





AVVENTO: ATTENDIAMO IL SIGNORE CHE VUOLE NASCERE IN NOI CON I SUOI SENTIMENTI.
1 DICEMBRE - 1a DOMENICA D’AVVENTO. Anno A
Nel tempo dell’Avvento ripercorriamo il cammino dell’umanità dalle origini fino a Cristo. Così i cristiani vivono, attraverso i segni sacramentali, l’attesa del Signore.
L’attesa del Signore che viene è segno e sacramento di salvezza.
Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiani riprendono a meditare i misteri, i gesti della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e al tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).
Questi misteri del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, il suo valore, la grazia della salvezza rimane ancora. Nella celebrazione liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica, vi attingiamo la grazia della salvezza per vivere secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.
L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta. Riascoltando le parole dei profeti, che ci preannunziano questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe. Come loro, anche noi siamo chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini, a redimerci da peccato e a renderci suoi figli donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora, liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.
Il Signore, nato umile e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore, che viene e ci offre la sua amicizia.
In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice, che varrà alla fine dei tempi quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e la speranza del premio eterno cesserà. Ma poiché per ognuno di noi l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.
La Chiesa, Sposa di Gesù, attende il suo Sposo. In questo cammino non possiamo dissiparci, dimenticare Cristo che vuole continuare a rinascere in noi con i suoi sentimenti, i suoi comportamenti, mentre lo ricordiamo nell’avvenimento della sua nascita storica tra noi. Dobbiamo allora riprendere a vivere nella fedeltà a lui e attenderlo nella preghiera, nella speranza, attraverso opere compiute nella vera giustizia divina, nella carità e fraternità, così come la Parola di Dio ci ripropone.
Nella preghiera iniziale della Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli ».
Prima Lettura: Is 2,1-5-
Il profeta Isaia, nella visione profetica che ricevette su Gerusalemme, dice che alla «Fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti ». Molti popoli vorranno salire al monte del Signore, « al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri », riconoscendo che da Sion sarebbe uscita la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.
Il Signore farà da giudice e da arbitro fra i popoli e questi, spezzando le spade, ne faranno aratri e con le lance falci; né le nazioni si alzeranno più a combattersi tra loro e non impareranno più l’arte della guerra: cammineranno a luce del Signore. Tutti saranno, secondo questa visione profetica, chiamati ad accostarsi non certo alla Gerusalemme terrena ma, - come dice Gesù - ad un nuovo tempio, che sarà costruito su di lui, come “pietra angolare” , secondo l’espressione di san Pietro. Tutti saranno invitati ad andare verso di lui, da cui sorgerà una nuova umanità, e in cui non ci saranno più discordie ma si collaborerà nella pace.
Seconda Lettura: Rm 13,11-14.
San Paolo scrive ai Romani e li esorta a svegliarsi dal sonno, nella consapevolezza che ormai la salvezza è più vicina di quando si è diventati credenti. E paragonando la prossima manifestazione del Signore come “ il giorno ” e la sua attesa come “ notte avanzata ”, li invita a gettare via « Le opere delle tenebre » e ad indossare « le armi della luce », a comportarsi «onestamente come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie ». In una parola a rivestirsi dei sentimenti e dei comportamenti del Signore Gesù Cristo. Tutti siamo esor- tati in questo Avvento, nell’attesa di incontrare il Signore, in maniera sacramentale, nel prossimo Natale, ad uscire dal sonno della nostra pigrizia, del peccato e a camminare nella luce del Signore, che la liturgia osanna come “Sole che sorge dall’oriente a diradare le tenebre del male”. Nel Natale dobbiamo rinnovare il nostro cuore, rivestirci dei sentimenti del Signore.
Vangelo: Mt 24,37-44.
Gesù, ricordando i giorni di Noè, in cui gli uomini, nei giorni precedenti il diluvio, mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito ed essi, fino a quando egli entrò nell’arca, non si accorsero di nulla e il diluvio li inghiottì tutti, così sarà anche, - dice - alla venuta del Figlio dell’uomo. Nel momento in cui questa avverrà, tra due uomini che sono nel campo uno sarà preso e l’altro lasciato; tra due donne che macinano alla mola una sarà presa e l’altra lasciata. Allora, esorta Gesù, bisogna vegliare perché non si sa in quale giorno il Signore verrà. Bisogna essere pronti e vigilanti, allora, per la venuta del Figlio dell’Uomo, come un padrone di casa che se sa in quale ora della notte viene il ladro non si lascia scassinare la casa, perché non viene preso di sorpresa. Non sapendo quando avviene il nostro incontro con il Signore, alla fine della nostra esistenza terrena, è necessario essere pronti e vigilanti, per cui non temeremo di incontrarlo.
GESU' CRISTO CROCIFISSO, IL "RE BUONO" DONATO DAL PADRE.
20 NOVEMBRE – SOLENNITA’ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO.
Giornata di sensibilizzazione per il sostentamento del Clero
In questa ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo, Re dell’universo, la cui regalità si costruisce giorno per giorno con la grazia e l’impegno di testimoniarlo con la fede e la carità operosa verso Dio e i fratelli. La regalità del Signore Gesù non si fonda come le potenze di questo mondo con la violenza o le armi, ma con il suo sacrificio sulla croce, perché egli «Sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della croce è diventato Signore » e con la sua resurrezione ha realizzato il progetto salvifico del Padre a favore dell’umanità intera.
Questo regno, fondato sulla riconciliazione dell’umanità operata da Cristo con il Padre, nelle vicende tristi e dolorose, che la storia spesso ci fa sperimentare e agli occhi di tanti, sembra che neppure sia presente nel mondo. In realtà è presente e vi fanno parte quelli che si uniscono alla passione di Cristo vivendo nella giustizia e nella carità, sono disposti a donare la propria vita come il Cristo e a porsi al servizio dell’uomo nelle sua necessità spirituali e materiali, secondo il suo stile ed esempio.
Nella Colletta di questa solennità preghiamo dicendo: « O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua stessa gloria in paradiso ».
2 Sam 5,1-3.
Il brano di Samuele ci ricorda quello che fecero le tribù d’Israele alla morte di Saul, loro primo re. Si recarono in Ebron, dove regnava Davide e, riconoscendosi « ossa delle sue ossa e carne della sua carne », e, inoltre, che aveva guidato Israele durante il regno di Saul e ciò che gli aveva detto il Signore: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele” , conclusero con lui un’alleanza davanti al Signore e lo unsero re di Israele. La regalità di Davide, pur essendo voluta da Dio, non sarà priva di infedeltà e di numerose ambiguità. Ma un suo discendente, Gesù, il Messia, sarà un re fedele e un pastore perfetto, che guiderà il nuovo Israele e realizzerà, dopo Davide, « suo padre», una regalità secondo il volere di Dio e che non avrà fine.
Col 1,12-20.
Paolo, dopo aver esortato i Colossési a ringraziare Dio che li ha resi partecipi della sorte dei santi nella luce, ricorda come Dio, li ha liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del suo Figlio, per mezzo del quale gli uomini hanno la redenzione e il perdono dei peccati. Ricorda inoltre che Gesù è immagine del Dio invisibile, il primogenito della creazione, perché tutte le cose, celesti e terrestri, visibili e invisibili: « Troni, Dominazioni, Principati e Potenze sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono ». Ancora. Ricordando che Gesù è capo della Chiesa, suo corpo, che « è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti» perché è lui che ha il primato di tutte le cose, dice che « è piaciuto a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose » avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose della terra sia quelle dei cieli.
Paolo professa che Dio, per mezzo e in vista del Figlio, generato non creato e che si è fatto carne, ha creato tutti gli esseri e lo ha posto come modello e primogenito di coloro che risorgono dai morti. Ha dato al Figlio la signoria su tutto il creato avendolo riconciliato con il sangue della sua croce: così tutto, uomini e cose, converge nel Cristo e tutto è riconciliato con il Padre. Pur non comprendendo pienamente questo mistero di redenzione e riconciliazione, tutte le cose sono state liberate dal male ed entrano a far parte del regno di Dio, non per un diritto o potere che esse hanno, ma perché riscattate nella morte di Cristo.
Vangelo: Lc 23,35-43.
La scena della crocifissione del Cristo, descritta da Luca, ci rappresenta una varietà di personaggi che sono in rapporto con Signore crocifisso. Il popolo, che in diverse occasioni era stato spettatore entusiasta delle opere benefiche e dei discorsi di Gesù, e che, davanti alla richiesta di Ponzio Pilato, se liberarlo o meno, aveva gridato: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! », dice l’Evangelista: « Sta a guardare ». I capi del popolo, che erano stati capaci di farlo condannare, lo deridono dicendo: « Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto ». Pure i soldati lo deridono e, accostandogli la canna inzuppata d’aceto, affermano, anche se inconsapevolmente: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso«. Ancora. La scritta sulla croce dice: «Costui è il re dei Giudei ». E dei due malfattori, crocifissi con lui, uno lo insulta dicendogli: « Non sei tu il Cristo? Salva ter stesso e noi! »; l’altro, invece, rimproverandolo perché, condannato alla stessa pena, non ha nessun timore di Dio e ritenendo Gesù innocente per non aver fatto nulla di male, dice a Gesù: « Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». E Gesù gli risponde:« In verità io ti dico: oggi con sarai in paradiso ». Sulla croce la regalità di Cristo sembra quella di un uomo sconfitto, senza potere né gloria. Non un vincitore ma un vinto, oggetto di scherno, di uno che ha la pretesa di essere re, ma che viene considerato re per burla. Solo il buon ladrone, condannato come Gesù, sa scoprire in lui la regalità di in re innocente, di uno che non ha fatto nulla di male e a cui si affida e raccomanda, perché lo riceva nel suo regno. A questa confidenza Gesù risponde assicurandogli che, in quel giorno stesso della loro morte, lo accoglierà nel suo regno, nel paradiso. Anche noi peccatori, se riconosciamo in « Colui che hanno trafitto » e che attira a sé, il Cristo, il Salvatore e il Re dell’universo e ci affidiamo a lui con assoluta fiducia, potremo sperare di essere un giorno nel suo regno. Anche le colpe, le più gravi, non devono far disperare nessun uomo, perché siamo stati acquistati dal suo amorea prezzo del suo sangue, sparso per la nostra salvezza: dobbiamo solo avere una fede forte e assoluta.
PERSEVERARE NELLA FEDE, DIMORARE NELL'AMORE.
17 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipando all’Eucaristia, in cui offriamo il Corpo e Sangue di Cristo, chiediamo a Dio la grazia di servirlo fedelmente con impegno costante. Alla fine della nostra vita potremo allora sentire le parole che, nella parabola del servo fedele del Vangelo, il padrone dice al servo : « Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore ». Dall’Eucaristia, nelle vicende della vita, siano esse liete o tristi, riceviamo la forza di essere operosi nella carità, pazienti nelle avversità, perché attraverso esse ci prepariamo il « frutto di un’eternità beata ».
Così ravviviamo nell’incontro con il Signore la speranza di conseguire la vita eterna.
Nella preghiera della colletta ci rivolgiamo al Signore dicendo:« O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa’ che attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita ».
Prima Lettura: Ml 3,19-20.
Nella visione profetica di Malachia viene preannunziato e paragonato il «giorno rovente » della fine come un forno. Coloro che sono superbi e coloro che commettono ingiustizia, essendo come paglia, bruceranno e non la-sceranno « né radice né germoglio ». Per coloro che invece hanno timore del nome del Signore « sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia ». Nel giorno della venuta del Signore, che viene a giudicare, gli ingiusti, come paglia, nella loro inutilità, riceveranno il castigo degli ingiusti, mentre per i giusti e i santi, che hanno amato e venerato il nome del Signore, sarà giorno di gioia e di vita eterna in lui.
Seconda Lettura: 2 Ts 3,7-12.
Scrivendo ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo, che in mezzo a loro non è stato ozioso, né ha mangiato gratuitamente il loro pane, ma ha lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso, pur avendone il diritto di essere sostenuto per il suo ministero, li esorta a guardare a lui come modello di comportamento da imitare. Avendo sentito che alcuni tra loro vivevano in maniera disordinata, senza far nulla e in continua agitazione, ricorda che, mentre era tra loro, aveva dato come regola: « chi non vuol lavorare, neppure mangi » e, esortando costoro nel Signore Gesù, ordina loro di vivere in tranquillità per guadagnarsi il pane. Poiché alcuni tessalonicesi, pensando che la venuta del Signore fosse imminente, si erano dati a vivere da sfaccendati e alle spalle degli altri, Paolo li esorta a non agitarsi inutilmente e a lavorare: infatti l’attesa cristiana della venuta del Signore non è pigrizia e dis-sipazione, ma impegno ad attivarsi e ad assolvere ai propri doveri sere- namente.
Vangelo: Lc 21,5-19.Gesù, prendendo lo spunto dai discorsi che sentiva fare sul tempio, ornato di belle e preziose pietre e dei doni, a coloro che lo ascoltano, profetizzando, dice: « Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta ». Poiché gli chiedono riguardo al tempo e al segno in cui questo avverrà, Gesù raccomanda di non lasciarsi ingannare, perché molti, nel suo nome, diranno: « Il tempo è vicino» e di non andare dietro a loro. Esorta, inoltre, a non terrorizzarsi quando si sentirà parlare di guerre e rivoluzioni, che dovranno avvenire, perché non sarà subito la fine. Ricordando ancora altri eventi, come il sollevarsi di nazione contro nazione, di regno contro regno, di terremoti, carestie, pestilenze, fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo, Gesù dice: « Prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alla prigioni, trascinandovi davanti ai re e ai governatori, a causa del suo nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere ». E, preannunziando che saranno traditi persino dai genitori, fratelli, parenti, amici, che alcuni di loro saranno uccisi e saranno anche odiati da tutti a causa del suo nome, li rassicura promettendo che nessun capello del loro capo andrà perduto. Con la loro perseveranza avrebbero salvato la loro vita. La vita dei discepoli, dunque, nel testimoniare la fede e l’amore per il loro Signore, non sarà facile per tutto quello che Gesù preannunzia. Ma essi, fortificati con l’assistenza, la forza e la presenza dello Spirito del Signore nella loro vita, potranno perseverare ed essere così salvi, in mezzo agli eventi, anche disastrosi, di cui sarà intessuta la storia del mondo e degli uomini. La distruzione di Gerusalemme che avverrà ad opera dell’imperatore romano Tito nel 70 d. C. prima e in seguito da Adriano, prefigurerebbe lo sfacelo e gli sconvolgimenti che sarebbero accaduti nel mondo.
UN UOMO DI NOME ZACCHEO VOLEVA VEDERE GESU'.
3 NOVEMBRE– XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
L’Eucaristia che celebriamo ci nutre, durante il cammino terreno, del Corpo e Sangue del Signore ed essi sono pegno dei beni promessi da Dio, che conseguiremo nella Gerusalemme celeste. Ma mentre siamo in pellegrinaggio, nutriti di Cristo, dobbiamo diventare discepoli del Signore, che si è fatto uomo per nostro amore. Ascoltando la sua parola e aderendo, come lui, alla volontà del Padre, attuiamo con tutto il nostro essere, cuore, sensi e mente il Vangelo, vivendo con uno stile di vita che ci fa condividere con il prossimo tutti beni, spirituali e materiali. Solo così potremo sperare di conseguire i beni spirituali.
Nella colletta iniziale preghiamo il Signore dicendo:« O Dio, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, rendici degni della tua chiamata: porta a compimento ogni nostra volontà di bene, perché sappiamo accoglierti nella nostra casa per condividere i beni della terra e del cielo ».
Prima Lettura: Sap 11,22-12,2.
Il brano della Sapienza ci ricorda che Dio ama tutte le cose che ha creato e continua a farle sussistere e di esse non prova disgusto. Davanti a lui il mondo è come un po’ di pulviscolo sulla bilancia o una stilla di rugiada mattutina.
Potendo tutto, ha compassione di tutti e perdona i peccati degli uomini aspettando che si pentano. Tutto sussiste, perché egli l’ha voluto, e se avesse odiato qualcosa non l’avrebbe neppure creata né chiamata all’esistenza. Poiché tutto è suo, ed egli è amante della vita, è indulgente verso tutte le cose avendo posto in esse il suo spirito incorruttibile. Egli, nella sua bontà, corregge a poco alla volta quelli che sbagliano e ammonisce quelli che hanno peccato, perché, allontanandosi dalla loro malizia, credano in lui. Dio esercita la sua potenza verso le sue creature attraverso la compassione e verso l’uomo esercita il suo perdono e la sua misericordia. Usa grande pazienza e aspetta che il peccatore si penta e creda. Il perdono e la misericordia del Signore sono quindi già presente nelle Scritture dell’Antico Testamento.
Seconda Lettura: 2 Ts 1,11-2,2.
Paolo scrive ai Tessalonicesi dicendo che egli prega Dio perché li renda degni della sua chiamata e, « con la sua potenza porti a compimento i loro propositi di bene e l’opera dello loro fede, perché sia glorificato il nome del Signore » in loro, secondo la grazia di Dio e di Cristo Signore. Li prega quindi a non lasciarsi facilmente confondere la mente, a non lasciarsi allarmare da ispirazioni, discorsi o lettere, fatte credere come sue, riguardo al giorno della venuta del Signore nella gloria, quasi che esso è già presente o imminente.
Perché la chiamata alla salvezza, operata dal Signore, sia portata a compimento esige soprattutto la continua grazia del Signore e l’impegno della nostra volontà, che facilmente si affievolisce e si deprime, in modo che la salvezza venga fatta maturare nella testimonianza delle opere. Per questo l’apostolo, con la sua preghiera, accompagna la vita della comunità tessa- lonicese, così che ognuno possa essere sempre preparato, in qualunque tempo avverrà il giorno della manifestazione gloriosa del Signore, senza agitarsi pensando che sia imminente come qualcuno pensava. La venuta del Signore può verificarsi ogni momento, per ognuno di noi, ma per quella nella gloria nessuno può farne calcoli: solo è necessario essere trovati pronti.
