





Gesù è l'unico e vero profeta che il Padre ha mandato per unificare l'umanità.
22 LUGLIO – XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nella celebrazione dell’Eucaristia la nostra modesta offerta del pane e del vino sono espressione del nostro lavoro ed espressione della nostra solidarietà con le necessità dei nostri fratelli. Essi sono doni di Dio, espressione di tutti i doni di grazia che Dio ci elargisce. Essi saranno trasformati dalla potenza dello Spirito nel Corpo e Sangue di Cristo, espressione del suo sacrificio compiuto per la nostra salvezza e che noi offriamo al Padre. In ogni Pasqua settimanale, nella nostra povertà, noi offriamo a Dio Gesù, pane della vita e calice della salvezza, che rinnova la sua immolazione sulla croce. La grazia della sua presenza in noi diventa visibile quando come il lievito o il seme cresce e ci trasforma.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo e diciamo: « Dona ancora, o Padre, alla tua Chiesa, convocata per la Pasqua settimanale, di gustare nella parola e nel pane di vita la presenza del tuo Figlio, e di riconoscere in lui il vero profeta e pastore, che ci guida alle sorgenti della gioia eterna ».
Prima Lettura: Ger 23,1-6.
In questo brano Dio, per bocca del profeta Geremia, annunzia una dura invettiva contro i pastori del suo popolo che disperdono il suo gregge, scacciano le sue pecore e non si preoccupano per esse. Perciò Dio li punirà per questa loro malvagità. Ma il Signore radunerà il resto delle sue pecore da dove furono disperse e le ricondurrà ai loro pascoli ed esse ritorneranno ad essere feconde e a moltiplicarsi.
Ancora. Il Signore costituirà « sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una ». Il Signore susciterà, come annunzia l’oracolo di Geremia, « a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia ».
Dio stesso, dunque, si fa pastore del suo popolo di fronte alle infedeltà di coloro a cui l’aveva affidato, i capi e i re, che più che guidarlo lo hanno disperso in esilio.
Nella promessa di un vero e saggio re, preannunzio della venuta di Gesù, che si proclamerà Pastore, a cui il Padre affida le sue pecore e che darà la sua vita per le pecore, si compirà l’unità di un solo gregge, che sotto la guida di un solo pastore, riunirà i figli di Dio dispersi. Gesù è la sola guida dei fedeli e nessuno potrà prendere il suo posto. Lo si potrà rappresentare e imitarlo nel servizio al suo gregge, che è e rimane solo suo e del Padre che glielo ha dato.
Seconda Lettura: Ef 2,13-18.
San Paolo scrive agli Efesini annunziando loro che, nel sangue di Cristo, che è la nostra pace e per mezzo del quale possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito, è stato abbattuto il muro di separazione che divideva gli uomini che non appartenevano all’alleanza dal popolo d’Israele: è stata tolta l’inimicizia che li divideva per mezzo della sua carne e ha riconciliato tutti e due, i lontani e i vicini, con Dio in un solo corpo, per mezzo della sua croce. Abolendo la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, ha creato in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo. Così in Cristo tutti gli steccati tra gli uomini vengono a cadere, ogni divisione tra ebrei e gentili viene abolita e nel sangue di Cristo viene stabilita una nuova ed eterna alleanza di tutti gli uomini con Dio che, nella sua benevolenza, ci ha riconciliati con sé. Tutti gli uomini possono diventare un solo corpo, che è la Chiesa, l’assemblea di Dio, che nasce dalla croce del Signore Gesù: la croce è diventata strumento e segno che ha distrutto ogni inimicizia tra gli uomini e Dio e tra loro. In Cristo, che dona la sua vita per noi in sacrificio, tutti gli uomini possono ritrovarsi figli di Dio, uniti da un solo Spirito, il quale ci fa figli adottivi ed eredi della stessa eredità del Cristo.
Vangelo: Mc 6,30-34.
