





" DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE"
2 AGOSTO- XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. (Anno A).
Nella celebrazione della Eucaristia non basta offrire al Padre il sacrificio della croce, Gesù, vittima gradita a Dio, è necessario che anche faccia parte di questa offerta la nostra vita, che viene trasformata insieme come offerta perenne. I segni del sacrificio del Cristo devono diventare anche i nostri segni, perché ogni aspetto della vita porti le impronte dell’amore di Cristo. Anche il lavoro e le attività quotidiane, se svolti con spirito di carità e di fraternità verso i poveri e i sofferenti, come ha fatto Cristo, esprimeranno il nostro servizio verso tutti gli uomini. Così ci rivolgiamo al Padre nella preghiera iniziale:« O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamato a possedere il regno, fa’ che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall’ egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te ».
Gesù soddisfa il nostro desiderio di Dio.
Le realtà terrene, di cui l’uomo ha bisogno, come il cibo, la casa, il vestito, sono certo necessarie, ma anche l’amore, la speranza, la gioia, sono realtà che desideriamo e perseguiamo con tenacia. Che tipo di fame noi abbiamo? Chi è benestante non esaurisce spesso nel cibo, nei beni terreni, nel denaro, nel sesso, nell’ apparire il suo orizzonte esistenziale?
Dio solo, vuol dirci Gesù moltiplicando i pani, appaga la fame dell’uomo; non solo la fame di cibo, ma anche quella spirituale attraverso la sua parola, le realtà divine, poiché “ Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, e ci insegna così che non possiamo limitarci al solo orizzonte terreno.
Davanti alle diverse forme di fame che l’uomo sperimenta e che Dio può soddisfare, la Chiesa ci ricorda che, non possiamo deresponsabilizzarci di fronte ai bisogni dell’umanità, standocene con le mani in mano, aspettando tutto da Dio, perché la sua provvidenza giunge all’ uomo attraverso la giustizia, la uguaglianza e la solidarietà economica tra i popoli e, in supplenza, attraverso la carità, come dice Gesù ai discepoli: « Voi stessi date loro da mangiare ». Davanti alla nostra indigenza, come a quella sperimentata dagli apostoli, segno dell’incapacità umana di soddisfare le necessità dell’umanità, Gesù che moltiplica i pani, come il nuovo Mosè che guida il popolo e lo sazia in « un luogo deserto », dice: « Portatemi qui i pani che avete »: così la nostra povertà è resa sovrabbondante dalla potenza di Dio.
Prima Lettura: Is 55,1-3.
Il banchetto dell’era messianica.
Come la provvidenza di Dio, nei quarantanni del deserto, venne incontro al popolo ebraico, così il profeta Isaia ai deportati di Babilonia, preannunzia le promesse di Dio, che sfamerà gratuitamente il suo popolo: « O voi tutti assetati, venite all’ acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? » (Is 55,1-2).
Un’acqua che disseta e un cibo gratuito e buono è ciò che Dio promette al popolo degli esiliati : meglio, a quelli che tornano a lui con la conversione e con l’ascolto della sua parola. L’alleanza vera, nonostante le apparenze, non è distrutta. Anzi Dio ne promette una eterna.
Il profeta, quindi, non si riferisce solo al cibo materiale, ma anche alle realtà spirituali della dignità, della speranza di libertà di cui quello è simbolo, che Dio realizzerà rinnovando l’alleanza fondata, non sui meriti o la fedeltà del popolo, ma sul suo amore: « Io stabilirò per voi un’alleanza eterna »(Is 55,3).
Dietro il linguaggio immaginoso sta la realtà della grazia che viene elargita quando l’alleanza è stabilita da Dio nel suo stesso Figlio che, nel suo ministero, pone la sua opera a sfamare nel deserto la folla in maniera gratuita e sovrabbondante, nel suo Sangue pone una inscindibile comunione con il Signore e imbandisce il banchetto dell’Eucaristia, dov’ è distribuita la vera sapienza ed è elargito il dono dello Spirito, la vera acqua che disseta per sempre e che sgorga dal cuore di Gesù.
