23  OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.

«CHI SI UMILIA SARÀ  ESALTATO»

OGGI SI CELEBRA LA  95a GIORNATA MISSIONARIA.

La fede che noi celebriamo nell’Eucaristia ci avvicina al banchetto eucaristico e in esso noi ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore. Questa fede si fonda sulle parole dette da Gesù, nell’Ultima Cena, sul pane e sul vino,  dandoli a noi come segno della sua presenza: « Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi » e « Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me ». Nell’Eucaristia vi è il sacrificio che Gesù ha offerto come « sacerdote giusto e compassionevole » e « la tenerezza del Padre celeste, che ci invita al banchetto del Figlio, preparato per noi ». Per opera dello Spirito Santo, riceviamo la grazia che alimenta in noi la vita divina,  rendendoci capaci di amare alla maniera di Cristo e di confidare nella misericordia del Padre. Tutto questo lo possiamo vivere nella fede che, se mancasse, renderebbe il nostro incontro eucaristico domenicale senza efficacia, frutto della nostra iniziativa gratificante solo psicologicamente, senza ricevere il dono che Dio ci fa donandoci il suo Figlio.

Nella preghiera iniziale della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, che da sempre ascolti la preghiera dell'umile, guarda a noi come al pubblicano pentito, e fa che ci apriamo con fiducia alla tua misericordia, che da peccatori ci rende giusti».

Prima Lettura: Sir 35,15-17.20.22.

L’autore del Siracide ci dice in questo brano che il Signore, giudice giusto, non fa preferenza di persone, non è parziale a danno del povero, ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura l’orfano né la vedova. La preghiera della vedova, del povero arriva fino alle nubi e non si quieta finché non sia arrivata a Dio, non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e non abbia dato soddisfazione ai giusti e stabilito l’equità. Dio non rigetta la preghiera dell’umile, non fa preferenze e parzialità. Come il Signore è giusto, così lo devono essere gli uomini nell’intimità del loro cuore. La facile o frequente discriminazione degli altri, di cui noi siamo facilmente affetti per pregiudizi, superbia o egoismi, non ci rende giusti davanti al Signore.

Seconda Lettura: 2 Tm 4,6-8.16-18.

Paolo, scrivendo a Timoteo, poiché sente armai vicina la fine della sua vita,  gli ricorda che egli, come apostolo, ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa e ha conservato la fede e, ora, attende la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice,  consegnerà in quel giorno a lui e tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Poiché tutti lo hanno abbandonato e  nessuno in tribunale lo ha assistito, gli scrive che non se ne tenga conto nei confronti di nessuno; che il Signore gli è stato vicino, gli ha dato la forza di portare a compimento l’annunzio del Vangelo, perché tutte le genti lo ascoltassero, ed è stato liberato dalla bocca del leone, cioè di essere condannato alla morte in pasto alle belve. Confida infine nel Signore che lo libererà da ogni male e lo porterà in salvo nei cieli, nel suo regno. L’Apostolo, guardando la sua vita passata la paragona ad una battaglia, ad una corsa, un impegno che ha perseguito con costanza e fedeltà verso il Signore, in cui ha riposto la sua totale fiducia e dal quale riceverà, lui e coloro che attendono con amore la sua manifestazione, la corona di gloria. Cristo, così, per il credente. è il valore assoluto della vita. Egli assiste, dà forza, sta vicino e salva per sempre coloro che hanno fede in lui. Chiediamoci, con frequenza, quale posto ha Gesù nella nostra esistenza, se sentiamo vicina la sua presenza gli dobbiamo rendere e se ci impegniamo a conservare viva la fede in lui.

Vangelo : Mt 5,1-12.

Gesù, oggi, nella parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio a pregare, ci indica quale è per l’uomo la vera giustizia: questa non sta nella presunzione del fariseo che, nel tempio, ringrazia Dio ma vanta ed elogia  le sue virtù perché osserva la Legge, digiuna, paga le decime di ciò che possiede e, paragonandosi con gli altri uomini, li giudica  ladri, ingiusti, adulteri, li disprezza insieme  al pubblicano.  Questi, invece, in fondo al tempio, stando a distanza e non alzando neanche gli occhi al cielo, si batte il petto, si riconosce peccatore e chiede a Dio che abbia pietà di lui. Gesù conclude dicendo che il pubblicano, per il suo umile atteggiamento, il riconoscimento delle colpe commesse per cui chiede perdono, ritornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo, perché: « Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato ». Dio esaudisce la preghiera di un cuore pentito e umiliato che, per la consapevolezza delle proprie colpe, chiede perdono a Dio e si affida, non tanto alla sua precaria giustizia, ma alla potenza della grazia di Dio,  attribuendo a Lui l’onore e la gloria per il bene che compie. Dio ascolta solo la preghiera dell’umile, il quale riconosce che tutto deve essere vissuto per la maggior gloria di Dio e non per la ricerca della propria gloria ed esaltazione da parte degli uomini.