6 LUGLIO – XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

« Donaci una rinnovata gioia pasquale »: è la preghiera di una colletta di oggi E infatti questa gioia che si rinnova è la grazia propria della domenica, pasqua settimanale della Chiesa.

Ma deve essere chiara la condizione di questa gioia: dobbiamo essere « liberi dall’oppressione della colpa », da quel giogo del peccato che ci chiude in noi e ci immiserisce sempre più. Tutto diverso è invece « il giogo soave della croce », che ci sgombra il cuore, ci rende « poveri, liberi ed esultanti », a imitazione di Cristo nella sua « umiliazione », e quindi disponibili proprio perché non più attaccati a noi stessi, a portare « in ogni ambiente di vita la parola d’amore e di pace », il Vangelo che è annunzio ed esperienza di gioia pasquale.

Le letture della liturgia di oggi ci parlano di un Messia umile. Secondo le parole del profeta Zaccaria egli si manifesta al mondo cavalcando un asino. E’ Gesù il Messia mite ed umile di cuore annunziato dal profeta che chiama a sé gli affaticati e porta la salvezza del Padre.

Prima Lettura:  Zc 9,9-10.

La vittoria del Signore non è nella prepotenza, ma nella giustizia. Alla sua mite ed umile venuta scompaiono i segni e gli strumenti della guerra. I valori terreni sono capovolti: non contano le sicurezze della regalità mondana.  Si trovano a valere l’umiltà e la giustizia.

Il re con queste prerogative è il Messia, e sarà Gesù di Nazaret , nel suo ingresso in Gerusalemme, a realizzare questa profezia e a essere motivo di gioia grande. Infatti porterà il Vangelo, annunzio e grazia gioiosa di liberazione.

Seconda Lettura: Rm 8,9.11-13.

La carne e lo Spirito: sono due mondi antitetici.

Il primo è l’uomo di carne, intesa non solo come « corpo » o « sessualità », ma in tutta la sua realtà di fragilità, di debolezza, di condizione di schiavitù sotto il potere del peccato e in quanto si oppone a Dio, alla sua azione e alla sua  signoria.

 Il dominio della carne si manifesta quando la superbia, l’orgoglio, peccati difficili da riconoscere e più pericolosi, possono rivestirsi esteriormente di devozione  e inducono l’uomo a ridurre Dio ad oggetto del proprio pensiero, manipolandolo, possedendolo e dominandolo,  pervertendo così le dimensioni più nobili dell’animo umano.

Il secondo è invece l’uomo spirituale, che vive nel regno della grazia, animato dallo Spirito, che inabita in lui e che lo unisce, lo fa appartenere a Cristo e gli assicura la risurrezione con lui.

Nella relazione con Dio l’uomo spirituale riconosce che tutto gli viene per grazia e, nel percepire la sproporzione della gratuità, diventa cosciente del dono di sé che Dio, immeritatamente, gli offre.

In un contesto di rifiuto della rivelazione che Gesù fa e delle sue opere, la fede  dei piccoli, degli umili, più che essere conquista  deve essere libera risposta dell’uomo alla Parola che lo raggiunge, lo interpella e lo coinvolge e non orgogliosa presunzione di sapere su Dio, che nella sua benevolenza, si rivela ai piccoli e agli umili: « Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza »(Mt11,26). 

La condotta del cristiano deve rivelare la  presenza in lui dell’azione dello Spirito di Cristo e manifestare l’assoluta novità del suo modo di vivere.

Egli fa « morire le opere del corpo »: non certo la sua realtà corporea e fisica, ma quella che è mossa dal male. Carne qui per Paolo e tutto ciò che si oppone a Cristo, al Vangelo, allo Spirito Santo.

Vangelo: Mt 11,25-30.

Chi è superbamente ingolfato in se stesso, nei propri pregiudizi, nella propria bravura e nella propria illusoria giustizia, non riesce a comprendere il mistero di Gesù. Non riesce a conoscerlo e ad amarlo. La rivelazione di Gesù è concessa come grazia « ai piccoli », agli umili, aperti alla Parola di Dio. Questi, affidandosi a Cristo nei loro affanni, nella loro situazione di dolore, di disagio, di rifiuto da parte dei potenti, di prova, trovano serenità e pace.

Nella ricerca teologica o nell’accogliere la rivelazione di Dio da parte di qualunque credente, è necessario un atteggiamento di umiltà, la consapevolezza della propria piccolezza in ragione della sproporzione che vi è fra lui e Dio.

 Il Vangelo non è un giogo che schiaccia, ma un sollievo per chi lo viva con sincerità e coerenza.