Seconda Lettura: Rm 8,35.37-39.
Il legame, che unisce il cristiano a Gesù Cristo è talmente forte, che non c’è condizione, pur difficile o disagevole che sia, che valga a scioglierlo.
Gesù è il segno assoluto dell’amore di Dio per gli uomini. E’ un amore forte quello di Dio, datoci nel suo Figlio, per cui Paolo ci ricorda che nessuno « Potrà separarci dall’ amore di Cristo »,
C’è poi la forza di « colui che ci ha amati ». Questo amore divino resiste davanti a qualsiasi aggressione, davanti al tentativo di qualsiasi creatura e in tutte le difficoltà « noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati … né morte né vita … né presente né avvenire … né alcun altra creatura potrà mai separarci dall’ amore di Dio, che è in Cristo Gesù » ( Rm 8,39). Si tratta di credere a questa carità, che ci precede e che ha trovato la sua manifestazione in Cristo.
Vangelo: Mt 14,13-21.
Gesù, dopo aver appreso della morte di Giovanni il Battista, si ritira nel deserto e la gente lo cerca, lo segue, lo trova, perché spera di poter essere soddisfatta nel bisogno di una guarigione, nei desideri e nelle varie attese, anche se non sempre tutte queste cose corrispondono a ciò che Gesù rivela di sé e di Dio. L’uomo, ma soprattutto il credente, deve valutare e vagliare se i propri desideri o le proprie attese corrispondono a ciò che Dio vuole da lui e, per il cristiano, se sono conformi alle istanze evangeliche.
Gesù, vedendo tutta quella folla che lo seguiva ormai da più giorni, « sentì compassione per loro », non resta indifferente, mette al servizio dell’umanità la sua potenza, guarendo i malati e moltiplicando i pani. Manifesta così la sollecitudine fattiva di Dio per l’uomo. Fin dall’ inizio della sua attività, Gesù ha guarito malati, scacciato demoni, rivelando che la potenza di Dio è più forte del male, che pur manifestando, dopo la tragedia del peccato originale, il suo dominio sull’ uomo, Dio però non ha abbandonato l’uomo. Come attesta la storia biblica e la vita di Gesù, Dio non accetta, né permette, né sopporta, ma solo tollera il male che affligge l’uomo, così come dimostra tutta l’attività di Gesù e la sua stessa morte, che viene vinta dalla sua risurrezione.
Ma dietro al miracolo, già intravvediamo l’istituzione dell’Eucaristia, dove Gesù stesso è il Pane della vita per la Chiesa lungo il cammino, nel tempo del suo esodo. Il miracolo della moltiplicazione dei pani si rinnova, a livello ancora più sorprendente e portentoso, ogni volta che prendiamo parte alla mensa del Signore, specialmente nel giorno del Signore, la Domenica.
Non basta, però, offrire al Padre il sacrificio della croce, cioè Gesù, la vittima assolutamente gradita al Padre. Bisogna a nostra volta entrare realmente a far parte di quell’ offerta. L’Eucaristia deve trasformare « in offerta perenne tutta la nostra vita ». E’ questo quello che devono manifestare i segni del sacrificio di Cristo, diventato nostro sacrificio. Ogni aspetto dell’esistenza deve portare le impronte della carità di Cristo, anche il lavoro e l’attività quotidiana, svolti con spirito di carità e fraternità verso « i poveri e i sofferenti » a imitazione di Cristo, e con impegno di dialogo e di servizio verso tutti gli uomini.
IL REGNO DEI CIELI E' SIMILE AD UN TESORO, AD UNA PERLA, AD UNA RETE.
26 LUGLIO-XVII DOMENICA - TEMPO ORDINARIO (Anno A)
Partecipare al sacrificio dell’Eucaristia vuol dire celebrare il memoriale della passione, morte e resurrezione del Signore che, in virtù dello Spirito Santo, attualizza nella vita del credente il suo mistero di salvezza. Lo Spirito, che trasforma il pane e il vino nella presenza reale di Cristo, ci dà la possibilità, alla mensa del Signore, di « condividere il pane disceso dal cielo ». L’accento, ancora una volta in questa Eucaristia, è posto sulla Pasqua domenicale e, nella preghiera iniziale, ci rivolgiamo a Dio dicendo: « O Padre, fonte di sapienza, che ci hai rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa, concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono ». Tutto ciò che è necessario alla vita quotidiana, davanti a questi doni, deve essere ricercato e usato saggiamente, senza che l’impegno per le realtà quotidiane ostacoli la continua ricerca dei beni celesti. E qualora dovesse intralciare questa ricerca bisogna essere capaci di rinunziare a ciò che ci ostacola nel cammino verso il Regno, che è il vero tesoro nascosto e la perla preziosa..
Prima Lettura : 1 Re 3,5.7-12.
Salomone al Signore che, in sogno, gli dice di chiedergli ciò che vuole che Egli gli conceda, risponde pregando: « Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e distinguere il bene e il male ». Poiché piacque al Signore ciò che aveva chiesto, Dio gli disse: « Poiché mi hai chiesto questa cosa e non molti giorni, né hai domandato per te ricchezze, né la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole ». Il Signore gli concesse « un cuore saggio e intelligente »,cosicché come lui non ci fu nessuno prima, né ne sorgerà uno dopo.
Salomone domanda al Signore la saggezza nel governare e il Signore la concede largamente al re. La saggezza è una grazia che vale molto più della longevità, delle ricchezze e delle vittorie. Essa è necessaria ad ognuno di noi, cosicché sappiamo distinguere il bene dal male, per essere giusti e non farci facilmente prendere dai pregiudizi, dalla vanità, dal tornaconto, dalla passione, dalla tracotanza, dalla presunzione. Il dono della sapienza è un dono dello Spirito Santo e lo possiede un’anima in grazia e chi domanda un « cuore docile », attento, disposto a lasciarsi guidare. Anche la nostra vita ha bisogno di un saggio governo spirituale.
Seconda Lettura: Rm 8,28-30.
San Paolo scrive ai Romani dicendo che siamo oggetto dell’amore provvidenziale del Padre celeste, per cui « tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono chiamati secondo il suo disegno ». Infatti, quelli che da sempre egli ha conosciuto, li ha « anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, primogenito tra molti fratelli », li ha chiamati, li ha anche giustificati e, infine, li ha anche glorificati. Nessuna condizione o situazione, per difficile e complicata che sia, può far fallire il piano d’amore che Dio Padre ha su noi. Considerando quanto Dio ha fatto per noi, che ci ha predestinati ad essere conformi al suo stesso Figlio, divenuto nostro fratello e, con tale destinazione, ci ha chiamati alla vita, ci ha giustificati e redenti mediante il sangue di Cristo, siamo ormai avviati e attesi per la gloria. Con questi punti fermi della storia di salvezza, predisposta dal Padre delle misericordie, nutriamo la speranza che Dio non ci abbandonerà mai, ma ci tiene cari e ci sorregge: questa è la ragione dell’ottimismo cristiano.
Vangelo: Mt 13, 44-52.
Ancora attraverso le parabole del regno che l’evangelista Matteo ci narra, Gesù vuole farci scoprire l’importanza che deve avere per noi il regno di Dio.
Esso viene paragonato ad un « tesoro » che un contadino trova nel campo e decide di vendere tutti i suoi averi e compra il campo; o ad una « perla » che un mercante, avendone trovata una di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora Gesù paragona il Regno di Dio ad una « rete », gettata dai pescatori nel mare,« che raccoglie ogni genere di pesci » e quando è piena viene tirata a riva e « i pescatori, stando a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi ».E Gesù conclude dicendo che così avverrà alla fine del mondo quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente. Chiedendo Gesù agli apostoli se hanno compreso tutto quel discorso, avendo essi risposto affermativamente, egli conclude dicendo: « Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche ».
Fare nella vita anche scelte radicali secondo la sapienza del Signore è essere evangelicamente saggi. Per chi intraprende questo cammino le cose che prima parevano acquistare valore, passano in secondo ordine e si diventa capaci anche di rinunziarvi, per acquistare realtà più preziose.