Vangelo: Lc 19,1-10.
Il brano del Vangelo ci narra l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo mentre attraversa la città di Gerico. Poiché è attorniato da tanta gente e Zaccheo, capo dei pubblicani, piccolo di statura, per la curiosità di vederlo passare e conoscerlo, si arrampica su un sicomoro, Gesù, giunto sotto l’albero, alzando gli occhi, gli dice: « Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua ». Così egli scende subito e, pieno di gioia, accoglie Gesù, mentre tutti attorno mormorano perché è entrato nella casa di un peccatore. Zaccheo allora, dopo aver ascoltato il Signore, che lo ha onorato con la sua presenza, gli dice: « Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto ». Gesù, rivolgendosi a lui, dice: « Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo », perché ha accolto « il Figlio dell’uomo che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto ».
Gesù esaudisce il desiderio di Zaccheo di vederlo e per questo lo chiama perché lo ospiti in casa. Egli, che è ritenuto poco raccomandabile per il suo comportamento e la sua vita, solennemente, davanti al Signore e agli astanti invitati, si impegna a cambiare la sua vita riparando al male compiuto. Gesù, come gli ha cambiato il cuore, lo cambia anche a tutti coloro che lo accolgono volentieri e si lasciano cambiare il cuore, convertendosi all’amore di Dio e degli uomini. In Zaccheo, che accoglie la salvezza, si realizza la missione di Gesù, che è venuto a chiamare i peccatori a penitenza e a conversione, a salvare chi è perduto, offrendogli il perdono del Padre.
Il perdono inonda il cuore di Zaccheo, come quello di coloro che, riconoscendo i propri peccati, accolgono la salvezza e fanno spazio nel proprio cuore a Dio e al suo amore, cambiando radicalmente la loro esistenza: essere perdonati e sentire l’amicizia di Gesù significa essere in comunione col Padre celeste che lo ha mandato a salvare questa umanità.
SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI.
1 NOVEMBRE - VENERDI'- SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI.
La festa di tutti i santi si è diffusa nell’Europa latina nel secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi, anche a Roma, fin dal secolo IX.
E' un’unica festa quella di tutti i santi che oggi celebriamo, ossia della Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: « l’assemblea festosa dei nostri fratelli » rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; essa ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
Dei Santi, che ci sono « amici e modelli di vita », come dice san Bernardo, dobbiamo desiderarne la compagnia, poiché essi attendono e desiderano la nostra salvezza: la loro preziosa presenza ci protegge e ci incoraggia.
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Nella vita di ogni giorno, ci accorgiamo delle fragilità, dei momenti di insuccesso, delle negatività che costellano la nostra vita, dei nostri limiti: tutte queste cose ci fanno sembrare la vita non riuscita.
Ma allora cosa rende questa vita riuscita? Siamo o possiamo essere migliori di quello che pensiamo di essere? Dobbiamo rassegnarci ai nostri fallimenti, ai difetti e ai vuoti della nostra esistenza? Dobbiamo sperare in una vita migliore per noi e per tutti, solo per questa terra, o possiamo pensare e credere che, al di là di tutto questo, ci attende una vita in Dio, in cui già sono tutti coloro che oggi celebriamo: cioè i Santi, sia coloro che onoriamo nel calendario e sia quelli che hanno vissuto la loro esistenza nella fedeltà al Signore, in cui hanno creduto, pur nel nascondimento e con una testimonianza silenziosa?
Siamo chiamati ad una pienezza di vita.
Il punto principale della fede cristiana sta nella certezza di fede cristiana che la nostra vita e la sua riuscita dipendono sì da Dio, ma anche dal nostro impegno. In varie esperienze religiose si pensa che si possa giungere ad una , se pur imprecisata, pienezza di vita e di pace attraverso un cammino di ascesi,di meditazione. In alcune concezioni filosofiche di vita si pensa che attraverso uno sforzo di perfezione etica, che gli uomini possono imporsi, individualmente o comunitariamente, è possibile raggiungere una pienezza di vita, almeno nel cammino finale dell'umanità. Si pensa poi, ancora, da parte di altri, che le negatività dell’esistenza possono superarsi con la rassegnazione e che in ultimo arriverà il premio e la consolazione.
