





OSPITARE DIO NELLA NOSTRA VITA: E KCOLUI CHE IL PADRE HA MANDATO.
20 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo nella sua parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro e della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio, espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo e diciamo: « O Padre, nella casa di Betania tuo Figlio Gesù ha conosciuto il premuroso servizio di Marta e l’adorante silenzio di Maria: fa’ che nulla anteponiamo all’ascolto della tua parola.Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Gn 18,1-10.
Abramo, mentre sta davanti alla sua tenda alle Querce di Mamre, vede tre uomini davanti a lui. Corre loro incontro e, prostrandosi ai loro piedi, dice:« Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare senza fermarti dal tuo servo ». Li invita quindi ad accettare i gesti dell’ospitalità: a lavarsi i piedi e accomodarsi sotto l’albero, a mangiare un boccone di pane e a ristorarsi e poi avrebbero proseguito il loro cammino. Avendo quelli risposto: « Fa’ pure come hai detto », Abramo va alla tenda e dice a Sara:« Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce ». Corre lui stesso all’armento e prende un vitello tenero e buono che dà al servo, che si affretta a prepararlo.
Prendendo ancora panna e latte fresco insieme con il vitello, li porge ai tre.
Mentre essi mangiano egli rimane ritto in piedi davanti a loro. Poi chiedono ad Abramo dove è Sara, sua moglie. Avendo risposto che era nella tenda uno dei tre dice ad Abramo: « Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio ».
Abramo accoglie premurosamente gli ospiti di passaggio, perché in essi si rivela e si presenta il Signore. La sua generosità è premiata dalla promessa che il Signore gli fa di dargli un figlio , pur essendo sua moglie in tarda età. Poiché Sara, da dentro la tenda sente la promessa e, incredula, sorride, quel bambino promesso sarà chiamato “Isacco”, cioè il figlio del sorriso, poiché nulla è impossibile a Dio.
Seconda Lettura: Col 1,24-28.
San Paolo scrive ai Colossesi dicendo che egli è lieto delle sofferenze che sopporta per loro, dando, così, compimento nella sua carne a ciò che man- ca ai patimenti di Cristo a favore della Chiesa. Di essa è diventato ministro per la missione che Dio gli ha affidato: portare a compimento la parola di Dio, cioè »il mistero nascosto da secoli ma ora manifestato ai suoi santi «, ai ai quali « Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero, Cri- sto, speranza della gloria » . Così egli e gli altri santi apostoli lo annunziano, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Paolo, dicendosi lieto delle sofferenze della vita apostolica che sopporta, vuol dirci che esse sono la continuazione della passione di Cristo, con cui il Signore ha salvato il mondo. Questo è il Vangelo che egli predica e per il quale sopporta anche le catene. Così egli, ministro del Vangelo secondo la missione ricevuta, come ogni cristiano, che in quanto membro del Corpo mistico di Cristo soffre nel suo corpo per lui, contribuisce alla redenzione del mondo: per il cristiano la sofferenza sopportata in comunione con il Signore è partecipazione redentiva del mondo. Nella Chiesa, dunque, più che ricercare il dominio e predicare noi stessi, è da incarnare un servizio per predicare il Vangelo, ad esempio di Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto di tutti.
Vangelo: Lc 10,38-42
Il Vangelo, oggi, ci presenta una scena di accoglienza familiare che le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, fanno al Signore nella loro casa: Maria sta seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta, Marta, invece, distolta dai molti servizi, si dà da fare per preparare le cose necessarie per una degna ospitalità. Quando questa dice a Gesù: « Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? », egli risponde: « Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola cosa c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta ».
