27  AGOSTO- XXI DOMENICA del TEMPO  ORDINARIO (Anno A).

Professione di fede di Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.

Nel giorno del Signore, il Padre celeste ci invita in santa assemblea, per celebrare il« sacrificio di Cristo », con cui il Signore Gesù ci ha riscattati e redenti dal peccato, versando il suo sangue prezioso per una nuova e definitiva alleanza. Così, innestati in Cristo attraverso il battesimo, per un dono di grazia del Padre e non per i nostri meriti, siamo diventati «creature  nuove», santificati dalla grazia e della vita divina che Dio ci ha dato. Siamo «pietre vive » per costruire il tempio santo di Dio, di cui Gesù è la pietra angolare e, illuminati dallo Spirito Santo, che inabita in noi, abbiamo acquistato, per dono gratuito di Dio, la libertà dei figli, per cui possiamo pregarlo: « Abbà, Padre !».

A  questo grande dono della misericordia di Dio dobbiamo corrispondere aderendo come Cristo alla volontà del Padre celeste, rispondendo al suo amore attraverso l’osservanza filiale dei suoi comandamenti, sentendoli non come un gravame impraticabile ma come una luce che illumina i nostri passi nel cammino di speranza sulla terra, come una via che ci guida alla ricerca del vero bene, senza farci distrarre da nessuna parola o vicende terrene mutevoli e ambigue,  e ci conduce alla  meta della vita eterna nella comunione trinitaria.

Nella Colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio con questa preghiera: « O Padre, fonte di sapienza, che sulla salda fede dell’apostolo Pietro hai posto il fondamento della tua Chiesa, dona a quanti riconoscono in Gesù di Nazaret  il Figlio del Dio vivente di diventare pietre vive per l’edificazione del tuo regno.   Per il nostro Signore Gesù Cristo…».

Prima Lettura: Is 22,19-23.

Il Signore ci chiede di essere fedeli al suo amore, per realizzare continuamente  quel cammino di santità a cui chiama ogni uomo. Il profeta Isaia in questa lettura ci presenta l’atteggiamento di Dio che rigetta Sebna, maggiordomo del palazzo , che resosi infedele al compito a cui Dio lo aveva chiamato, gli viene tolta la «  chiave del potere », e data a Eliakìm. Questi sarebbe stato rivestito della tunica, della cintura e avrebbe agito da padre per gli abitanti di Gerusalemme e di Giuda, nessuno avrebbe potuto chiudere ciò che egli apriva o aprire ciò che avrebbe chiuso: sarebbe stato « su un trono di gloria per la casa di suo padre ».

Il Signore rigetta colui che si rende indegno della sua fiducia e affida al altri la missione e il potere di « aprire e chiudere » per realizzare i suoi voleri, così come Gesù fa con Pietro, che dopo averlo tradito, gli viene chiesto di fare una triplice professione di amore per il maestro.

Seconda Lettura: Rm 11,33-36.

San Paolo, pieno di meraviglia, esalta la profondità, la sapienza e la conoscenza di Dio, perché il progetto salvifico di Dio, le sue scelte, le sue vie sono inaccessibili, imperscrutabili e  insondabili i suoi giudizi. Tutte le vicende della storia, le scelte di Dio e i risultati di esse racchiusi nel mistero di Dio, solo lui li conosce. Forse che possiamo conoscere  il pensiero del Signore, si domanda Paolo?  O possiamo dargli qualche consiglio o qualche suggerimento per istruirlo, recita un Salmo? O qualcuno gli ha dato per primo qualcosa per poterne ricevere il contraccambio? All’uomo e, soprattutto, a colui che è chiamato a vivere come il suo Figlio Gesù è chiesto solo di adeguarsi alla sua santa volontà, di camminare  nelle sue vie e, per quanto ci si possa impegnare a risolvere i problemi quotidiani, abbandonarsi, umili e fiduciosi, alla  bontà del Padre celeste, sicuri che, essendo tutte le cose da  lui, per mezzo di lui e in lui, egli viene in soccorso a chi gli è fedele e, nel giorno in cui lo invoca, recita il salmo di questa liturgia odierna, egli  risponde.  Il Signore, continua il salmo, nella sua grandezza guarda verso l’umile e il superbo lo riconosce da lontano. Per questo allora più che indagare sugli imperscrutabili disegni di Dio, poniamoci in atteggiamento di ringraziamento per tutto ciò che gli compie per le sue creature e per i  suoi figli.

Vangelo: Mt 16, 13-20.