Nella esperienza religiosa ebraica, fondata sulla alleanza tra Dio e il popolo, Dio è colui davanti al quale si prova timore, riverenza e rispetto; Dio stesso comunica all’uomo la santità, chiedendogli di essere santo perché lui è santo E si raggiunge la santità con l’osservanza della Legge e le pratiche di purificazione e di religione, ma che spesso, come rimproverava Gesù al suo tempo ai farisei, erano vissute con mediocrità e esteriorità. Nella predicazione profetica veniva inculcato il convincimento che la santità e la riuscita della vita sarebbero state donate da Dio.
Con la venuta di Gesù, che porta lo Spirito di santità e lo comunica con la sua morte in croce, gli uomini da lui redenti vengono da lui santificati. Ma con tutto il suo agire, con la sua parola egli manifesto la santità e la pienezza di vita: perdonò i peccati, guarì i malati, donò se stesso, amandoli fino alla fine. Egli, il Signore, il Santo e il giusto, invitò gli uomini ad essere santi come è santo il Padre dei cieli, e così partecipare pienamente alla vita divina, alla vita eterna, che siamo chiamati a vivere in Lui. Poiché Dio è Santo, la pienezza di vita consiste nella santità donata da Dio, comunicata dallo Spirito nella morte e risurrezione del Cristo.
Chi sono i Santi che oggi onoriamo e ricordiamo?
San Paolo chiama « Santi di Dio » tutti coloro che battezzati e cresimati sono stati inseriti come membra del Corpo Mistico di Cristo. La nostra santità è una vocazione che non sempre viviamo pienamente per ora, ma siamo santi perché abbiamo la possibilità di vivere, con i doni e le qualità che Dio ha posto in noi, pienamente la comunione col Padre, attraverso il Figlio Gesù, nello Spirito del Padre e del Figlio.
Gesù nelle Beatitudini annuncia questo dono gratuito di Dio fatto a tutti, specialmente a coloro che non hanno nulla su cui possono contare ( poveri in spirito, afflitti, miti, ricercatori di pace e di giustizia ecc.). Dio è colui che è causa della nostra beatitudine e santità. Così, per dono suo, noi possiamo considerare la nostra vita riuscita, pur essendo, a volte, nella povertà, nelle sofferenze, nelle afflizioni e in ultimo anche nelle persecuzioni sofferte per il nome di Cristo.
Lungo la storia della Chiesa, la santità di tanti, riconosciuta nel calendario cristiano, viene additata a modello per tutti, perché essi hanno dato disponibilità piena all’amore di Dio e alla dedizione ai poveri, sofferenti,emar- ginati: quante madri di famiglia, persone consacrate a Dio nelle varie istituzioni, giovani e uomini di varie condizioni sociali, martiri per la fede, ecc.
Quando viene dichiarato e onorato « beato » o « santo » qualcuno, noi non gli rendiamo, come diceva sant’ Agostino, in una sua riflessione sulla memoria dei martiri, un culto di adorazione, che si deve solo a Dio, ma ne facciamo la memoria e la venerazione per additarcelo ad esempio e modello di vita per tutti noi che siamo in cammino di santità su questa terra. La vita di santità di questi fratelli è confermato esplicitamente dalla testimonianza concorde di coloro che li hanno conosciuti e sono stati raggiunti dalla loro luce di santità, attraverso segni, virtù, e miracoli che questi santi hanno impetrato da Dio.
Cammino di santità per tutti.
Come possiamo rispondere alla chiamata alla santità che Dio ci fa? Lasciandoci riempire e guidare dallo Spirito Santo attraverso la preghiera, i sacramenti e le opere di testimonianza nella carità, la giustizia,ecc
Così Cristo, attraverso la sua morte e risurrezione, agisce in noi, nell’oggi della nostra vita, e ci santifica. Facendoci coinvolgere dall’iniziativa di Dio, vivendo i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, attuando le opere di misericordia verso i poveri, i sofferenti, gli ultimi, operando per la pace, la giustizia e la misericordia, vivendo con purità di cuore la nostra apertura a Dio e confidando in lui, nei momenti della persecuzione a causa della giustizia e del suo regno, noi operiamo nella fedeltà al Signore e viviamo un cammino fecondo di santità. Vivremo questo itinerario operando il bene, conducendo la nostra esistenza nella gioia, nella pace della coscienza e nella speranza che, nonostante tutto, Dio ci salverà; e se pur manca qualcosa alla nostra perfezione egli la colmerà e ci renderà conformi al suo Figlio, rendendoci santi come è santo lui. Il suo ultimo atto d’amore per noi sarà il sigillo definitivo alla nostra vita, che si concluderà con la nostra salvezza eterna.
Nella celebrazione odierna la Chiesa prega Dio dicendo: " O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un'unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l'abbondanza della tua misericordia".
Prima Lettura: Ap 7,2.4-9.14.
La moltitudine immensa che sta dinanzi all’Agnello in candide vesti e con la palma tra le mani rappresenta gli eletti, che, purificati nel sangue di Cristo, gli sono stati fedeli nella prova. Sono i battezzati a cui è stato apposto il sigillo dell’appartenenza a Dio e ai quali nulla e nessuno può più far del male, poiché sono nella gloria di Dio e contemplano ormai il volto del Signore per l’eternità.
Seconda Lettura: 1 Gv 3,1-3.
Partecipiamo alla gioiosa constatazione di san Giovanni: Dio ha avuto per noi un amore impensabile, al punto che non siamo solo di nome ma di fatto figli suoi. E lo siamo già d’adesso, in virtù della vita divina, la grazia, che ci unisce a lui, anche se all’esterno ancora non appare tutta la nostra dignità, anche se portiamo ancora i segni del nostro legame alla terra, anche se non mancano limiti e sofferenze. Però siamo in attesa della manifestazione completa del nostro essere, quando si rivelerà e si attuerà la nostra conformità completa a Dio e quindi a Cristo, e vedremo Dio non più attraverso il velo delle cose create, delle immagini e delle parole, ma viso a viso. Questo è già avvenuto per i santi, che oggi festeggiamo.
Vangelo: Mt 5,1-12.
Gesù promulga, come un nuovo Mosè, la Legge nuova, che si apre con le Beatitudini. Esse sono la situazione di gioia per quanti si dispongono nello spirito del Vangelo, e quindi fanno la scelta della povertà, della mitezza, della giustizia, della misericordia, della purezza, della pace e che, pur nella sofferenza, non cessano di sperare e di essere fedeli.
Le Beatitudini sono l’antitesi dello spirito del mondo, rovesciano le attese e le valutazioni terrene.
2 NOVEMBRE - SABATO - COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI.
La preghiera e la comunione con i fratelli defunti.
Quando un padre, una madre, un familiare, un parente, un amico ci lascia definitivamente con la morte, al di là della sofferenza per la loro perdita, sappiamo che con il passar del tempo nulla cambia. Il vuoto lasciato rimane, perché nulla può restituirci le persone care, con loro affetti, gesti e sguardi d’amore, le loro tenerezza, la loro presenza vigile ecc. Spesso, davanti a morti premature o catastrofi naturali, rimangono i nostri interrogativi su questi eventi tristi e dolorosi. La domanda che sgorga dalle nostre labbra è: « Che senso ha un tale evento? ». La vita e la morte sono realtà davanti alle quali ogni giorno dobbiamo fare i conti.
Il mistero della morte illuminato dalla parola di Dio.
Davanti alla drammatica realtà della morte né le parole umane né le consolazioni che ci vengono offerte da parenti, amici o conoscenti sono sufficienti. Solo la Parola di Dio può darci una risposta che, pur non risolvendo il problema nella sua emotività, diede ai sapienti d’Israele il profondo convincimento che, oltre la morte, l’uomo deve attendere la salvezza che Dio dà. Il libro della Sapienza afferma con solennità: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà ». Questa certezza si fonda sulla fede in Jahvè, nella esperienza della fedeltà di Dio che non abbandona chi crede e spera in Lui.
E Isaia preannunzia le promesse di Dio, il quale « preparerà un banchetto per tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre… » e « farà nuove tutte le cose » (Ap ).
Per noi Cristiani, la risurrezione di Cristo, che non muore più e preannunzia la nostra risurrezione e la vita eterna che vivremo in Dio, testimonia che la morte non è l’esito finale della nostra esistenza, ma solo un passaggio. Paolo davanti alla realtà della morte esclama:« Dov’è o morte il tuo pungiglione ? Dov’è o morte la tua vittoria ?». Con la sua morte e risurrezione Gesù ha aperto il passaggio da questo mondo all'altro per tutti gli uomini, dando a tutti noi la possibilità di avere accesso alla vita divina ed eterna in Dio.
Questa nostra fede non cancella né elimina gli aspetti misteriosi e dolorosi della morte, né la sofferenza del distacco dai cari che essa comporta, ma ci apre alla speranza e alla certezza che esiste una vita, un incontro per noi e per i nostri cari nella realtà dell’esistenza divina, con Dio e tra noi.
Dopo la morte si attua la vera nascita dell’uomo.