Gesù porta gli apostoli, che ritornano dalla missione a cui egli li ha inviati e gli raccontano quello che avevano fatto e avevano insegnato, in disparte, da soli, in un luogo deserto perché si riposino. Poiché molti li videro partire con la barca, da tutte le città accorsero a piedi là dove essi si diressero e li precedettero. Gesù allora « sceso dalla barca e, vedendo una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose ». Dopo la fatica affrontata, gli apostoli si ritirano con Gesù in un luogo solitario. Anche oggi dopo la fatica dell’apostolato, condotta con particolare intensità, si avverte il bisogno di una pausa, pur breve, per non lasciarsi consumare e per riattingere lo spirito evangelico genuino e così ritornare ad un servizio premuroso verso i fratelli, per esprimere nel nostro tempo, nel nome di Gesù, quella compassione che egli sentì vedendo quella numerosa folla: anche oggi gli uomini possono essere come pecore senza pastore. Condividere la compassione e la dedizione di Gesù, che non si risparmia per egoismo, dovrebbe rendere sempre disponibile il discepolo per dedicarsi alla Parola, per santificare con i sacramenti i fratelli e sostenere ogni uomo attraverso le opere di carità e di giustizia.
ll cristiano con le parole e la vita deve testimoniare Cristo.
15 LUGLIO – XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
L’essere cristiani più che una etichetta ci impegna a vivere secondo lo stile di vita del Vangelo, seguendo Cristo, che ci indica la via per condurre una vita secondo la sua mentalità. Si deve allora respingere ciò che è contrario a questo nome e seguire ciò che gli è conforme.
Nella Orazione di questa domenica preghiamo Dio dicendo: « Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell’uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere ». Questa esigenza della testimonianza, con la forza dello Spirito, non si rende concreta solo parlandone o insistendovi nella Liturgia, ma vivendo concretamente questo stile di vita. La consistenza delle opere non sempre è adeguata alla insistenza con cui ne parliamo.
Prima Lettura: Am 7,12-15.
Il profeta Amos viene allontanato dal sacerdote Amasia da Betel, santuario del re, proibendogli di profetizzarvi e di andarlo a fare nella terra di Giuda. Ma Amos rispondendogli dice: « Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele ».
Il profeta che è mandato da Dio non parla di sua iniziativa, ma profetizza perché è Dio che lo chiama e lo sollecita. Non parla perché è gradito agli uditori, ma perché Dio gli affida il messaggio. Mentre Amasia, rappresentante ufficiale della categoria dei profeti, dice cose gradite al potere regale, Amos non è impedito da vincoli o impacci che lo legano al potere. Egli è investito direttamente da Dio per questa missione e la sua voce è libera di annunziare ad Israele le vie di Dio, che vuole realizzare la salvezza del suo popolo.
Seconda Lettura: Ef 1,3-14.
San Paolo agli Efesini ricorda che Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, « ci ha benedetti nel suo Figlio, chiamandoci, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati dinanzi a lui nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel suo Figlio diletto » Nel sangue del suo Figlio noi abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati ed è stata riversata con abbondanza su di noi la sua grazia, con ogni intelligenza e sapienza. Così ci è stato fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo la sua benevolenza, volendo ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.
Cristo Gesù è colui che ricapitola tutte le cose e le riassume in sé. Così ad immagine di Cristo è concepito l’uomo fin dall’eternità, destinato ad essere figlio adottivo, redento dal sangue di Cristo e chiamato a vivere in comunione d’amore con Dio. Il Padre, in Cristo, ci ha fatti anche eredi, predestinandoci a essere lode della sua gloria.
Dopo aver ascoltato la parola di verità, il Vangelo della salvezza e aver creduto in esso, dice ancora Paolo agli Efesini, essi hanno ricevuto il sigillo dello Spirito Santo promesso, come caparra della eredità che Dio promette, nell’attesa della completa redenzione, a quelli che Egli si è acquistato a lode della sua gloria. Il pensiero che ognuno è chiamato a raggiungere questo fine dovrebbe riempire di gioia il cuore anche in mezzo alle difficoltà di ogni giorno, farci aprire al ringraziamento a Dio e impegnarci a raggiungerlo per essere, in conformità a Cristo, nella risurrezione. Fin da ora, con lo Spirito, abbiamo la « caparra della nostra eredità », in attesa della completa redenzione.
Vangelo: Mc 6,7-13.
Gesù invia a due a due i suoi discepoli, da poveri e con un messaggio da annunziare, dà loro il potere di scacciare gli spiriti impuri ed li esorta a non portare con sé, per il viaggio, né pane, né sacca, né denaro, né due tuniche, ma solo il bastone e un paio di sandali.
Ancora: a rimanere nella casa dove entrano finché non se ne siano partiti di lì e, dove non sarebbero stati accolti né ascoltati, scuotere la polvere dai loro piedi come testimonianza per loro. « Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano i demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano ». I discepoli hanno da annunziare il regno di Dio e il Cristo che lo incarna con la sua presenza. Tale annunzio è un giudizio di condanna per coloro che avrebbero rigettato, allora come oggi, il Vangelo della salvezza non bisogna accoglierlo solo a parole, ma testimoniarlo nella concretezza della vita in tutta la sua quotidianità.
Accolgiere Gesù, il Cristo e Figlio di Dio, venuto a rivelarci il Dio-Trinità.
8 LUGLIO - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Nella orazione di oggi preghiamo dicendo:« O Padre, togli il velo ai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell’ umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione ». Chiediamo al Padre di poter riconoscere in Gesù che si umilia, facendosi obbediente al Padre, la sua gloria e nelle nostre infermità possiamo essere sostenuti dalla speranza e della forza della sua risurrezione. Liberati dalla oppressione della colpa, per la potenza della croce di Gesù, dobbiamo conformarci a lui crocifisso nella sua umiliazione, sgombrando il nostro cuore da tutto ciò che non ci rende poveri ed esultanti. Liberi dall’attaccamento a noi stessi portiamo, anche in mezzo alle infermità umane, la testimonianza della gioia pasquale della risurrezione.
Prima Lettura: Ez 2,2-5.
Ezechiele è inviato da Dio a parlare agli israeliti che sono una genia di ribelli, perché si sono rivoltati contro il Signore, così come avevano fatto i loro padri fino ad allora. E’ mandato al popolo degli Israeliti divenuti « figli testardi e dal cuore indurito » e dovrà dire loro: « Ascoltino o non ascoltino - dal momento che sono una genia di ribelli -, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro ». E’ ardua la missione che il Signore affida al profeta, perché gli Israeliti sono ribelli e dai cuori induriti e non corrispondono alla fedeltà del Signore. La parola che il profeta annunzia se non viene ascoltata diventa non motivo di risurrezione ma di condanna. Non si rigetta o non si trascura invano la Parola di Dio.
Seconda Lettura: 2 Cor 12,7-10.
Paolo ai Corinzi scrive dicendo che egli, perché non si insuperbisca, ha nella sua carne un inviato di Satana che lo tormenta. Nelle sue sconfitte e umiliazioni egli non si lascia scoraggiare o deprimere. Di fronte alla sua preghiera al Signore perché lo liberi, la risposta di Dio è : « Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza ». Vantandosi poi volentieri delle sue debolezze e compiacendosi in esse, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo, è quando si sente debole che avverte la potenza, la grazia e la forza del Signore. Soffrire per Cristo, allora, anche nelle infermità umane, nelle incapacità e debolezze dell’uomo, lo si può perché Cristo ci assicura la sua grazia. E’ importante affidarsi a Dio con assoluta confidenza, Con lui riusciamo a vincere sempre sul male e a perseverare nel bene.
Vangelo: Mc 6,1-6.
Gesù, nella sinagoga di Nazaret, dopo aver letto la profezia di Isaia sul Messia e averla applicata a sé dicendo: « Oggi questa Scrittura si è realizzata ai vostri orecchi », ha scandalizzato gli uditori. I circostanti, stupiti del suo insegnamento, si chiedono donde gli vengano quelle cose, la sua sapienza e i prodigi attribuiti dal profeta al Messia. Lo conoscono come il figlio di Giuseppe il falegname, di Maria e fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone e non possono accettare che Egli le attribuisca a sé. Viene cacciato dalla sinagoga e Gesù amaramente dice loro: « Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua » e non vi compie nessun prodigio, restando anzi meravigliato della loro incredulità, « ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì ».
