22 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA.

Il tempo pasquale è un inno alla pace e alla gioia, espresso con il grido gioioso dell’Alleluia (Lodate il Signore), per meraviglie compiute  da Dio per la redenzione degli uomini operata da Cristo. La gioia del cristiano, che però ugualmente conosce motivi di ansia e di tristezza, deriva dalla certezza che Dio ci ha liberati dal peccato, il quale è la vera causa della tristezza. Cristo Gesù, risorgendo, ci riporta a vivere la speranza che un giorno saremo con lui nella beatitudine e  nella gloria, perché egli è andato a prepararci un posto nel cielo.

Ripensando allora a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, noi, immersi nel mistero pasquale di Cristo, rinnoviamo il motivo della nostra gioia.  Se, come Gesù, usciamo dal nostro egoismo e sappiamo dare la vita per gli altri, allora la carità del donarsi si trasformerà in letizia qui in terra, e sarà il preludio di quella celeste. Per questo preghiamo dicendo: « O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in coloro che  ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo santo  Spirito, perché ravvivi in noi la memoria  di tutto quello che  Cristo ha fatto e insegnato ».

Prima Lettura: At 151-2.22-29.

Discutendo e dissentendo animatamente Paolo e Barnaba contro quei Giudei che ritenevano di dover far circoncidere coloro che tra i pagani aderivano alla fede, viene deciso che alcuni  salissero con loro a Gerusalemme dagli apostoli per tale questione. Allora agli apostoli, agli anziani e a tutta la Chiesa, parve bene di inviare Paolo, Barnaba, Giuda detto Barsabba e Sila ad  Antiochia con una lettera in cui  scrivono: « Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo  dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolti i vostri animi ». Tutti d’accordo, essi scelgono  alcune persone e, con Barnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del Signore Gesù, vengono mandate Giuda e Sila a riferire a voce queste stesse cose: « E’ parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose ».

Per la fede in Cristo non sono necessarie le pratiche imposte dalla legge di Mosè, ma ciò non toglie che è necessario osservare alcune norme animate dalla carità e dalla novità dello Spirito, che rinnova l’intimo del cuore. E come è detto che Paolo e Barnaba  hanno rischiato la loro vita per il Signore, così anche il cristiano, oltre che i vescovi e i sacerdoti, dediti alla missione del Vangelo e alla edificazione della Chiesa, devono dare la loro vita per Cristo, dandone testimonianza. Le decisioni che gli apostoli prendono sono attribuite innanzitutto all’opera dello Spirito Santo, di cui gli apostoli sono strumenti, dipendenti non padroni. Alle guide spirituali, Papa e vescovi, il Signore ha dato il suo Spirito, cosicché, come guide delle comunità, della fede, della condotta da tenere, la comunità di fede non sbagli, anche se può presentarsi, a volte, con difetti umani e comuni.

Seconda Lettura: Ap 21, 10-14.22-23.

L’apostolo  Giovanni contempla  la Gerusalemme che scende dal cielo, oltre che con l’immagine di una sposa, con quella di una gemma preziosissima, splendente, come pietra di diaspro cristallino. E’ una città circondata da alte mura con dodici porte su cui stanno dodici angeli e i nomi delle dodici tribù d’Israele. Da ognuno dei quattro lati delle mura vi sono tre porte e le mura poggiano su dodici basamenti, sopra i quali vi sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. Nella celeste Gerusalemme non vi è tempio, perché Dio onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio: la gloria di Dio la illumina e l’Agnello è la sua lampada. Nel cielo non c’è più la mediazione  dei segni  del culto e della liturgia: il tempio, i sacramenti, le Scritture come nella Chiesa terrestre, realtà che alimentano la nostra intenzione e il nostro desiderio di raggiungerli, ma Dio e il Signore Gesù saranno immediatamente contemplati e visibili. Nel cielo abita il nuovo popolo di Dio, dei salvati che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, la Chiesa fondata sugli Apostoli e che ha raggiunto definitivamente la gioia eterna, che è il risultato non tanto dello sforzo dell’uomo, ma dono della grazia di Dio.

Vangelo: Gv 14,23-29.

Gesù oggi nel Parola che ascoltiamo chiarisce quale è il rapporto che siamo chiamati a vivere con lui e il Padre nello Spirito. Egli ci dice:« Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui ». Chi non lo ama non osserva né la sua parola né quella del Padre che lo ha mandato. Promette che lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel suo nome, insegnerà e ricorderà loro tutto ciò che ha detto. Inoltre lascia e dà loro la pace, non come quella che dà il mondo, e li esorta a non turbarsi e a non temere per il fatto che ha detto: “Vado e tornerò da voi”. E conclude: « Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate ». La presenza di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, nella vita di coloro  che amano il Signore, perché osservano la sua parola, è motivo di gioia e non devono lasciarci prendere dall’ansia. La presenza di Dio è portatrice di pace che il Signore ha promesso e dato. Con l’avvento del Paràclito, il Consolatore, che Gesù ha promesso di inviare dal Padre, i discepoli sono in grado di ricordare le parole che Gesù ha detto, capirle, gustarle e ad avere la forza di praticarle. Un cristiano, quindi, vive l’intimità dello Spirito e così, congiunto con il Signore Gesù, è introdotto alla comunione di vita del Padre.

Ultimo aggiornamento (Domenica 22 Maggio 2022 10:36)