Nella vita del discepolo l’accoglienza del Signore si realizza in maniera diversa a seconda delle scelte di vita che ognuno è chiamato a fare: nella vita contemplativa, certo, l’ascolto e l’ attenzione al Signore, non è perdita di tem- po, è anche servizio fatto a lui, perché, come per Santa Teresina del Bambino Gesù, le preghiere e l’offerta delle sofferenze sono unite, per amore, alla passione di Cristo e a beneficio di tutta la Chiesa. Ma anche il servire Cristo nei fratelli, in qualunque circostanza essi si trovano, per amore di lui, presente in loro, è servirlo, vincendo la nostra naturale ed egoistica pigrizia e non dimenticando però che l’ascolto, il colloquio e la comunione con il Signore sono fonte di gioia e forza per vivere la nostra fedeltà a lui nel servizio del prossimo. L’una o l’altra scelta di vita a cui si è chiamati, allora, deve saper contemperare i due aspetti di relazione con il Signore, tenendo presente il noto adagio: Fare sì una cosa, ma senza omettere l’altra.
GESÙ « BUON SAMARITANO » SI È CHINATO SU DI NOI
13 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
GESÙ « BUON SAMARITANO » SI È CHINATO SU DI NOI.
La testimonianza concreta del Vangelo da parte dei discepoli di Gesù. L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità e il suo esempio.. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme. Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai portato a compimento la legge e i profeti, , donaci un cuore capace di misericordia affinché, ad immagine del tuo Figlio, ci prendiamo cura dei fratelli che sono nel bisogno e nella sofferenza. Per il nostro Signore Gesù Cristo ». Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. Ma la consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Dt 30,10-14.Mosè parlando al popolo lo esorta ad obbedire alla voce del Signore, osservare i suoi comandi e decreti e a convertirsi al Signore, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Dice ancora che il comando del Signore non è« Troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica”: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” Non è al di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” ». La Parola di Dio, dice Mosè, è dentro il cuore dell’uomo, nella sua profonda coscienza e bisogna praticarla. Accondiscendere ad essa, specie alla Parola, che per l’evangelista Giovanni è il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi, nella fede significa seguirla perché ci induce alla conversione continua, a ritornare al Signore con « tutto il cuore e con tutta la mente ». Gesù infatti inizierà la sua missione invitando gli uomini a convertirsi, cosicché gli uomini siano intimamente trasformati.
Seconda Lettura: Col 1,15-20.
L’apostolo Paolo, ai Colossési, proclama che Gesù Cristo è immagine, sacra- mento, visibile del Dio invisibile e primogenito di tutte le cose create nei cieli e sulla terra, sia di quelle visibili che di quelle invisibili, perché tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Ancora: tutte le cose sussistono in lui, che è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è il principio e il primogenito di coloro che risorgono dai morti, perché lui ha il primato su tutte le cose. Il Padre ha fatto abitare nel Cristo ogni pienezza, perché per mezzo di lui e in vista di lui ha riconciliati a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, sia le cose della terra sia quelle che stanno nei cieli.
Paolo, come la Chiesa proclama solennemente nella professione di fede domenicale, pone il Signore Gesù come sostegno di tutto l’universo, primogenito di tutta la creazione, perché tutto è creato per mezzo e in vista di lui, che è ragione di tutto, il principio e la fine di tutto, il Primo e l’Ultimo. La Chiesa, comunità di Dio, ha in lui la sua consistenza, perché egli ne è il Capo e perché per il suo sacrificio ha rappacificato tutto con il Padre. La morte del Cristo più che un fallimento è l’espressione della potenza salvifica di Dio, che ha riconciliato nel suo Figlio l’umanità con sé. La sua risurrezione, principio e risurrezione della Chiesa, suo Corpo, è resa presente nel mondo per la presenza dello Spirito, effuso nei nostri cuori, e per opera di essa. Le affermazioni dell’apostolo illuminano molti aspetti della nostra vita quoti- diana, che avvolta dalle sue banalità, dalle sue meschinità o piccolezze, non sempre riusciamo a collegare in un corretto rapporto tra Dio, il Cristo e le cose create. L’amore di Dio, di cui noi siamo fatti oggetto, anche se immersi nelle tribolazioni, nei travagli della vita, nelle sofferenze, ci apre, allora, l’orizzonte della gloria della risurrezione, come lo è stato per Cristo, Capo. Il sacrificio di Cristo, celebrato nell’ Eucaristia domenicale diventa una anticipazione e una caparra della gloria futura.
