27 MARZO – IV DOMENICA DI  QUARESIMA – “ LAETARE”

Nell’appressarsi della Pasqua affrettiamoci, con “ fede viva e generoso impegno ”, a vivere riconoscendo Gesù, quale Figlio di Dio, che è mandato dal Padre  perché gli uomini, come il cieco nato che Gesù guarisce dalla cecità, possano vedere il cammino che Egli ci indica per ritrovare la strada di ritorno alla casa del Padre. Gesù è venuto per guarirci dalla cecità spirituale, liberarci dalle tenebre del peccato, dai « morsi del maligno ».

Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia chiediamo a  Dio, buono e fedele, che mai si stanca di richiamare gli erranti a vera conversione e, nel suo Figlio innalzato sulla croce che ci guarisce dai morsi del maligno, a «donarci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore ».  Quando allora ritorniamo come figli pentiti al suo abbraccio paterno torniamo a gustare la gioia nella cena pasquale dell’ Agnello, come il figlio prodigo per il quale il padre prepara una festa per averlo riavuto sano e salvo.

Nella  Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che in Cristo crocifisso e risorto offri a tutti i tuoi figli l’abbraccio della riconciliazione, donaci la grazia di una vera conversione, per celebrare con gioia la Pasqua  dell’Agnello ».

Prima Lettura: Gs 5,9.10-12.

Giunti a Galgala gli Israeliti celebrarono la Pasqua al quattordici del mese e il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, azzimi e frumento abbrustolito. Dal giorno seguente la manna cessò. Raggiunta la terra promessa, viene celebrata la Pasqua, memoriale della liberazione, che accompagnerà Israele lungo la sua storia. La Pasqua non sarà un semplice ricordo di un  avvenimento di tanti anni fa, ma dovrà essere il segno che assicurava la presenza e la grazia del Signore. Quell’antico riscatto di liberazione  è, pur sempre, per noi cristiani, inizio e immagine, come la terra di Canaan, della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha liberato l’umanità dal peccato per introdurla nella Pasqua eterna del cielo: terra promessa definitiva in cui introdurrà l’umanità nella fase finale della storia di salvezza.

Seconda Lettura: 2 Cor 5,17-21.

San Paolo, ai Corinzi, ricorda che ormai chi è in Cristo è una  creatura nuova. Questo  rinnovamento viene da Dio che ha riconciliato l’umanità con sé mediante Cristo e ha  affidato agli apostoli il ministero della riconciliazione.

Dio così, riconciliando con sé il mondo, non imputa agli uomini le loro colpe e mediante la parola affidata agli apostoli rende  questa riconciliazione salvifica nella vita degli uomini. Esorta ancora i Corinzi a lasciarsi riconciliare con Dio: «In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo; lasciatevi riconciliare con Dio », perché Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo ha fatto peccato   in nostro favore  e per lui noi siamo diventati giustizia di Dio.

Cristo è morto per noi per amore e  noi dobbiamo rispondere a questo amo- re donando la nostra per lui. Viviamo in Cristo, morto e risorto e,  vivendo da « nuove creature » rigenerate dalla sua grazia, iniziamo un cammino nuovo di vita santa, abbandonando tutte le cose di peccato passate. Siamo riconciliati con Dio, ricevendo il perdono completamente gratuito suo e senza nostro merito, poiché è di Cristo il merito. Il Sacramento della Riconciliazione, in Quaresima, è certamente un’occasione per vivere intensamente la riconciliazione e attingere copiosamente il perdono di Dio, attraverso il ministero della Chiesa.

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.

Il Vangelo di questa Domenica, attraverso una delle pagine più belle, la parabola del figlio prodigo, ci fa riflettere e contemplare l’amore grande, misericordioso di Dio nel confronti del figlio minore, da una parte, che si allontana dalla casa del Padre, dal suo amore e, usando negativamente i suoi doni e i suoi benefici, si riduce in una condizione deplorevole e degradante, e verso il figlio maggiore, dall’altra,  che non vuole riconoscere né accogliere il fratello che ritorna a casa e,  pur facendogli presente, davanti alle sue lamentele,  che di tutto lui poteva disporre di quello che era in casa, si rifiuta di entrare e partecipare alla festa che il padre ha preparato per il figlio ritrovato. E’ certo la parabola narrata da Gesù in riferimento ai peccatori e pubblicani  che venivano rifiutati ed emarginati da coloro che si ritenevano giusti, scribi e farisei. Ma in essa, al di là del contesto storico di allora, dobbiamo vedere tutti gli uomini. Nel figlio minore sono prefigurati coloro che, come uomini usando negativa-mente i doni che Dio dà ad ognuno o nel contesto religioso di fede si allontanano dal Signore e riducono la loro dignità, come si era ridotto il Figlio prodigo, costretto per sopravvivere a pascolare i porci: per tutti costoro Dio aspetta che ritornino al suo amore, li accoglie nella sua misericordia e per loro  prepara la  festa. Nel figlio maggiore coloro che pur non  allontanandosi da Dio, nell’una o altra situazione di vita, di credenti o meno,  non sanno vedere i doni che Dio dona, il bene che nella sua provvidenza  elargisce e pensano che Dio non li tratti secondo i loro desideri, e per di più, non riconoscono il suo amore e non accettano di far festa per i fratelli che ritor- nano all’amore del Padre, Lontano da Dio l’uomo cerca la sua autonomia, credendo di realizzare meglio la vita. Ma la conclusione di questa esperienza può essere la fame, l’umiliazione, la vergogna, la solitudine. Solo quando l’uomo tocca il fondo del degrado nella sua dignità, ritorna alla memoria della dignità perduta, la coscienza si illumina e può riprende un cammino di ritorno. Ritornando a casa, il figlio della parabola dice al padre: « Padre ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio ».  Dio, come quel padre,  attende con amore paterno l’uomo che ritorna a lui e non cessa di aspettare per riabilitarlo e restituirlo  nella dignità filiale, rivestendolo « Col vestito più bello … mettendogli l’anello al dito e i sandali ai piedi » e preparandogli una festa, perché « Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato ».L’atteggiamento di Dio  indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrarsi con il cuore del Padre celeste, ritenendo di avere diritti per aver servito in casa per tanti anni e non aver disobbedito a Dio. Gesù così, accogliendo i peccatori, suscita stupore nei farisei che mormorano. Ma Gesù ha proclamato che: « Si fa più festa in cielo  per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione ».