24 APRILE – II  DOMENICA DI   PASQUA – Anno C.

Domenica in Albis o « della Misericordia ».

In questa Domenica « in Albis », chiamata così per la veste bianca, simbolo della rigenerazione avvenuta nel battesimo ricevuto la notte di Pasqua; o anche  « della divina Misericordia », per il mandato che Gesù dona agli apostoli, la sera della risurrezione, apparendo loro e dando lo Spirito Santo. La Chiesa ripensa all’opera di Cristo, morto per gli uomini, e ci fa riprendere coscienza del nostro Battesimo, che è stato il nostro ingresso nel suo mistero pasquale. Alle meraviglie operate da Dio in noi, alla rigenerazione operata in Cristo, mediante la nostra partecipazione alla sua morte e risurrezione, dobbiamo far corrispondere il frutto di una vita nuova, dando una testimonianza nelle nostre opere di Gesù Vivente. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia ci rivolgiamo al Padre dicendo:« O Padre di misericordia, che in questo giorno santo raduni il tuo popolo per celebrare il memoriale  del Signore morto e risorto, effondi il tuo Spirito sulla Chiesa perché rechi a tutti gli uomini l’annunzio della salvezza e della pace ».

Prima Lettura: At 5,12-16.

La lettura di oggi degli Atti ci propone la vita che conducevano coloro che avevano accolto l’annunzio pasquale degli apostoli e che avevano aderito alla fede nel Signore risorto: « Tutti erano soliti stare insieme, nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava ». Nuovi credenti si aggiungevano e portavano ammalati  persino nelle piazze, con lettucci e barelle, perché anche la sola ombra di Pietro, passando tra loro, coprendo qualcuno venisse guarito. Dalle città vicine a Gerusalemme la folla accorreva e portava malati e persone tormentate da spiriti impuri e venivano guariti. La comunità del Signore cresceva per la fede nel Signore, per la parola, la testimonianza degli apostoli e anche per le guarigioni che avvenivano, come per lo storpio guarito, che chiedeva l’elemosina alla Porta Bella del tempio, nel nome di Gesù. I miracoli  di Gesù continuavano così ad opera degli apostoli: tutto questo era segno della presenza già operante del Regno di Dio, che Gesù aveva instaurato tra gli uomini Erano segno della redenzione spirituale e del rinnovamento degli uomini. Anche le guarigioni, che avvenivano nel corpo, erano preannunzio della pienezza della risurrezione finale, inaugurata da Cristo risorto, primizia della risurrezione di tutti.

Seconda Lettura: Ap 1,9-11.12-13.17-19.

San Giovanni apostolo, all’inizio  del Libro dell’Apocalisse, ci descrive, mentre si trovava nell’isola di Patmos, preso dallo Spirito, nel giorno del Signore, quello che una voce potente, come di tromba,  dietro di lui gli disse: « Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese ».

Oltre alla voce, vide, voltandosi, sette candelabri d’oro e in mezzo ad essi un Figlio d’uomo, con abito lungo e con una fascia d’oro al petto. Cadendo come un morto ai suoi piedi per la visione, egli, toccandolo con la destra, gli disse: « Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi », e gli intimò di scrivere le cose presenti viste e quelle che devono accadere in seguito. Nel Giorno del Signore, cioè la Domenica, Giovanni fa la memoria del Signore risorto. Questo giorno, assimilato agli altri giorni, porterebbe facilmente, come di fatto accade, a dimenticarsi di Cristo e svanirebbe la memoria del Signore nella Eucaristia.

Giovanni vide Gesù morto e risorto, il Primo e l’Ultimo, il Vivente, colui che sostiene la storia e le conferisce significato e continua rinascita. Per la fede cristiana è il Signore Gesù che conduce ugualmente a compimento il disegno salvifico di Dio, poiché egli vive per sempre e ha potere sulla morte e sulle forze infernali degli Inferi. Dobbiamo quindi sentire viva la vittoria di Cristo sulla morte, nutrendo nel cuore fiducia incrollabile nella potenza della sua resurrezione, perché anche a noi dice: « Non temere!». E soprattutto, quando siamo presi dalla sfiducia e dall’avvilimento nei momenti di scoraggiamento, sentircelo dire ci fa riprendere il cammino della testimonianza di lui con coraggio e perseveranza, come ci testimonia Giovanni, relegato nell’isola di Patmos, a causa della Parola di Dio e della sua testimonianza del Signore.

.Vangelo: Gv 20,19-31.

Nel brano evangelico riviviamo l’incontro che avvenne, il giorno dopo il sabato, primo giorno della settimana,  di Gesù risorto con gli apostoli, a cui  dona la sua pace e  l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia, la gioia, la speranza, per cui dà mandato, dopo aver effuso il suo Spirito su di loro, di perdonare i peccati nel suo nome.

Così  con l’effusione dello Spirito, ci possono essere rimessi i peccati: la Chiesa, con la missione affidata ad essa tramite il ministero degli apostoli, è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. Non sono i ministri della Chiesa che tra- smettono la propria santità ma lo Spirito che rinnova  e purifica la vita.

In questo primo incontro non è presente Tommaso, a cui i dodici dicono di aver visto il risorto. Poiché egli dice loro che non avrebbe creduto se prima non avesse visto i segni dei chiodi e toccato le sue piaghe, Gesù riappare otto giorni dopo, e a Tommaso che era presente, gli dice: « Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente! ». Davanti a tutto questo Tommaso esprime la sua professione di fede,  riconoscendo  Gesù come Signore e Dio. Se noi, come dice Gesù a Tommaso, crediamo senza aver visto e sperimentato saremo beati. E se  accogliamo, come scrive san Giovanni nel Vangelo, i segni che sono stati scritti su Gesù e la sua opera, credendo che Egli  è il Cristo, il Figlio di Dio, allora avremo la sua vita divina nel suo nome.

Ecco chi è Gesù ed ecco a che cosa tende la predicazione e la narrazione stessa del Vangelo: a fare scoprire in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare.

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