14 MAGGIO – VI  DOMENICA  DI  PASQUA

Chi ama Cristo è amato dal Padre.

La nostra fede spesso è vissuta nel timore che Dio  ci punisca. Essere cristiano significa credere che Dio è, come ci ha insegnato Gesù, un Padre premuroso verso di noi, si preoccupa e ci ama come un padre provvidente, che ama tutti, sia i buoni che i peccatori. Ha mandato il suo Figlio unigenito, Cristo Gesù, che è morto per noi, per liberarci dalla morte  e ci assicura che, anche se non possiamo vederlo, toccarlo, egli non ci lascia soli, perché il suo Spirito ci accompagna sempre.

In tutto il tempo pasquale   la letizia e la gioia non scaturiscono dal successo delle nostre imprese terrene, o perché i nostri giorni non conoscono motivi di ansia, ma esse ci vengono  dalla costatazione e dalla certezza che siamo stati liberati dal peccato, che è la vera causa della tristezza, e dal fatto che il Signore risorto ci ha riportati ad una speranza che non conosce delusioni: la speranza della gloria eterna con lui.

Bisogna tornare spesso –   e perciò è provvida la domenica – a ciò che Cristo ha fatto e insegnato se non vogliamo che la nostra gioia si inaridisca. Per non scoraggiarci in certi momenti, specie quelli difficili e tragici, la strada per uscire dall’avvilimento è quella di uscire da noi, sull’esempio di Gesù, che per il primo ha dato la sua vita per gli altri. Carità e letizia in questo tempo pasquale sono strettamente congiunte.

Nella colletta di questa domenica ci rivolgiamo al Padre dicendo: « O Padre, che per la preghiera del tuo Figlio ci hai donato lo Spirito della verità, ravviva in noi con la sua potenza il ricordo delle parole di Gesù, perché siamo pronti a rispondere a chiunque domandi ragione  della speranza che è in noi ».

Prima Lettura: At 8,5-8.14-17.

Gli apostoli, dopo che l’apostolo Filippo ha predicato il Cristo nella Samaria e molti hanno prestato attenzione per i segni che egli compiva ( da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, e paralitici e storpi erano stati risanati), inviano  Pietro e Giovanni, i quali  effondono, con l’imposizione delle mani, la pienezza dello Spirito Santo su coloro che erano stati solo battezzati nel nome di Gesù..  Questo dono di Cristo  rinnova e mette in fuga gli spiriti immondi. Il peccato lascia come una traccia della presenza del demonio  ma i battezzati, per la loro fede e per i sacramenti, ne sono liberatiLa novità  di vita prodotta dalla fede nel Cristo morto e risorto deve manifestarsi in un comportamento in cui, confermati dallo Spirito di verità, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi.

Seconda Lettura: 1 Pt 3,15-18.

Pietro nella sua lettera, ricca di insegnamenti preziosi, ci esorta ad  adorare il Signore Gesù nei nostri cuori e coltivare l’amicizia con lui attraverso il colloquio della confidenza e dell’orazione. Ancora : dobbiamo rendere ragio- ne della speranza che è in noi e  dire i motivi per cui crediamo, facendo  questo con dolcezza e rispetto, anche quando si parla male di noi, cosicché « rimangano svergognati quelli che malignano sulla buona condotta che il credente ha in Cristo ». Non si deve essere  irriguardosi, prepotenti e irritanti, ma dolci, leali, rispettosi. Non bisogna inoltre meravigliarsi  se si  patisce qualcosa per la fede, come Gesù, del resto, che è morto per noi. Ed ecco un principio che deve esserci di guida nella nostra condotta: « Se questa è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male».

Vangelo: 14,15-21.

Gesù, in questo brano del Vangelo, chiede ai discepoli di vivere, in continua prospettiva, l’attesa e il possesso, la promessa e la realizzazione. Ad essi, che si sentono abbandonati per aver detto che dove lui andava loro non potevano andare, Gesù li chiama “figlioli ”,   e promette di non abbandonarli per sempre e  che pregherà  il Padre perché dia loro lo Spirito Paràclito, il Consolatore, che li accompagnerà lungo la loro esistenza e nella loro testimonianza. Giovanni scrivendo  queste parole, dette da Gesù nell’ultima Cena, dopo l’evento della risurrezione, ci dice che, avendolo rivisto risorto, il Signore diventa il compimento del suo permanere tra loro e, per noi credenti, il vederlo  nella visione della fede, diventa l’attuazione, nel nostro oggi, della promessa della sua presenza costante nella sua Chiesa : « … Non vi lascerò orfani: verrò di nuovo ».

Con questa presenza Gesù instaura un rapporto di  comunione nell’intimo di ogni discepolo, perché Gesù dice: « Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi », dopo aver detto: « Io pregherò il Padre mio ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga sempre con voi » ( Gv 14,16). Così Gesù assicura  il legame d’amore fra le Persone divine e il credente, legame esistenziale, concreto e pratico, per cui la presenza della Trinità nella nostra  vita di credenti non è legata ad un luogo, al tempio, ad un qualsiasi luogo di culto, ma alla persona del credente.

Il tempo dello Spirito.

Il tempo che intercorre tra le parole dette di Gesù e il compimento delle sue promesse, il tempo della Chiesa e il nostro è animato dal suo Spirito, che realizza quelle promesse. Lo Spirito, che è Spirito di verità, ci fa comprendere la Parola di Gesù e ci dà la forza di testimoniarla,  come avviene con la parola che predica Filippo presso i Samaritani, che credono e si convertono perché la testimonianza dell’apostolo rende credibile  quella Parola. Ancora,  in una comunità tribolata, come scrive san Pietro, lo Spirito anima la concretezza della vita cristiana: « E’ meglio soffrire operando il bene  che facendo il male ». A sorreggere questa resistenza nel bene è la speranza che unisce, per mezzo della fede, a Cristo anche nei momenti delle tribolazioni. Questa testimonianza, tradotta in opere concrete, interroga anche  i non credenti, a cui bisogna essere « sempre pronti a rispondere  a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi » ( Pt 3,15)

La  presenza dello Spirito promesso è un dono che si riceve solo se il discepolo si decide ad accogliere l’invito di Gesù: « Se mi amate, osserverete i miei comandamenti … Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama » (Gv 14,15.21). Così l’amore non è un semplice sentimentalismo, ma è quello che  si modella sul suo, poiché dice: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,17).

Presso di noi, dunque, abita lo Spirito Santo, chiamato da Gesù il Paraclito, il Consolatore, che porta la verità, che è Gesù stesso e il suo Vangelo. Ma il luogo dove lo Spirito abita è il cuore dei discepoli del Signore, mediante la grazia. Gesù dice un’altra cosa nel brano che segue: « Non vi lascerò orfani ». E infatti lo Spirito Santo è il segno che Cristo è con noi e non ci abbandona a noi stessi, alla nostra solitudine. Poi ci sarà il suo ritorno glorioso, quando lo vedremo insieme col Padre. Sarà già il momento della morte, che allora non va aborrito ma, per questo motivo, atteso con gioia, si direbbe perfino con impazienza. Però adesso si devono mettere in pratica i comandamenti di Gesù: « Chi li osserva, questi è colui che mi ama ». Ecco un principio fondamentale chiarissimo: le parole da sole non sono indice di amore.