Vangelo: Lc 10,25-37.
Gesù ad un dottore della legge, che per metterlo alla prova gli chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, risponde: « Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? ». Poiché quegli risponde bene dicendo che è necessario: amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le proprie forze e con tutta la mente, e amare il prossimo come se stessi, Gesù lo esorta a fare come ha detto e avrebbe ereditato la vita eterna. Il Dottore della Legge, volendo giustificarsi, gli chiede: « E’ chi è il mio prossimo?».
Gesù allora, attraverso la parabola del Buon Samaritano, concretamente lo mette nelle condizioni di comprendere che il prossimo è colui a cui si deve prestare aiuto, come nel caso di quell’ uomo che, dopo essere stato derubato e lasciato mezzo morto, non viene soccorso né dal sacerdote, che per caso passa da quel luogo, né dal levita, ma da un samaritano, che passandogli accanto ne ha compassione. Così, facendoglisi vicino, ne fascia le ferite versandogli olio e vino, caricandolo sulla sua cavalcatura lo porta in un albergo e il giorno seguente, dando due denari all’ albergatore perché si prenda cura di quell ’uomo, dice che al suo ritorno avrebbe pagato ciò che avesse speso in più. Quando, a conclusione della parabola, Gesù chiede al dottore della legge chi dei tre sia stato il prossimo per quell’ uomo, caduto in mano ai briganti, e quegli risponde: chi ha avuto compassione di lui, Gesù lo esorta, invitandolo, a comportarsi anche lui allo stesso modo del samaritano.
Cristo è il buon samaritano della nostra umanità, che spesso è derubata dei beni spirituali, umani, psicologici, sociali, ambientali dallo spirito del male e da chi arreca danno all’ uomo sotto ogni forma. Egli si prende cura dell’uomo, fasciando le ferite di colui che è “reso morto” spiritualmente con ogni forma di peccato, e lo affida alla Chiesa e ad ognuno di coloro che si sentano Chiesa in lui, perché se ne prendano cura, con “operoso amore”, attraverso le opere di carità spirituali e materiali, sapendo che ogni atto d’amore verso il prossimo è un proseguimento dell’amore di Gesù e sicuro che, al suo “ritorno nella gloria”, darà la ricompensa per ciò che avremo speso a favore dei fratelli. Il cristiano, come il buon samaritano, che non ha guardato all’uomo lasciato lungo la strada, se sia giudeo o suo connazionale, deve aver cura dell’uomo e farsi suo prossimo al di la di ogni forma di situazione sociale, etnica, razziale in cui il fratello si trova.
NELLA COMUNIONE CON DIO ATTENDIAMO NELLA SPERANZA CONSOLAZIONE E PACE, NEL TEMPO E NELL'ETERNITÀ
6 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NELLA COMUNIONE CON DIO ATTENDIAMO NELLA SPERANZA CONSOLAZIONE E PACE
NEL TEMPO E NELL'ETERNITÀ.
Dio parla agli uomini con i profeti e soprattutto con il suo Figlio. Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« Dio di consolazione e di pace, che chiami alla comunione con te tutti i viventi, fa’ che la Chiesa annunci la venuta del tuo regno confidando solo nella forza del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dall’oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Is 66,10-14.
Il Signore per bocca del profeta invita gli esiliati in Babilonia a rallegrarsi, esultare e sfavillare di gioia per Gerusalemme. Potranno così essere allattati, saziarsi al suo seno delle sue consolazioni, succhiare e deliziarsi della sua gloria, perché il Signore, dice il profeta, farà scorrere verso di essa, come un fiume, la pace e la gloria delle genti. « Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati ». Saranno a Gerusalemme consolati dal Signore, come una madre consola il suo figlio, vedranno il Signore, il loro cuore gioirà e le loro ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi.
