





PREPARIAMO LA VIA DEL SIGNORE, RADDRIZZIAMO I SUOI SENTIERI,
4 DICEMBRE - 2a DOMENCA DI AVVENTO. Anno A
Il Natale, che ci apprestiamo a celebrare, è l’attuazione della promessa antica fatta da Dio, dopo il peccato originale, all’uomo: la promessa di un liberatore, nato dalla stirpe della donna che avrebbe vinto il tentatore e ridato in dono la vita divina. Non dobbiamo, allora, ridurre la preparazione che facciamo in questo avvento o la celebrazione del Natale a semplice ricordo, impegnati ad attività solo esteriori, a volte frenetiche, distrattive o peggio mondane e senza una attenta riflessione sul significato che esso ha, per purificare il cuore e accogliere la « sapienza che viene dal cielo », e così immergerci nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio che si fa uomo. Ricercare i beni celesti, divini, doni che vengono dall’alto: come pace, accogliendo il Principe della Pace, l’Emanuele, il Dio con noi, il divino che viene a noi per elevarci alla dignità della figliolanza divina, il Giusto che farà germogliare la giustizia di Dio sulla terra.
Nella Colletta preghiamo il Padre celeste dicendo: « O Padre, che hai fatto germogliare sulla terra il Salvatore e su di lui hai posto il tuo Spirito, suscita in noi gli stessi sentimenti di Cristo, perché portiamo frutti di giustizia e di pace ».
Prima Lettura: Is 11,1-10.
Isaia, nel brano che la liturgia oggi ci fa ascoltare, ci preannunzia gli effetti benefici che avrà la terra e gli uomini, con l’avvento di un « virgulto che germoglierà dal tronco di Iesse», su cui si poserà lo Spirito del Signore. Egli si compiacerà del timore del Signore, « non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire: ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della bocca, con il soffio del sue labbra ucciderà l’empio »; la giustizia e la fedeltà saranno attorno ai suoi lombi. Gli uomini, simboleggiati negli animali descritti dal profeta, vivranno in fraternità: il lupo con l’agnello, il leopardo e il capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme, come anche la mucca e l’orsa; il leone ci ciberà di paglia come il bue, il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide. Poiché la conoscenza del Signore riempirà la terra non si agirà più iniquamente né si saccheggerà sul santo monte del Signore. Allora la radice di Iesse si eleverà a vessillo e le nazioni la ricercheranno.
Il Messia che viene preannunziato, ripieno dei doni dello Spirito, porterà la pace e darà anche ai credenti lo stesso Spirito attraverso i sacramenti, perché li riempia dell’amore che elimina dai rapporti umani ogni astio, risentimento e li rende capaci di perdonare.
Seconda Lettura: Rm 15,4-9
Esorta san Paolo i Romani a tenere viva la speranza mediante le virtù della perseveranza e della consolazione, come insegnano le Scritture, affinché il Dio della consolazione e della perseveranza conceda loro di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti di Gesù Cristo, per rendere lode a Dio, padre di Gesù, con « un solo animo e una sola voce rendere gloria a Dio». Conceda, inoltre, che siano accoglienti gli uni verso gli altri come Dio accoglie loro, perché mentre Cristo, divenendo servitore dei circoncisi, ha mostrato la fedeltà di Dio nel compiere le promesse fatte ai padri, così le genti tutte glorifichino Dio per la sua misericordia usata loro, come sta scritto: « Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome ». Così anche noi, uniti nel glorificare Dio con gli stessi sentimenti di Gesù che è venuto nel mondo spinto dall’amore per accoglierci come fratelli, ci porremo al servizio gli uni gli altri.
Vangelo: Mt 3,1-12.
Oggi il Vangelo ci fa giungere la voce di Giovanni il Battista che predicava nel deserto della Giudea chiedendo a chi accorreva di convertirsi perché il regno dei cieli era vicino. Egli era colui che Isaia aveva profetizzato: « Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». Da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona del Giordano, tutti accorrevano a lui, che nel deserto viveva vestito di peli cammello con una cintura di pelle ai fianchi e mangiava cavallette e miele, per farsi battezzare confessando i peccati. Rivolgendosi a farisei e sadducei che, apostrofandoli come “razza di vipere”, credevano di poter sfuggire all’ira imminente di Dio, li invitava a dare frutti di conversione, perché un albero che non porta buoni frutti viene tagliato e bruciato e a non credere di potersi salvare dicendo di avere Abramo per padre, perché Dio avrebbe potuto far sorgere figli ad Abramo anche dalle pietre. Diceva ancora che, se egli battezzava con acqua, veniva uno dopo di lui, più forte, a cui non era degno neppure di portagli in sandali e li avrebbe battezzati in Spirito Santo e fuoco. E come il contadino, che nell’aia pulisce il frumento per conservarlo nel granaio e brucia la paglia con il fuoco, così avrebbe fatto lui con coloro che non accettano di convertirsi. Fare penitenza, come anche a noi dice Giovanni il Battista, in questo tempo di avvento, significa preparare il nostro cuore ad accogliere colui che è venuto, come “ Agnello di Dio ”, a togliere i peccati degli uomini e a rinnovare la vita di questa umanità. Questo avviene attraverso un lavacro nuovo, il battesimo che, per l’opera dello Spirito Santo, ci lava dalle colpe e ci rigenera nella grazia e nell’amore di Dio. Davanti al giudizio di Dio non possiamo, certo, misconoscere le nostre colpe. né possiamo sottrarci alla condanna, qualora rifiutassimo di convertirci. Viviamo allora questo nuovo Natale del Signore, rinnovando la nostra vita, i nostri sentimenti e conformandoli a quelli di Cristo Gesù, che vuole nascere nel nostro cuore.
