21 MAGGIO – SOLENNITA’  DELL’ ASCENSIONE  DEL   SIGNORE

Gesù,  che ha vinto il peccato e la morte, ci dice la liturgia del prefazio di questa solennità, «ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria »: e ciò  dobbiamo tenerlo presente in ogni giorno della vita. Con Gesù, che con la sua umanità è presso il Padre, siamo già in qualche modo presenti anche noi,  perché egli è il Capo del corpo di cui noi siamo membra. Possiamo quindi sperare la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata  per sé e per noi. Noi – ci dice ancora il prefazio -poiché adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria, non siamo lasciati soli.  Con  lui, che alla destra del Padre è nostro Intercessore e Mediatore, siamo già legati con Dio.

Ma se lungo il cammino terreno siamo presi dal dubbio e ci sentiamo smarriti nella ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, non  dobbiamo, però, credere che egli ci abbia abbandonato, perché la sua presenza, resa costante dallo Spirito  inviato, ci accompagna nella missione nel mondo e ci fa attendere con fiducia e operosità il sua ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Questa operosità dimostra il nostro impegno a vivere in maniera degna di essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.

Nella Colletta dell’Eucaristia chiediamo a Dio: « Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria ».

Prima Lettura: At 1,1-11.

Gesù, dopo aver confermato i suoi  discepoli nella certezza della sua risurrezione, di cui avevano dubitato in varie occasioni e, anche ora, in Galilea, sul monte, dove aveva loro indicato di recarsi « quando essi lo videro, si prostrarono », ma ugualmente dubitarono,  egli sale al cielo. Non li abban- dona e non se ne allontana se non visibilmente, perché, dalla destra del Padre, invia lo Spirito, che , ricevuto da essi  in pienezza, li rende fortificati per la testimonianza che devono rendere al Risorto. Lo Spirito del Padre e del Figlio accompagna i discepoli nella loro missione. Essi, però, nell’attesa della venuta gloriosa di Gesù non devono rimanere inattivi e non devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine  della storia. Egli assicura che ritornerà ed essi, in questo tempo di attesa, dovranno manifesta-

re la loro testimonianza nel continuare l’opera del Maestro, specialmente nelle opere della fede e della carità, nelle quali dimostrano  il desiderio di riunirsi al Signore.

Ma se da una parte la comunità del Signore, sempre lungo la sua storia, come lo fu dall’inizio, può sperimentare momenti e fatti che non l’hanno resa splendida Sposa di Cristo, dall'altra ha anche molte  pagine di testimonianza discreta e, oggi,  con frequenza, eroica di tanti martiri. D’altronde Gesù stesso lo aveva detto: « Sarete perseguitati, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra » (At 1,8-9). Così la Chiesa, pur fragile e ferita, può continuare a dare speranza agli uomini e ognuno  trovare il proprio spazio di crescita umana e spirituale, poiché  non è fatta di puri, ma è costituita come comunità, che nel nome del Signore accoglie i peccatori, i quali, pur zoppicando, si sforzano di imitarlo.

Seconda Lettura: Ef 1, 17-23.

Paolo scrive ai cristiani di Efeso e augura loro che il Dio del Signore Gesù dia loro uno« spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui: illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo ». Tutti i discepoli del Signore dobbiamo dunque aspettare un’eredità, anche i più poveri ai quali non sia mai  avvenuto di ereditare: è’ il tesoro della gloria che si riceverà  con tutti i santi e che sarà donata in Gesù, Signore risorto e glorioso. Anche noi, dunque, partecipiamo dello stesso destino di Cristo, come membra del suo corpo, la Chiesa, « la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose ». Domandiamo per noi e per tutti quanto san Paolo chiedeva per la sua comunità di Efeso:      « uno spirito di sapienza per una più profonda conoscenza del Dio del Signore nostro Gesù Cristo »; domandiamo di avere gli « occhi  del cuore» per comprendere la nostra speranza. Finché non raggiungiamo questa comprensione, ogni notizia sul mondo, sulle cose, sulla storia a poco ci giova. Colui che ha compreso l’opera di Gesù e vi prende parte assaporandola, gustandola e vivendola ha acquistato la vera scienza. Di conseguenza tutto il resto  acquista una proporzione nuova, perché  disponiamo di un criterio che ci fa valutare veramente e in maniera diversa le cose, per superarle e disincantarle. E’ il criterio dei santi e che consiste nel distacco che essi hanno vissuto dalle cose terrene, nutrendo solo il desiderio supremo  del Signore.

Vangelo: Mt 28, 16-20.

Gesù risorto, incontrando i discepoli sul monte della Galilea, dove aveva dato appuntamento, dà loro il potere, come lui l’ha ricevuto dal Padre, di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli, battezzandoli  nel nome delle  Tre Persone della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo e insegnare loro ad osservare tutto ciò che ha comandato loro. Promette che egli sarebbe stato sempre con loro per dare  valore alla predicazione, ai sacramenti e al loro ministero.

La Chiesa, comunità di santi e di peccatori, in obbedienza a questo comando di Gesù (Mt28,10), convocata da lui, che l’ha beneficiato della rivelazione di sé nel suo corpo glorioso e investita di una dignità altissima, intraprende, fin dal tempo apostolico, la missione di testimoniare e realizzare,  non a proprio nome ma a nome della Trinità tutta, l’opera salvatrice dell’umanità da lui iniziata.

La missione che affida loro esprime il potere di Signore  risorto: è lui, quindi, che invia e rende efficaci  gli atti di quelli che sono mandati. E’ lui che è presente e, per mezzo del suo Spirito, dà incremento alla sua opera perché la sua salvezza si estenda in tutto il mondo. La sua ascensione al cielo non lo allontana da loro, al contrario lo ravvicina in ogni tempo e spazio e, con lo Spirito Santo e il loro ministero, Gesù  stabilisce il rapporto di salvezza con colui che crede. Le sue ultime parole ci sono motivo di conforto e di speranza: « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Nessun momento  della storia più è vuoto e privo della presenza del Signore. Se  l’orazione personale, come colloquio ed esperienza personale di Cristo, fa sentire questa presenza, il vertice di questa presenza e di questa comunione si trova nell’Eucaristia, in cui la relazione con  Gesù, asceso al cielo, raggiunge la sua espressione più perfetta: dove c’è Gesù Cristo, là c’è il Padre, c’è il cielo. Allora non è fuor di luogo  dire che l’Eucaristia  ci fa già pregustare in anticipo la Vita eterna.

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa

(Disc. 2 sull’Ascensione 1, 4; PL 54, 397-399)

L’Ascensione del Signore accresce la nostra fede

Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su un’arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità.

Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?

Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce superna.

Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.

Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, si erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore e avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.

Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.

Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.