14 APRILE  - GIOVEDI’  SANTO

Nel Triduo pasquale, in cui celebriamo il mistero della morte e risurrezione, il primo grande incontro di questo evento del mistero pasquale è l’ultima Cena, l’istituzione dell’Eucaristia.

L’Eucaristia è il sacramento della passione e della morte di Gesù, che egli lascia ai discepoli prima di consegnarsi ai suoi carnefici per rendere la sua presenza nel tempo della sua assenza. La celebrazione della Cena è un dono che ancora oggi accompagna la vita della Chiesa ed  è un impegno di vita per coloro che si pongono alla sua sequela. Nel banchetto del pane e del vino i discepoli faranno memoria del Signore ed entreranno  in comunione con il suo Corpo e con il suo Sangue.

Nell’Eucaristia Gesù rende presente e disponibile la sua carità, il suo consegnarsi per noi. In essa egli ha affidato  « alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore ». Quello che egli fa è all’opposto di ciò che compie Giuda. Questi lo vende, come fosse una cosa; Gesù invece si offre, come « vittima di salvezza ». Restiamo stupefatti e partecipi di questa umiltà di Cristo, che ci purifica dalle colpe, che si mette ai nostri piedi, che continua a lavarci la coscienza, che ci insegna a prendere l’ultimo posto, che genera ala nostra fraternità. Soprattutto questa sera sentiamo di formare, « qui riuniti, un solo corpo », perché Cristo ci ha raccolti. « Via le lotte maligne, via le liti, e regni in mezzo a noi Cristo Dio ».

Prima Lettura: Es 12,1-8.11-14.

Nello sfondo della Pasqua ebraica, in cui Israele deve mangiare l’agnello e con il sangue, a protezione, tingere  gli stupiti delle case, segno e memoriale del passaggio di Dio e della liberazione, si colloca la celebrazione dell’Ultima Cena di Gesù. Intuiamo immediatamente che si tratta di un simbolo dell’Agnello di Dio, Gesù, che, immolato, toglie i peccati del mondo e muore sulla croce come l’agnello pasquale vero, nel cui sangue siamo liberati dal peccato. Ogni volta che riceviamo l’Eucaristia rinnoviamo la Pasqua e mangiamo  del vero agnello, Cristo Gesù, immolato sulla croce.

Seconda Lettura: 1 Cor 11,23-26.

La Chiesa di Corinto aveva perso il senso dell’Eucaristia. Paolo allora ritraccia l’immagine originale del banchetto cristiano. Esso, che è la Cena del Signore, risale all’iniziativa e all’invenzione di Cristo, che all’Ultima Cena, nel segno del pane e del vino, consegna il suo Corpo e il suo Sangue, cioè il sacrificio di se stesso. Non vi si può prendere parte in qualunque modo, ma con il proposito di entrare in comunione viva con la passione e la morte di Gesù, per risorgere con lui.

Vangelo: Gv 13,1-15.

Per l’evangelista Giovanni, nella celebrazione della  « Festa di Pasqua », Gesù vuole celebrare una Pasqua diversa da quella ebraica « sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre ».  Accogliendo liberamente la volontà del Padre,  offre, nella sua passione  e morte, la vita per amore degli uomini. Nel contesto della sua Passione, che ha per contraltare l’istituzione dell’Eucaristia, raccontata dai Sinottici a questo punto della vita di Gesù, è la chiave per comprendere il gesto che Giovanni, nel vangelo di oggi,  racconta: l’umile gesto della lavanda dei piedi che Gesù fa ai discepoli.  Egli « avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine »: e il segno di questo amore estremo, illimitato, è il dono che egli fa di se stesso. E’ la sua vita resa usufruibile per i suoi.  La lavanda dei piedi è come il simbolo di questa donazione: Gesù è venuto per servire. L’amore non è vero se non serve. Gesù sa di essere « il Signore e il Maestro », ma non per questo eserciterà la potenza ma porterà al massimo l’amore.

C’è un richiamo all’interno del vangelo di Giovanni: sulla croce, morendo Gesù dice: « Tutto è compiuto». Usa la stessa parola che, posta in questi due momenti dell’ultima Cena e della croce, dice la qualità dell’amore. Questo estremo amore si esprime con il gesto del deporre le vesti e cingersi il panno. Del gesto Gesù dice due cose: « Se non ti laverò  i piedi non avrai parte »; e : « Vi ho dato un esempio, infatti, perché come ho fatto io, facciate anche voi ». Il gesto di Gesù ci interroga: l’estremo limite dell’amore dice povertà radicale, umiltà, servizio. Questa povertà ben espressa dall’Eucaristia. Dietro quella povera forma vi è la gloria del Risorto. Il sacramento più caro alla Chiesa, così estremamente debole.

Resistenze all’amore; amore divinizzante.