Il Vangelo di oggi ci propone un’istanza opposta a quella di un cupo cristianesimo. La fede cristiana è un’ esperienza da viversi con gioia benché sia un cammino ascetico. Certamente si esclude la gioia se si pone l’accento solo nell’ascesi, necessaria per la vita spirituale. Una visione cupa del cristianesimo, un’accentuazione della sofferenza e delle penitenze, un’esaltazione del dolore rendono la sequela di Cristo non conforme alla visione evangelica della vita cristiana.
Riformulare la concezione e le pratiche di vita ascetica e mistica, riscoprendo il perché di certe scelte, è come restaurare un’opera d’arte per recuperarla nella sua originaria bellezza e farla fruire agli appassionati. Così, accogliendo l’esortazione del Vangelo, il discepolo di Gesù « è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche »(Mt 13,52). In questo tesoro vi sono cose antiche, ma non per questo vecchie, inutilizzabili, come la preghiera, lo spirito di rinunzia, l’esigenza di accettare le sofferenze della vita con la rassegnazione evangelica, le esigenze della sequela del Signore, e cose nuove, come le esigenze , le domande e le scoperte dell’oggi che rinnovano e riattivano le cose antiche.
I personaggi delle parabole, l’agricoltore, il mercante che trovano oggetti di grande valore sono « pieni di gioia » e, di conseguenza, sono motivati a vendere tutto pur di acquistare il campo o comprare la perla preziosa. Così la gioia della scoperta di cose preziose e le conseguenti scelte nulla tolgono all’agire prudente del saggio: la gioia, allora, è compatibile con le difficoltà e le conseguenze che le scelte comportano: Se capissimo il valore del Regno di Dio, che è poi il valore di Gesù Cristo!
Di fronte a lui tutto diviene invalido e si deprezza. Tutto si vende; da tutto ci si distacca: si supera ogni difficoltà, pur di averlo: è il tesoro nascosto e la perla preziosa. I veri discepoli lasciano ogni cosa per lui: tutto è riferito a Lui. Ma questo – si noti – deve valere per ogni cristiano, che semplicemente abbia compreso il Vangelo.
Una concezione corretta e non patetica della gioia sa distinguere tra la serenità d’animo, pacificante, inalterabile, anche di fronte alle difficoltà, e l’esaltazione dell’euforia tanto vivace quanto effimera. La scelta del Regno è motivata da una gioia che è capace di reggere lo sforzo ascetico, vissuto non come fine a se stesso ma come predilezione per Gesù e per il Regno, che richiede discernimento, virtù spirituale volta all’azione, come fa Salomone nella preghiera al Signore, a cui chiede il discernimento per governare e amministrare la giustizia e assolvere meglio al proprio compito come servizio a Dio e al popolo.
Se scegliere di seguire Cristo e il Regno comporta un orientamento di fondo della propria esistenza, bisogna poi saper incarnare tale scelta con azioni concrete in cui ognuno si trova, per porsi sempre al servizio di Dio e dei fratelli.
Tra le difficoltà e il conflitto di interessi e il valore del Regno, i primi possono soffocare la scelta del secondo, così come accade con il giovane ricco, che mosso da un autentico desiderio di perfezione, davanti alla risposta radicale di Gesù, che comportava un prezzo non indifferente, il vendere i suoi beni e seguirlo, « se ne andò, triste » (Mt19,22).
Cristo è però anche il punto di confronto per il giudizio: alla fine della vita, al termine della storia, avverrà la grande divisione, il decisivo discernimento, la separazione del bene dal male, tra pesci buoni e cattivi, dopo che in questa vita avrà avuto luogo la confusione.
Dobbiamo vivere e fare le nostre scelte con questo punto di confronto finale, scelte che oggi facciamo rispetto a ciò che vogliamo essere, quasi anticipando ogni volta il giudizio che poi verrà dato sulle nostre azioni.
ESSERE TESTIMONI DELLA VERITA' E DELLA BELLEZZA DEL REGNO DI DIO.