L’incredulità è un ostacolo per la salvezza perché l’opera del Cristo possa essere efficace nell’uomo. Senza la fede non avviene il miracolo di avvicinarsi a Cristo e accoglierlo. Quella incredulità di allora prefigura la nostra e di quanti non vogliono accogliere Gesù che si presenta nella normalità umana, senza prestigio, gloria o altro di strabiliante. Accettare la sua identità significa credere al di la delle sue apparenze umane. Non possiamo essere noi a porre le condizioni a Dio per il suo disegno di salvezza. Come gli apostoli allora che vedevano l’avvento del Messia come la liberazione politica, sociale e umana nei suoi gesti, anche oggi vorremmo un Cristo diverso e non di « passione e di croce » che scandalizza. Possiamo partecipare della salvezza da lui operata solo se si accetta il modo e lo stile che Dio ha deciso, per riportare l’uomo alla comunione con sé.
La fede salva gli uomini.
1 LUGLIO – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Il Signore nella liturgia della Domenica continua a portare a compimento l’opera della redenzione e della liberazione degli uomini dalle tenebre del male e del peccato. Donandoci lo Spirito Santo, con la sua luce della sua verità, ci libera dal nostro egoismo e con la grazia del Cristo, povero e crocifisso, addolcisce le nostre asprezze con la dolcezza e la forza del suo amore.
Verificare ogni giorno questo cammino di santità è certo un compito a cui siano chiamati, ma dobbiamo ritenerlo un dono di grazia elargito dal Signore, dono che non dobbiamo mettere in dubbio di fronte all’esperienza di ogni giorno, in cui i sentimenti sono diversi da quelli che il Signore ci chiede.
Così non dobbiamo avvilirci né scoraggiarci e, convinti della continuità del dono della grazia che Dio ci fa, confidare sempre in lui e riprendere il cammino con serenità e costanza.
Nella preghiera iniziale ci rivolgiamo a Padre celeste dicendo:« Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova ».
Prima Lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24.
Il libro della Sapienza ci insegna che Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi. Egli ha creato l’uomo per l’immortalità facendolo ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo e coloro che gli appartengono fanno esperienza della morte. Gesù è venuto per riscattarci da questa situazione mortale, vincendo il demonio e il male e vincendo anche la morte da lui causata. Gesù risorto è il principio e la primizia della vita definitiva spirituale ed eterna. Vivendo in comunione di grazia con Gesù, abbiamo in germe in noi la vita che non tramonta.
Seconda Lettura: 2 Cor 8, 7.9; 13-15.
San Paolo se da una parte loda i Corinzi perché ricchi nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che Egli ha insegnato loro, dall’altra li esorta e li sprona a vivere nella generosità dell’aiuto da dare alla Chiesa di Gerusalemme che è nel bisogno ed è attanagliata dalla carestia. Porta ad esempio Cristo Gesù che da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi della sua povertà, facendoci dono e partecipi della sua vita divina. Più che mettere in ristrettezza economica i Corinzi, chiede loro di fare uguaglianza, cosicché la loro abbondanza supplisca alla indigenza dei fratelli di Gerusalemme e, un domani, l’abbondanza dei cristiani di Gerusalemme potrà supplire a indigenza dei Corinzi. In questa imitazione dello stile di Gesù, che è venuto per arricchirci della sua divinità e della sua vita divina, i cristiani hanno un modello da imitare e testimoniare nel mondo, realizzando la fraternità tra le chiese e tra i fedeli, come anche la comunione nella fede, senza la quale la loro vita sarebbe destinata alla aridità e sarebbe smentito il principio della redenzione e della salvezza.
Vangelo: Mc 5, 21-43.