Il povero gesto di Gesù, così denso di significato, non è compreso neppure da Pietro. Un amore così radicale, che cerca la comunione muove subito delle resistenze. Pietro, come noi, è resistente alla radicalità di una tale gratuità. Vi possono essere diverse cause di resistenza. Per accettare un tale amore bisogna riconoscersi  peccatori salvati, allontanando ogni presunzione di auto salvarsi. Bisogna abbandonarsi alla salvezza offerta gratuitamente da Dio che cerca la comunione con noi.  Ecco che l’Eucaristia è sacramento della presenza di Cristo nella sua Chiesa e della comunione di chi crede in lui. Il gesto ancora ci convoca a fare come Gesù, ad consegnarci ai nostri fratelli e al mondo. L’esempio di Gesù allora più che dare un imperativo morale vuole fare di noi, nel nostro amore radicale, altri Cristo. E’ un gesto allora divinizzante, perché dove « c’è carità e amore, qui c’è Dio ».

Il rito della lavanda dei piedi è ricco di significato profetico: è la norma della vita interiore della Chiesa ( la carità), una testimonianza di fede. E’ rendere  presente Dio, è la nostra beatitudine. Ci riporta al gesto umile di Gesù, che proclama il primato di chi serve il prossimo, non di chi lo domina. In questo gesto Gesù prefigura la sua passione, che è un servire e un dare la vita per la redenzione degli uomini. Gesù che lava i piedi ai discepoli richiama anche l’Eucaristia, dove prosegue il servizio di amore; richiama insieme la purezza di cuore per prendervi parte, e infine il sacramento del Battesimo, che lava e rende commensali di Cristo

 

15 APRILE – Venerdi’ Santo « In PASSIONE  DOMINI»

Commemoriamo nel Venerdì Santo la morte del Signore. Lo vediamo come il Servo; su di lui pesano le nostre colpe, ma dalla sua umiliazione viene il nostro riscatto. Dalle piaghe di Gesù sono risanati gli uomini.

Oggi è il giorno dell’immensa fiducia: Cristo ha conosciuto la sofferenza, da lui riceviamo misericordia e in lui troviamo grazia. E la imploriamo per tutti gli uomini nella preghiera universale.

Oggi è il giorno della solenne adorazione della croce: lo strumento del patibolo è diventato il termine dell’adorazione da che vi fu appeso il Salvatore del mondo.

Siamo sempre sotto la croce. Non c’è momento, non c’è situazione dove non entri la croce a liberare e a salvare. Infatti essa si manifesta in noi ogni giorno, se siamo discepoli fedeli del Signore. Non chiediamogli tanto di discendere  dalla croce, quanto di avere la forza di restarci con lui, nella speranza della risurrezione.

Prima Lettura: Is 52,13-53.12.

Dal « Servo di Dio «, « schiacciato per le nostre iniquità », e dalla sua intercessione per i peccatori, ci viene la liberazione e il perdono. Questo servo misterioso porta già in sé i segni e le vicende della passione e del dolore di Cristo, per mezzo del quale sarà compiuta « la volontà del Signore », cioè il piano di redenzione del genere umano.

Seconda Lettura: Eb 4,14-16; 5,7-9.

Non dobbiamo trascurare l’aspetto doloroso della nostra redenzione, cioè la sofferenza e il sacrificio del Figlio di Dio sulla croce, la sua consegna al Padre, la sua obbedienza e preghiera che Dio ha ascoltato, richiamandolo dalla morte con la risurrezione. Per questa obbedienza, che ce lo ha reso intimamente socio e partecipe della nostra umanità, il suo sacrificio è stato gradito e noi siamo stati salvati. Dobbiamo essere in comunione con l’obbedienza di Gesù: questo vuol dire fare la volontà di Dio.

L’intercessione di Cristo continua, ed è garanzia della sua fedeltà a noi, ed è aiuto per la nostra risposta a lui.

Vangelo: Gv 18,1-19.42.

Gesù compie la sua passione nell’affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. E’ lasciato solo, tradito, rinnegato: è « l’uomo solo » che muore « per il popolo ». E tuttavia appare nella sua regalità. I segni di essa, presi per irrisione dai soldati e dagli altri, ne sono l’indice profetico e misterioso. Ma per capirlo bisogna essere dalla parte della Verità, bisogna entrare nel disegno di Dio.

« Io sono re » dice Gesù « Chiunque è dalla Verità, ascolta la mia voce ». Noi incontriamo Cristo e ne siamo redenti a questa condizione. Pilato con la sua cieca e pavida viltà non si trova da questa parte e lo consegna. Lo consegniamo ogni volta che pecchiamo, che preferiamo la menzogna.

Emerge nella passione la lucidità, la determinazione di Cristo. Egli non è uno offuscato  e spezzato. In quel momento è tutta la Scrittura che si compie in lui, ed egli è consapevole. Ascoltiamo le sua parole, e accogliamo il suo testamento. Ci lascia la Madre sua, Maria; e proclama la sua sete: è la sete che ha dell’amore del Padre e degli uomini.

E’ l’agnello vero pasquale; la fonte dell’acqua e del sangue, dello Spirito che disseta, e del sacrifico che redime. E’ il trafitto che attrae lo sguardo e il desiderio dei popoli. Sul Calvario avvengono le vicende in Gesù che interessano  la storia di tutto il mondo, di ogni tempo: la storia della nostra comunità che sta celebrando la Pasqua, della nostra anima che una volta ancora riceve la grazia di questa contemplazione e dei suoi frutti. L’avvenimento è passato, ma il suo segno, la sua grazia, la sua efficacia, rimangono.