Il Signore, per mezzo del profeta, annunzia quindi un’era nuova di pace, di consolazione, perché cesserà l’esilio e vi sarà la liberazione: Dio, che conduce la storia di Israele, non è bloccato da nessuna forza umana, ma la parola del profeta, al di là dell’evento storico dell’esilio, presagisce la venuta del Messia, di Cristo, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Paolo scrive ai Gàlati dicendo che per lui non vi altro vanto che nella croce di Cristo, per mezzo della quale il mondo per lui è stato crocifisso e lui per il mondo. Nella morte e risurrezione del Signore gli uomini possono diventare nuove creature, perché non conta più la circoncisione o la non circoncisio-ne. Così, sia per quelli che credono nella morte redentrice del Signore, sia su tutto l’Israele di Dio sia pace e misericordia. Augurando ai Galati, infine, che la grazia del Signore Gesù sia con il loro spirito, dice che nessuno, sia dei connazionali sia dei pagani, può dargli fastidio, perché egli porta nel suo corpo le stigmate di Gesù Cristo.
L’essere nuove creature in Cristo crocifisso significa confidare solo sulla grazia che è sgorgata dalla sua morte e non nei propri meriti e virtù. Ad imitazione di Gesù, il cristiano, come diceva Paolo di sé, è un crocifisso: la salvezza dell’uomo, realizzazione della regalità di Dio, passa attraverso la croce, perché da essa viene la pace, la riconciliazione dell’umanità con Dio e l’abbondanza della sua misericordia. Nella vita, imitando Cristo, dobbiamo portare anche noi le « stigmate di Gesù », nella fedeltà al Vangelo e alle opere compiute in conformità alla volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12.17-20.
Gesù, inviando avanti a sé a due a due i discepoli dove stava per recarsi, diceva: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe !». Li manda come agnelli in mezzo ai lupi e non devono portare né borsa, né sacca, né sandali e non devono fermarsi a salutare nessuno. Entrando nelle case devono augurare la pace che, se sarà accolta, scenderà in esse perché vi saranno figli della pace.
Se accolti, dovranno restare nelle case mangiando e bevendo di quello che si ha, perché si ha diritto alla ricompensa. Devono, ancora, nelle città dove vengono accolti, guarire i malati e annunziare che è “Vicino a voi il regno di Dio”. Nelle città dove non si sarà accolti, bisogna scuotere la povere che si è attaccata ai loro piedi, dicendo: « Sappiate, però, che il regno di Dio è vicino », perché nel giorno del giudizio, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città. Di ritorno, i settantadue dicono al Signore: « Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome ». E Gesù:« Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi! Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Poiché il Regno di Dio, la redenzione è vicina, Gesù invia i discepoli ad annunziare al mondo la pace, la consolazione. Le caratteristiche che accompagnano il discepolo devono essere la povertà, la fiducia, l’austerità, facendo affidamento sulla forza di Cristo che libera dalle malattie e preoccupato solo di annunziare la salvezza. Chi non accogliesse o rifiutasse questo annunzio di salvezza incorrerebbe nella condanna, perché si rifiuterebbe la grazia e il giudizio di Dio incomberebbe su di lui, che sarebbe trattato più duramente degli abitanti di Sodoma, in cui non sono stati compiuti i segni che sono stati compiuti da Cristo e dai suoi discepoli.À
SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO.
29 GIUGNO 2025: SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI
PIETRO E PAOLO.
