e Messia: è quanto predica san Pietro suscitando in quelli che hanno messo in croce il Cristo una trafittura del cuore, il pentimento, la domanda del Battesimo. I frutti di questa accoglienza sono: la remissione dei peccati, l’effusione dello Spirito Santo, l’appartenenza alla comunità cristiana. E’ quello che è avvenuto per noi: conversione, Battesimo, perdono, grazia dello Spirito, inserimento nella Chiesa. Se la conversione non ha preceduto il nostro Battesimo, essa deve avvenire giorno per giorno; se non abbiamo appeso Gesù alla croce, però i nostri peccati vi hanno gravato.

Seconda Lettura: 1Pt 2,20-25.

San Pietro in questa lettura afferma che Gesù è modello, esempio di vita e artefice della salvezza. Se la passione è frutto dell’obbedienza di Gesù al Padre e al progetto di salvezza da questi disposto, con il gesto di donare la vita del pastore per le sue pecore, Gesù esprime la sua solidarietà con gli uomini che vengono costituiti suoi fratelli. Egli raduna, come il pastore le sue pecore, i figli di Dio che erano dispersi e custodisce le anime dei credenti nell’ « ovile del Padre », realizzando così la figura biblica del messia pastore. La salvezza che egli porta passa attraverso la croce (1Pt 2,24), strumento della nostra vita, perché Gesù dice di « essere venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore »(Gv 10,10-11).

La sopportazione paziente della sofferenza ha un modello concreto: Cristo, che ha patito per noi, che ha accettato con fiducia e mansuetudine gli oltraggi, che ci ha guarito proprio con le piaghe aperte sul suo corpo dai nostri peccati. In qualche situazione siamo anche noi oggetto di persecuzione, di ingiustizia. Non può mancare, come atteggiamento fondamentale e decisivo, l’affidamento che rimette la nostra causa « a colui che giudica con giustizia », a Dio che tiene conto di tutto. Questa certezza induce anche al timore. Non illudiamoci: Dio ci giudicherà con giustizia, e non ci sarà scusa per nessuna furbizia, anche se prima sarà riuscita a ingannare gli uomini.

Vangelo: Gv 10,1-10.

Pastore esemplare nella Chiesa è Gesù: è lui a guidare i credenti. Nel brano di Vangelo di Giovanni egli si presenta come la « porta delle pecore », attraverso la quale esse passano per entrare nell’ovile e per uscire al pascolo. L’immagine rende la figura di Gesù mediatore. Non ci sono altri spazi e altri passaggi di salvezza: « Se uno entra attraverso  di me, sarà salvato ». L’area della redenzione è tutta ricoperta dalla sua opera. Ossia: dal suo sacrificio, essendo venuto a dare la vita e a darla in abbondanza con il dono di se stesso. Cristo è così l’antitesi del ladro, dello sfruttatore. Il Signore risorto è il pastore della Chiesa: è lui che essa ascolta, di lui segue il cammino. Attenzione quindi ma non seguire altre voci e altri capi: sono estranei tutti quelli che non passano da lui. E’ un richiamo a quanti nella Chiesa hanno il ministero, perché rappresentino fedelmente Cristo; ed è un invito a rendere grazie perché nell’episcopato, in comunione con il Papa, siamo sicuri di trovare il segno visibile di Gesù pastore e porta.