19 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo: nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della tua Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui, che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere » ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna « come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo, come noi vorremmo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento, che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
ESSERE TESTIMONI DELLA VERITA' E DELLA BELLEZZA DEL REGNO DI DIO.
19 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Accogliere Cristo: nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei fratelli.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio: espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella Colletta di questa Eucaristia preghiamo dicendo: « Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della tua Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno ».
Prima Lettura: Sap 12,13.16-19.
Il libro della Sapienza, oggi, ci dice che non c’è Dio fuori di lui, che si prende cura delle cose create, perché debba difendersi dall’accusa di essere giudice ingiusto. Poiché Dio è padrone di tutte le cose ed è indulgente, la sua forza è principio della giustizia e la mostra « quando non si crede alla pienezza del suo potere » ed egli rigetta « l’insolenza di coloro che pur la conoscono».
Poiché, ancora, può tutto, egli giudica con mitezza e ci governa con indulgenza. Così agendo, Dio insegna « come il giusto deve amare gli uomini » e dà ai suoi figli « la buona speranza, che, dopo i peccati » concede il perdono.
Mentre tra gli uomini possiamo constatare la protervia del potere, unito alla violenza e al dominio, nei confronti degli altri uomini, Dio esercita la sua forza e potenza, in maniera diversa, con giustizia e pazienza, perché altrimenti chi potrebbe resistergli. Ma se Egli esercita, nei nostri confronti, la sua infinita pazienza e misericordia, perché ci attende nonostante i nostri fallimenti, applica anche per ognuno di noi la sua giustizia.
A questo modo di agire si deve conformare il nostro comportamento, specie quando vorremmo un intervento più preciso e puntuale nel reprimere il male da parte di Dio o della giustizia degli uomini. Questa maniera di fare di Dio deve infonderci la speranza che Dio non abbandona le sue creature e ci assicura che « dopo i peccati » dà sempre la possibilità di pentirsi. Occorre molta pazienza e fiducia, che accompagnano i nostri sentimenti e le nostre inquietudini. D’altra parte, non dimentichiamo che è anche detto che Dio « rigetta l’insolenza ».
Seconda Lettura: Rm 8,26-27.
San Paolo, scrivendo ai Romani, li esorta ad avere sempre fiducia in Dio, poiché lo Spirito del Signore ci soccorre nella nostre debolezze e, non sapendo pregare come si conviene, lo stesso Spirito intercede per noi con gemiti inesprimibili. Colui, poi, che scruta i cuori conosce cosa desidera lo Spirito, poiché « egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio ».
Se crediamo veramente che in noi abita lo Spirito Santo e ciò non è solo una certezza più o meno astratta, ma che realmente è in noi, prega dentro di noi e ci suggerisce le intenzioni nella preghiera, dobbiamo solo lasciarci guidare da lui, che ci conforma nella volontà di Dio.
Vangelo: Mt 13,24-43.
La Parola del Vangelo della Liturgia di oggi ci presenta diverse parabole, che mettono in rapporto due realtà, il Regno di Dio, con al sua potenza e forza, e il male che vuole contrastare l’espandersi del bene e della realtà del Regno.
Nella campo del regno dei cieli è seminato il buon seme della Parola di Dio ma, mentre i servi dormono, il nemico vi semina la zizzania. Lo spuntar di entrambi allarma i servi del padrone che gli chiedono di estirpare la zizzania. Ma il padrone, constatando che un nemico aveva gettato la zizzania, dice loro: « “No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece mettetelo nel mio granaio”».
Nel piccolo seme di senape, che seminato nel campo cresce e diventa arbusto e gli uccelli vi fanno il nido, Gesù esprime la capacità che ha il regno dei cieli che, da piccola realtà iniziale, diventa capace di accogliere tutti coloro che vogliono parteciparvi. Inoltre, come il lievito, mescolato dalla donna nella farina, la lievita e fermenta tutta, così il regno dei cieli permea e trasforma tutti coloro che lo accolgono.
Parlando Gesù in parabole attua la profezia che dice: « Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo ».