Secondo la Parola di Dio, per il cristiano, la morte è una nuova nascita: come l’uomo con la nascita viene espulso dal grembo per la vita terrena, così, attraverso la morte, egli viene espulso da questa vita terrena per una nuova vita, per una esistenza trasformata e misteriosa, che verrà vissuta in Dio. Questa nuova esistenza, che non è vissuta nel tempo e nello spazio, di cui non ne abbiamo esperienza, ci spaventa e incute timore. E’ il mondo di Dio con la sua pienezza di vita che darà piena soddisfazione all’uomo: nella risurrezione finale anche il nostro corpo, risorto, vi parteciperà senza più avvertire la sua dimensione corruttibile, ed esso non sarà più un limite nei rapporti con gli altri e con Dio.
La nostra vita non ci è tolta, ma trasformata. Il non morire sarebbe per l’uomo il non giungere mai alla sua piena realizzazione.
Nella morte cadono tutti i limiti della condizione terrena e si è liberi, in maniera definitiva, dalle nostre esperienze terrene, per ritrovare la nostra esistenza nella completa esperienza spirituale di Dio.
Per i credenti in Cristo, la nostra morte non è la fine, ma il fine con cui raggiungiamo la meta di una vita giunta nella sua pienezza. Il distacco dal mondo creato con la morte non è una disgrazia, ma una uscita dalla vita biologica e terrena, pur personale, per una esistenza che raggiunge la sua pienezza.
Con la celebrazione odierna celebriamo la nostra vita in Dio.
Dio realizza il suo progetto di vita e di beatitudine che ci promette rendendoci partecipi della sua divinità e della dimensione incantevole del suo amore: tutto ciò è dono gratuito di Dio, che ne dispone la modalità e i tempi. Tutto ciò che di bene, con la sua grazia e aiuto, noi siamo stati capaci di realizzare anche solo parzialmente, aprendoci al suo amore e all’amore verso gli altri, per la sua bontà, Dio lo porta a compimento, perché nulla è stato costruito invano, nessun gesto d’amore va perduto.
Tutto ciò che di bene nella vita terrena era provvisorio, davanti a lui che giudicherà la nostra esistenza, diventerà definitivo, e ciò avverrà quando egli dividerà le vite realizzate, per averlo riconosciuto e aiutato nei fratelli, da quelle fallite, perché non lo hanno né riconosciuto né amato negli altri.
La morte, che ci svela la provvisorietà dell’esistenza terrena in cui nulla è possibile vivere pienamente, ci apre una prospettiva in cui viene recuperato il bene compiuto per essere reintegrato nella dimensione infinita ed eterna di Dio. La preghiera per i nostri morti vuole impetrare da Dio che tutti coloro che sono stati a « Lui graditi », come dice San Paolo, per la sua bontà e purificati dalla sua misericordia, siano ammessi a contemplare il suo volto e a vivere nella piena comunione dei Santi, realtà a cui anche noi aspiriamo dopo questo esilio terreno.
Viviamo, quindi, questa commemorazione dei fratelli defunti non con la nostalgia di chi li pensa perduti per sempre, ma con la speranza di chi li crede viventi in Cristo, destinati alla risurrezione gloriosa con lui.
Oggi richiamiamo la morte nella luce della Pasqua di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione, fondamento della nostra speranza. Oggi affidiamo i nostri fratelli defunti alla misericordia di Colui che è morto in croce per la remissione dei peccati e per la nostra riconciliazione al Padre. Ma questo ricordo dei morti deve essere anche ammonimento salutare per noi che ancora viviamo: la vita passa in fretta, e le opere buone vanno compiute adesso. Poi viene il giudizio di Dio e, secondo la nostra condotta, ci verrà dato il premio o il castigo.
Prima Lettura: Sap 3,1-9.
La morte dei giusti non è tragedia senza scampo, dissoluzione per sempre: Dio li sostiene, li fa entrare nella sua pace e nella vita immortale. Le loro sofferenze, irrise dagli increduli, cono una prova che li purifica e che, sopportata con speranza, sarà motivo di gloria. C’ è in questo della sapienza la speranza di quanti vivono e muoiono nel Signore.
Seconda Lettura : Ap 21,1-5.6.7.
Attraverso l’immagine del cielo e della terra nuovi, delle cose di prima che passano e delle altre che sono fatte, sentiamo che una condizione nuova ci attende, di cui non abbiamo esperienza, ma che sarà la piena salvezza. E’ la condizione di quanti risorgeranno con Cristo per la vita eterna.
Vangelo: Mt 5,1-12 (vedi commento nella festa di tutti i Santi)
Ultimo aggiornamento (Giovedì 31 Ottobre 2019 19:18)