In questa XII Domenica la Chiesa celebra la solennità dei Santi Pietro e Paolo, coloro che sono due grandi colonne della fede cattolica. Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia chiediamo al Signore: « O Dio, che ci doni la grande gioia di celebrare in questo giorno la solennità dei santi Pietro e Paolo, fa’ che la tua Chiesa segua sempre l’insegnamento degli apostoli, dai quali ha ricevuto il primo annunzio della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo… »
Gli apostoli Pietro e Paolo, con i loro scritti, ma soprattutto con la testimonianza della loro vita, avvalorata con il martirio sostenuto per Cristo, oggi vengono onorati insieme. Entrambi sono , pur per vie diverse, Pietro con la chiamata diretta ad essere apostolo lungo la vita terrena di Gesù, Paolo, dopo la risurrezione del Signore, sulla via di Damasco , mandati ad annunziare Cristo Signore, morto e risorto, realizzando la missione che Gesù affidò loro insieme agli altri apostoli, per la salvezza degli uomini
At. 12, 1-12
Leggiamo negli Atti dei Apostoli che Erode, perseguitando i membri della Chiesa e aver fatto uccidere Giacomo, fratello di Giovanni, fa arrestare Pietro, che messo in prigione e custodito scrupolosamente in carcere, viene liberato miracolosamente per le preghiere che la Chiesa eleva a Dio. L’angelo invita Pietro ad alzarsi, a vestirsi e a seguirlo in fretta, anche se egli non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo. Oltrepassando le guardie, anche la porta di ferro si aprì, mentre nel frattempo l’angelo si allontanò da lui.
Il Signore non abbandona Pietro e mediante il suo angelo lo libera avendogli il Signore promesso la sua assistenza. L’apostolo è arrestato perché discepolo, ma viene liberato dalla schiavitù del male. Anche la Chiesa, nelle vicende della sua storia dovrà ripetere come Pietro la sua professione di fede nel Cristo e confidare in lui, suo Signore.
Seconda lettura: 2Tm 4,6-8.17-18.
Paolo, riguardando, alla fine della sua vita. le vicende del suo passato, posseduto da Cristo che, sulla via di Damasco, lo ha chiamato ad essere suo discepolo, dice che egli sta per essere versato in offerta perché è giunto in momento che « egli lasci questa vita », in cui ha combattuto la buona battaglia, terminando così la sua corsa, avendo conservato la fede nel Signore, pur attraverso tempeste e ansietà della vita, pericoli per terra e per mare, ostacoli, lotte, persecuzioni, confronti aspri, discussioni dottrinali (riguardo alla risurrezione del Signore, ecc. tanto che scrive di essere stato liberato dalla bocca del leone. In ultimo, come un atleta, soffre per la tensione per la vittoria, effondendo tutte le sue energie per conseguire la corona di giustizia, che non appassisce, da parte del Suo Signore Gesù, per il quale ha speso tutta la sua vita.
Vangelo: Mt 16,13-19.
In questo brano del Vangelo, Gesù, giunto a Cesarea di Filippo, chiede ai discepoli di dire cosa la gente pensa del Figlio dell’Uomo. Dopo le varie risposte di essere, per la gente, Giovanni il Battista, Elia, Geremia o un qualche profeta, Gesù chiede espressamente ai discepoli chi egli sia per loro. Pietro risponde « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù gli dice: « Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli ».
Gesù allora cambiandogli il nome gli dice: « Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa ». Cambiandogli il nome, Gesù gli cambia anche il destino. Perché non sarà più pescatore di pesci, ma di uomini e diviene anche roccia sulla quale Gesù getta le basi dell’edificio della Chiesa, di cui, però , egli sarà la pietra angolare, esprimendo così un vincolo di partecipazione in tale costituzione. Gesù continua:« A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto quello che scioglierai sulla terra sarà sciolto dei cieli ». Le chiavi sono il simbolo di responsabilità e dominio su di essa. Sono immagine efficace della potestà che Cristo trasmette a Pietro: Cristo è il fondatore e il sovrano del regno che egli costituisce, ma il responsabile immediato, nelle vicende storiche della Chiesa è Pietro e i suoi successori che deve esercitare il potere in modo delegato.
Il simbolo del legare e sciogliere è riferito al potere di permettere e proibire nell’ambito degli insegnamenti che riguardano la dottrina di fede e della vita morale. L’apostolo Pietro, in comunione con il collegio apostolico è chiamato ad insegnare, evangelizzare e decidere sulle qualità morali delle scelte umane alla luce della fede, della Parola di Dio e di Cristo.