Gesù, spiegando la parabola della zizzania ai discepoli, dice che il Figlio dell’uomo è il seminatore del buon grano e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e chi l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e gli angeli i mietitori, a cui verrà detto alla fine di raccogliere la zizzania e bruciarla, cioè di raccogliere dal regno « tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. I giusti risplenderanno, invece, come il sole nel Regno del Padre loro ». Conclude Gesù dicendo: « Chi ha orecchi, ascolti! ».
La zizzania.
Così, nei primordi dell’annunzio del Regno, molti pensarono che esso si sarebbe realizzato nell'’immediato, ma il passare delle generazioni e dei secoli hanno smorzato l’entusiasmo iniziale e ci è resi conto che lavorare per l’avvento del Regno di Dio non è facile, perché bisogna resistere nelle tentazione, tra le persecuzioni e gli scandali derivanti da comportamenti di infedeltà dei peccatori all’ interno della Chiesa stessa.
A parte il seme che cade lungo la strada ed è beccato, quello che cade in terreno sassoso e secca, tra il buon seme della sua Parola, seminato dal Signore nel suo campo, come nella parabola del Vangelo di oggi, spunta anche la zizzania. Non è stato certo solo nella Chiesa delle origini che si è faticato per non perdere la tensione verso il Regno, ma anche oggi i cristiani devono affrontare le varie resistenze che si oppongono alla realizzazione del Regno di Dio.
Ma tutto il tempo della storia è tempo di misericordia di Dio, perché gli uomini si convertano. La libertà, di cui Dio ha dotato l’uomo, può trascinarlo nelle sue quotidiane scelte di vita, a tradurre gli ideali di bene e le sue capacità, le sue ispirazioni, la sua Parola, seminate nel suo cuore, da buon grano in zizzania. Per ognuno la propria vita è tempo per imparare a discernere il bene e il male, non quello di giudicare il buono e il malvagio. La parabola ci insegna che questo è il tempo della misericordia, della pazienza e del non peccare di presunzione, volendo chiedere a Dio di affrettare il suo giudizio, per estirpare il male.
La parabola della zizzania ci invita, nel nostro oggi, a prendere posizione a favore del Regno di Dio, ad averlo nelle nostre scelte e nei nostri desideri con l’ampio orizzonte di Dio, trovando in esso il senso del nostro agire.
Le altre parabole, quella del granellino di senape e del lievito, se fanno risaltare la sproporzione tra la piccolezza del seme e la grandezza del realizzarsi finale del Regno di Dio, devono anche farcelo concepire non come un avvenimento clamoroso, invadente, che subito s’imponga. Il Vangelo cresce a poco a poco, con una forza interna, capace di permeare tutta la massa dell’umanità nelle varie epoche di vita degli uomini, qualora questi mostrassero la disponibilità ad accoglierlo nella propria vita. E’ perciò necessario che il seme muoia per poter crescere rigoglioso. Si deve credere, quindi, alla sua forza interna, simile – dice Gesù – a quella del granellino di senape, dagli inizi insignificanti: la croce di Cristo e la sua morte umana, realtà piccole e deboli, hanno espresso la potenza di Dio per l’inizio e l’incremento del Regno.
Il lievito solo sciogliendosi e confondendosi con la farina può farla fermentare, non certo il restare separati e distinti.
La piccolezza del seme e la commistione tra lievito e farina, realtà piccole, producono un effetto grandioso: frutto di una operatività che sfugge all’uomo, che dovrebbe saper vivere realizzando il bene anche in mezzo alle resistenze, alle contraddizioni, alle difficoltà e alle incompiutezze.
La tentazione di accelerare i tempi per il giudizio, che certo ci sarà, ma che è nel tempo e nelle mani di Dio e non nostri, significa non voler accettare l’interiorizzazione delle leggi del Regno, che sono la piccolezza, la commistione di puro e impuro.
Tre insegnamenti dalla pagina del Vangelo che leggiamo.
- Dio non interviene subito nella storia dell’uomo, come noi vorremmo.