Anche a noi, oggi, Gesù chiede: « Chi sono io per voi? E per te? ». Forse ricordiamo quello che ci ha trasmesso l’istruzione cristiana da bambini, ma, esistenzialmente, quale posto Egli occupa nella nostra vita?  Certo è che non possiamo avere ognuno una opinione diversa, accettando di lui alcune cose e tralasciandone molte altre, specie la sua prerogativa principale che è quella di essersi dichiarato apertamente Figlio di Dio, uguale al Padre: “ Chi vede lui vede il Padre che lo ha mandato”, dice Gesù agli apostoli. Su questa identità divina di Gesù è in ballo la nostra fede, perché se è Dio, si esige che lo seguiamo imitandolo, continuando a realizzare le opere che egli ha compiuto a favore degli uomini, avendo detto agli apostoli che ne « avrebbero fatto di più grandi ».

Gesù chiede ai suoi discepoli che cosa dica la gente di lui. Essi, richiamandosi all’Antico Testamento, rispondono dicendo che alcuni lo ritengono Giovanni il Battista, altri Elia o Geremia o un qualunque profeta. Ma poiché tutte le risposte date dagli apostoli sono insufficienti e riduttive perché non  colgono la sua  vera ed unica identità,  Gesù chiede loro: « E voi chi dite che io sia?». Essi sono preceduti da Pietro che, al di là di tutte le apparenze e opinioni della gente o di coloro che lo avversavano, esclama: « Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente ! ».

Gesù lo loda, dichiarandolo beato, perché non ha dato ascolto  alla carne  né al sangue, né alle opinioni o alle ragioni degli uomini, per i quali è difficile poter comprendere l’identità di un Dio crocifisso,  ma ha accolto la rivelazione che il Padre gli ha fatto sulla sua identità. Per questa fede professata, cambiandogli il nome da figlio di Giona in Pietro, gli affida il compito e il ministero di guidare insieme agli altri apostoli  la Chiesa, gli affida le chiavi del regno dei cieli, con cui può legare e sciogliere  e di confermare, come « pietra sicura », nella fede i suoi fratelli.

Questo  ministero  di  servizio, che continua ad essere esercitato da colui che succede nella sede della Chiesa di Roma, non è un potere che blocca e deprime, ma un dovere di servizio per l’unità della fede e nella carità della Chiesa tutta, come testimonianza da rendere davanti agli uomini, perché si formi quell’unica Comunità di fede per  la quale Gesù ha pregato nell’ ultima Cena.

Accogliendo, nella nostra piccolezza l’identità divina di Gesù, non vuol dire rinunziare alle nostre potenzialità  conoscitive umane, donateci da Dio, per affidarci solo alla fede dei semplici, ma accogliere il dono della grazia che ci fa superare le nostre umane capacità conoscitive, per aprirci alle realtà divine.

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Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo.

(Sal 48, 14-15; CSEL 64, 368-370)
Cristo ha riconciliato il mondo a Dio
per mezzo del suo sangue

Avendo Cristo riconciliato il mondo a Dio, non ebbe certo lui stesso bisogno di riconciliazione. Infatti quale peccato suo proprio avrebbe espiato lui che non conobbe nessun peccato? Perciò quando i Giudei gli domandarono la tassa, destinata al tempio, e che la legge prescriveva per il peccato, egli disse a Pietro: «Simone, i re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri? Rispose: Dagli estranei. E Gesù: Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Mt 17, 25-27).
Il Figlio di Dio dimostra che non deve offrire riparazione per i propri peccati, perché non era schiavo del peccato, ma libero da ogni colpa. Infatti il Figlio libera, mentre il servo è nella colpa. Perciò è esente da tutti i peccati e non paga il prezzo del riscatto per la propria anima colui che nel suo sangue dà un prezzo sufficiente a riscattare i peccati di tutto il mondo. Giustamente dunque libera gli altri chi non deve nulla per sé.
Dirò di più. Non solo Cristo non deve alcun prezzo di redenzione per sé o di propiziazione per il peccato proprio, ma neanche i singoli uomini come tali. Vale a dire il singolo non ha da presentare una propiziazione sua propria, perché propiziazione per tutti è Cristo ed egli è la redenzione di ognuno.
Infatti, il sangue di quale uomo può avere ancora un valore determinante per la sua redenzione, dopo che Cristo ha sparso il suo per la redenzione di tutti? C’è forse il sangue di qualcuno che possa paragonarsi al sangue di Cristo? Oppure qual è quell’uomo tanto potente da offrire per se stesso la propria propiziazione, più efficace di quella che Cristo ha offerto nel suo corpo, lui che solo ha riconciliato il mondo a Dio con il proprio sangue? Quale vittima più grande, quale sacrificio più valido, quale avvocato migliore di colui che si è fatto intercessione per i peccati di tutti e ha dato la sua vita in redenzione per noi? 
Ciò che ha il valore determinante non è la riparazione o la redenzione propria dei singoli. Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo con il quale il Signore Gesù ci ha redenti. Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all’estremo, addossandosi la nostra sofferenza. Per questo dice: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28).