16  APRILE -  IIa DOMENICA  DI  PASQUA.

Domenica in « albis » o della « Divina Misericordia ».

Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.

Ogni domenica commemoriamo la Pasqua del Signore, la sua risurrezione, che noi accogliamo nella fede, per cui, come disse Gesù a Tommaso « siamo beati perché crediamo senza aver visto ».

Gesù risorto appare agli apostoli che lo riconoscono e noi sulla loro testimonianza fondiamo la nostra fede, che ha sorretto lungo i secoli, in mezzo alla tribolazioni e il martirio, i credenti in lui.

Nella colletta iniziale preghiamo dicendo: « Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati ad una speranza viva, accresci in noi la fede nel  Cristo risorto, perché credendo in lui abbiamo la vita nel suo nome ».

Prima Lettura: At, 2, 42-47.

La primitiva comunità cristiana viveva nell’ascolto della parola degli apostoli e nella carità vicendevole, celebrava l’Eucaristia, e pregavano insieme. Tutto questo era motivo di   gioia che veniva trasmessa a coloro che si avvicinava alla comunità, che così godeva della stima da parte di tutto il popolo.  Un altro segno privilegiato che i credenti vivevano era che  « avevano ogni cosa in comune ». Fede e amore reciproco erano  strettamente uniti nella vita degli apostoli e di tutti coloro che aderivano al Signore.  Separare questi due aspetti, credendo che la fede sia vera e sufficiente anche quando non sia animata e provata dalla carità è certamente una visione falsata e riduttiva della testimonianza cristiana. In un  cuore chiuso alla carità fraterna  non vi può più abitare la Parola  di Dio; e quando  non sono presenti nel credente l’amore a Dio e  la sua Parola incarnati  attraverso la pratica della carità fraterna la fede si spegne.

Dalla fede nel Risorto, per coloro che credono in lui, nasce un nuovo stile di vita. Ripensiamo al sangue che ci ha liberato, allo Spirito che abbiamo ricevuto, e quindi in modo particolare  al Battesimo  che è stato l’inizio della nostra comunione al mistero pasquale.

A queste meraviglie della salvezza  deve corrispondere « il frutto della vita nuova » e la testimonianza a Gesù Vivente che,  nelle nostre operecomporta: - l’essere assidui « nell’insegnamento degli apostoli, ( ascolto del vangelo ); - nella « comunione fraterna » (condivisione dei beni ); - nello «spezzare il pane » ( celebrazione dell’Eucaristia); - nelle « preghiere » ( pratica costante della relazione con Dio ) ». Con questa testimonianza, che comporta ciò che la comunità deve vivere e realizzare e non fidando in progetti e marketing, « Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati ».

Al « timore dei giudei », forti della  presenza dello Spirito, i discepoli e i credenti in Gesù sostituirono una missionarietà fondata sulla fedeltà al mandato di Gesù di annunziare la sua risurrezione, anche a costo di andare incontro a persecuzioni o peripezie varie. Chiudersi nella propria referenzialità o  nella pigrizia della propria intima testimonianza senza il coraggio dell’annunzio, badare solo alla propria sopravvivenza nell’ambito della propria comunità o nel proprio gruppo , significa tradire, come Chiesa, come comunità più o meno grande che sia, la propria natura missionaria che Cristo ci ha comandato di avere, per continuare la sua missione: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi » (Gv 20,21).

Questo compito nobile, entusiasmante, è capace di aprire, nel nome del Signore, nuovi orizzonti,  sperimentare nuovi linguaggi, percorrere nuove vie di evangelizzazione, che lo Spirito del Risorto suggerisce e per cui dà forza e coraggio per realizzarle.

 

Seconda Lettura: 1 Pt 1,3-9.