- E’ paziente. Aspetta. Ma alla fine il male sarà strappato ed eliminato.
- Non dobbiamo lasciarci sconvolgere dalla presenza del male nel mondo; dobbiamo sopportarlo ed avere fiducia insieme nella giustizia e nella misericordia del Signore. « I figli del Maligno », « quelli che commettono iniquità » non avranno riuscita. Occorre fare il bene con serenità e con la certezza che « i giusti splenderanno ».Se nella vita degli uomini una medesima realtà può essere vissuta in maniera diversa a seconda delle capacità di ognuno, ma anche per le finalità che poniamo nel nostro agire, nel pensare, sognare in grande e, di conseguenza, operare per partecipare ad un grande progetto non significa illudersi. Se i grandi orizzonti, anche un po’ visionari, danno un senso al nostro agire concreto, bisogna, però, mettere in conto le difficoltà che si incontreranno lungo il cammino: far fronte allo smarrimento, che può essere causato dalla derisione della gente, affrontare il disincanto di coloro che non condividono il nostro orizzonte, l’assenza di risultati immediati, ecc. Si raggiungono le grandi mete imparando a superare le difficoltà, le deviazioni, le contraddizioni che si incontrano lungo il cammino: esse si raggiungono con fatica e un percorso accidentato può far facilmente scoraggiare.
LA PAROLA E' VIVA ED EFFICACE.
XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - Anno A
L’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, è stato dotato della libertà. Ma ci domandiamo: quale uso fa l’uomo della sua libertà nel suo rapporto con il Creatore? L’uomo può accogliere o rifiutare il dialogo e la parola con cui Dio lo interpella, anche se ciò è avvenuto attraverso il suo stesso Figlio, venuto tra noi. A seconda della disponibilità o indisponibilità dell’uomo, la Parola di Dio può portare il suo frutto nel cuore di chi l’accoglie: il seme è gettato, ma potrebbe andare disperso.
Nel Vangelo di oggi, la parabola del Buon Seminatore, se nella prima parte è messo in risalto il lavoro del seminatore, che sparge il seme, nella seconda parte viene sottolineato quale frutto matura nelle varie situazioni del terreno in cui il seme è sparso.
Tutti gli ascoltatori, a cui Gesù si rivolge annunziando la lieta novella del Regno, comprendono il significato della parabola, se agli apostoli Gesù ne spiega il significato? Secondo la profezia di Isaia, citata nel brano, coloro a cui Gesù si rivolge, udrebbero sì, ma non comprenderebbero, guarderebbero ma non vedrebbero a causa dell’insensibilità del loro cuore, della durezza dei loro orecchi, e della cecità dei loro occhi.
Gesù, che è il seminatore, nel narrare la parabola, ci permette di contemplarne il significato nella sua persona e nella predicazione che egli fa. Anche a noi Gesù ripete: « Chi ha orecchi, ascolti ». Cristo, nel nome del Padre, per sua libera iniziativa, semina la Parola del Regno che è dono elargito all’uomo, Parola rivolta a tutti senza distinzione di sorta.
Sembra, però, che l’opera della semina sia quasi fallimentare, se si pensa che solo nella quarta tipologia di terreno il seme porta frutto, mentre nelle altre tipologie il seme, pur spuntando, viene impedito nel suo sviluppo dalle situazioni del terreno e non per difetto del seme, che è sempre buono e capace di produrre.
Nei cuori degli uomini i quattro tipi di terreno non si trovano cosi nettamente connotati. Spesso il cuore di ognuno è un misto dei quattro tipi, o contemporaneamente o in tempi diversi. Fare in modo che il proprio cuore diventi terreno produttivo senza compromessi è il compito affidato a ciascuno, durante il cammino di purificazione lungo la propria esistenza. Siamo chiamati nel percorso della nostra vita spirituale ad evitare che il nostro cuore si indurisca, evitare che pur “sentendo non ascoltiamo, pur vedendo non vediamo e non comprendiamo”. E’ la lotta contro il Maligno che ruba la Parola; contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni; contro “le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza”. Saremo allora produttivi se faremo, con la grazia di Dio e la forza dello Spirito, germogliare il seme che ci è stato donato e lo faremo fruttare nella vita di fede e nella vita di orazione, anche dopo una inesausta lotta contro tutto ciò che vi si oppone.