Gesù compie un doppio miracolo, come ci racconta il brano evangelico di oggi: guarisce una donna, che da dodici anni è affetta da emorragia e da cui non era guarita pur avendo consultato molti medici e spendendo tutti i suoi averi, anzi aggravandosi, la quale dimostra una grande fede e viene guarita, perché crede che toccando anche solo il mantello di Gesù sarà guarita, come di fatto avviene e la figlia del capo della sinagoga Giairo, che lo invoca per la guarigione della figlia morente. Nella prima guarigione, davanti alle impossibilità umane o a quelle derivanti dalla convinzione che il denaro può tutto, solo per la sua fede quella donna, che riesce con fatica, a causa della folla, a toccare il mantello di Gesù, è esaudita da lui, dal cui corpo si sprigiona una potenza divina guaritrice. Gesù le rivolge parole che la rigenerano anche spiritualmente: « Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male » . Nell’ episodio della bambina, richiamata in vita, Gesù esaudisce il desiderio dei genitori invitandoli ad aver fede nella sua parola, pur tra le difficoltà poste da coloro che ne annunziano la morte sopraggiunta e dalle perplessità e dalla derisione manifestate da coloro che piangono e urlano per la sua morte: « Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme ». Gesù la richiama in vita, dimostrando così che egli sarà Colui che vincerà la morte e divenendo per tutti noi speranza di risurrezione eterna.
Solennità di San Giovanni Battista.
24 GIUGNO – XII DOMENICA T.O. –SOLENNITA’ DI S. GIOVANNI BATT.
La Chiesa celebra la solennità della nascita di San Giovanni Battista, che con la sua opera annuncia la prossima manifestazione del Messia, che è additato da lui, dopo il battesimo, come l’Agnello di Dio che toglie i peccati degli uomini.
Giovanni, che è l’ultimo e il più grande dei profeti, con una vocazione profetica fin dal grembo materno, santificato nell’incontro tra Maria ed Elisabetta, con la nascita circondata da avvenimenti straordinari, prepara il popolo di Israele, predicando la penitenza e la conversione del cuore con l’invito a farsi battezzare nel Giordano, ad accogliere il Messia atteso, prossimo a rivelarsi. Egli, con l’austerità della vita, con la ferma e coraggiosa predicazione sulle rive del Giordano rivolta al popolo, ai farisei, scribi, ad Erode e ad ogni categoria di ascoltatori e, infine, con la sua coraggiosa morte si fa guida all’incontro con il Signore Gesù.
La Parola di Dio delle prime letture, sia della vigilia che del giorno della festa, che ci fa riascoltare le vocazioni di Geremia, il quale è conosciuto da Dio prima di essere formato nel grembo materno e consacrato nella sua missione profetica, e di Isaia, anche lui chiamato fin dal grembo materno, a cui Dio « ha reso la bocca come spada affilata e, nascosto all’ombra della sua mano, lo ha reso freccia appuntita » e lo ha chiamato « Mio servo tu sei, Israele sul quale manifesterò la mia gloria », preannuncia la vita e la missione di Giovanni Battista. E come Isaia ha la missione di ricondurre al Signore « Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché era stato onorato dal Signore e Dio era stato la sua forza - » , per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele ed è reso luce delle nazioni, perché porti la salvezza fino all’estremità della terra, così di Giovanni è detto, nel Vangelo di Luca, che « Egli sarà grande davanti al Signore;… sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli di Israele al Signore loro Dio. Camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto ». Nella sua umiltà Giovanni si considera uno che non è degno neanche di slacciare i sandali del Messia, come ricorda Paolo parlando nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, nella Lettura degli Atti degli Apostoli.
Alla sua nascita gli viene posto il nome di Giovanni (Dio usa misericordia), davanti allo stupore degli astanti nel momento in cui si doveva circoncidere il bambino, come era stato detto a Zaccaria nella visione che egli ebbe nel tempio durante il suo servizio sacerdotale.
La celebrazione della Festa del Battista deve farci prendere coscienza che ogni uomo, fin dal grembo materno, è chiamato da Dio a svolgere una missione nella propria vita e anche noi, come Giovanni, siamo chiamati, dopo aver accolto il Signore, a preparare l’accoglienza di Lui nel cuore dei nostri fratelli.
Ultimo aggiornamento (Sabato 23 Giugno 2018 21:09)