La risurrezione di Cristo è, come dice San Paolo, per il nostro cuore fonte di speranza « viva », capace di farci raggiungere l’eredità  dei cieli, ed essere così nella comunione gloriosa con il Signore Gesù risorto. L’apostolo ci ricorda ancora che questa eredità è tutta diversa da quella che viene trasmessa  da un padre al  figlio: quella cristiana  « Non si corrompe, non marcisce ».

L’eredità terrena  è sempre precaria esposta a vari rischi e al deperimento. Spesso è causa  di implacabili risse e divisioni anche nell’ambito degli stessi eredi.  Sperare di raggiungere l’eredità del cielo, cioè – la vita eterna con Cristo – è fonte di gioia, la quale è ben diversa da quella superficiale e passeggera che spesso  ricerchiamo. Nella speranza e nella gioia che speriamo ci conseguire nel cielo  riusciamo a sopportare le prove che ci affliggono. Queste ci  purificano e danno pregio alla fede e la rendono purificata, come l’oro che viene provato con il fuoco. Sarebbe troppo facile dichiararci credenti, se ci tirassimo indietro e non  seguissimo il  Signore che ci chiama  ad associarci alla sua passione. Non è scansando la croce, ma morendoci sopra che Gesù ci ha acquistato l’eredità che non perisce.

Vangelo : Gv 20, 19-31.

Gesù risorto, apparendo agli apostoli,  augura la pace, con l’insieme dei beni che il mistero della Pasqua ha procurato agli uomini: la grazia divina, la gioia, la speranza. Poi l’effusione dello Spirito, per cui ci possono essere rimessi i peccati.

La Chiesa è il luogo e il sacramento della misericordia e del perdono, dal momento che in essa vive lo Spirito Santo. Non sono i ministri della Chiesa che trasmettono la propria santità ma  è lo Spirito che sa rinnovare  e purificare la vita degli uomini.

L’episodio di Tommaso, che non vuole credere se prima non tocca e non vede,  ha fatto di lui un discepolo incredulo, un resistente alla fede, ma è il prototipo dell’uomo di sempre. Egli, che aveva visto la radicalità e la potenza della morte di Gesù, non può accettare la sua risurrezione. E se il Risorto non fosse il crocifisso? Avrà pensato. Se così, l’annunzio degli apostoli non avrebbe  avuto valore. Ma otto giorni dopo, quando anche Tommaso è con gli altri nel Cenacolo, davanti a Gesù che lo invita a toccarlo e a mettere le sue dita nel foro dei chiodi e la sua mano nel costato, egli, profondamente sconvolto, professa la sua fede dicendo : « Mio Signore e mio Dio ». Questo di Tommaso è un traguardo a cui giunge attraverso un  travaglio interiore, di ricerca, di domanda e di sfida  per una fede facile e superficiale. Come a Tommaso, anche a noi, Gesù dice di « non essere più increduli, ma credenti »: davanti al problema del male è facile cadere nell’incredulità. E Gesù allora proclama « beati quelli che non hanno visto e hanno creduto ». La vicenda di Tommaso, con la sua preghiera-adorazione – come risposta al Risorto, può essere anche la nostra.

Così il mostrare le piaghe da parte di Gesù risorto nel suo corpo glorioso accentua lo scandalo del male, perché segni della sua passione.

Davanti all’enigma del male, a cui l’uomo con la sua riflessione teologica, filosofica, psicologica non ha saputo dare una soddisfacente spiegazione, Dio, nel suo Figlio, lo affronta e lo vince e non dà spiegazioni razionali di esso, se non ponendo  l’atteggiamento dell’amore, che per dimostrarlo a chi si ama, si è disposti a donare la vita.

La professione di fede  di Tommaso, che riconosce Gesù come Signore e Dio è un altro momento dell’incontro di Gesù risorto con gli apostoli.  Gesù affida quindi l’impegno della predicazione e la narrazione stessa del Vangelo affinché gli uomini scoprano  in lui il vero Dio e il Signore glorioso. Per questo siamo chiamati fedeli e discepoli. Solo che la nostra fede non deve vacillare ».