La profezia citata spiegherebbe la difficoltà che ha il seme di svilupparsi e portare frutto. Se il Regno di Dio non è accolto non è per una ristrettezza di Dio nell’annunziarlo, non è per una predestinazione divina alla dannazione. E’ per la indisponibilità dell’uomo all’ascolto. Dio per parte sua è magnanimo, anche nel rispettare la libertà dell’uomo. Ogni uomo è affidato alla propria libertà, alla propria responsabilità. Per esempio, i miracoli di Gesù, da parte dei sapienti e dei dotti, sono considerati eventi prodigiosi e non vengono accolti; per i “piccoli” sono eventi che aprono alla fede. Così vi sono alcuni che “guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono” (Mt 13,13).
Chi apre invece il cuore all’ascolto, allora la Parola porta frutto e rende “ beati gli occhi perché vedono e gli orecchi perché ascoltano e comprendono”.
Ascoltare e comprendere: sono i due atteggiamenti di chi porge orecchio attento, disponibile, libero e di conseguenza traduce in prassi di vita l’appello della Parola.
Ci professiamo cristiani. Non si tratta di un’etichetta o di una distinzione esteriore, ma di un impegno e di uno stile di vita. Dobbiamo coerentemente « respingere ciò che è contrario a questo nome » e « seguire ciò che gli è conforme ». Le orazioni di questa domenica ritornano su questa esigenza e parlano di « opere di giustizia e di pace »; di annunzio dello Spirito « con la fede e con le opere »; di « cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli ». Non illudiamoci che basti insistere su questo tema nella liturgia per rendere concreta questa fraternità, che sia sufficiente parlarne. Spesso la consistenza delle nostre azioni è inversamente proporzionata alla frequenza e all’insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Is 55,10-11.
Per quanti ostacoli gli uomini credono di porre di fronte alla Parola e al piano di Dio, essa riuscirà certamente. Ha in sé la virtù di operare. Dio riesce, a dispetto di tutte le apparenze e di tutte le interferenze e opposizioni che l’uomo possa frapporre. E’ un motivo di impegno e di speranza. Ma per parte nostra dobbiamo ricevere questa Parola.
Seconda Lettura : Rm 8,18-23
Siamo già stati redenti, ma ancora siamo sottoposti al travaglio della sofferenza, perché questa redenzione deve diffondersi, purificare, accrescersi. E’ una vita nuova che deve venire alla luce gradatamente. Lo Spirito Santo agisce già, ci è già stato dato come un anticipo, una primizia, dice sempre Paolo. Per tale Spirito siamo a poco a poco liberati dal male e dai suoi condizionamenti. La riuscita è sicura: il termine sarà la redenzione completa e la perfetta conformità con Cristo risorto. Ma la « gloria dei figli di Dio » va aspettata attivamente con la sofferenza delle scelte liberatrici. Il bene è sempre doloroso, è una passione quaggiù, m ha in sé il germe della risurrezione.
Vangelo: Mt 13,1-23.
E’ narrata la vicenda del seme, immagine della Parola di Dio e della sua vicissitudine. Tale Parola riesce certamente, ma di fronte ad essa l’accoglienza può essere assai diversa. Accanto all’accoglienza generosa c’è l'accoglienza incerta, disimpegnata, dubbiosa, incostante, non piena e libera. E persino ci può essere il rifiuto: neppure l’inizio della salvezza. Sono così ritratte varie categorie di uomini e di cristiani. Ascoltare, comprendere e produrre. Ecco l’impegno di ognuno. Per non soggiacere alla condanna di chi ha ricevuto l’annunzio, ma l’ha trascurato, ne ha avuto paura, si è ostinato nel male. La parabola di Gesù era detta agli Ebrei; valeva per la Chiesa primitiva e le sue circostanze; vale per la comunità di oggi e per ognuno di noi.