AVVENTO DEL SIGNORE: TEMPO PER RICOMINCIARE IL CAMMINO DI SALVEZZA.
27 NOVEMBRE - 1a DOMENICA D’AVVENTO. Anno A
L'AVVENTO DEL SIGNORE: TEMPO PER RICOMINCIARE IL CAMMINO DI SALVEZZA.
Ne l tempo dell’Avvento ripercorriamo il cammino dell’umanità dalle origini fino a Cristo. Così i cristiani vivono, attraverso i segni sacramentali, l’attesa del Signore.
L’attesa del Signore che viene è segno e sacramento di salvezza.
Con l’Avvento inizia per la Chiesa il nuovo anno liturgico. I cristiani riprendono a meditare i misteri, i gesti della vita del Signore, dall’attesa alla nascita, alla vita pubblica, alla passione, morte e risurrezione e al tempo della Chiesa dalla Pentecoste alla fine dei tempi (Parusia).
Questi misteri del Signore non sono lontani nel tempo, sepolti nel passato. Quello che il Signore ha compiuto, nell'oggi della sua eternità, il suo valore, la grazia della salvezza rimane ancora. Nella celebrazione liturgica dei misteri del Signore deve crescere in noi la nostra conformità a Cristo, Signore del tempo, il quale non tramonta e, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, celebrata di domenica in domenica, vi attingiamo la grazia della salvezza per vivere, nel nostro oggi quotidiano, secondo il progetto che il Padre ha realizzato per mezzo del suo Figlio.
L’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore che viene nel Natale, per cui dobbiamo prepararci spiritualmente alla sua venuta. Riascoltando le parole dei profeti, che ci preannunziano questa venuta, riviviamo la speranza dei giusti; la fede di coloro che hanno accolto l’invito del Battista a preparare il cuore ad accogliere colui che sarebbe stato più grande di lui, di cui era precursore; ci uniamo a Maria e Giuseppe. Come loro, anche noi siamo chiamati da Dio Padre ad accogliere il suo Figlio, mandato, nel suo immenso amore per gli uomini, a redimerci da peccato e a renderci suoi figli donandoci con la grazia la vita divina: bisogna, allora, liberare i nostri cuori dagli ostacoli che si frappongono alla sua venuta.
Il Signore, nato umile e povero a Betlemme, viene in noi continuamente tutte le volte che apriamo il nostro cuore al suo amore, alla sua Parola, ai suoi gesti sacramentali. Ma in questo tempo dell’Avvento rendiamoci più attenti, vigilanti, per non lasciar passare invano questo tempo in cui il Signore bussa alla porta dei nostri cuori e ci invita a rimanere con lui. Nella preghiera più intensa, vigile e attenta saremo più pronti ad accogliere il Signore, che viene e ci offre la sua amicizia.
In queste prime domeniche, la liturgia ancora ci fa ripensare alla venuta di Gesù come giudice, che varrà alla fine dei tempi quando la storia sarà conclusa, il cammino della Chiesa giungerà alla meta e la speranza del premio eterno cesserà. Ma poiché per ognuno di noi l’incontro con Cristo avviene nel momento della nostra morte, viviamo in questo nostro tempo non praticando scelte sbagliate. Scuotiamoci dal nostro torpore, accogliamo l’invito dell’Apostolo Paolo a svegliarci dal sonno, a riprendere il cammino di fedeltà, con le lampade della fede, della speranza e della carità accese e con il vivo desiderio di incontrarlo, così da non farci sorprendere impreparati.
La Chiesa, Sposa di Gesù, attende il suo Sposo. In questo cammino non possiamo dissiparci, dimenticare Cristo che vuole continuare a rinascere in noi con i suoi sentimenti, i suoi comportamenti, mentre lo ricordiamo nell’avvenimento della sua nascita storica tra noi. Dobbiamo allora riprendere a vivere nella fedeltà a lui e attenderlo nella preghiera, nella speranza, attraverso opere compiute nella vera giustizia divina, nella carità e fraternità, così come la Parola di Dio ci ripropone.
Nella preghiera iniziale della Colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che per radunare tutti i popoli nel tuo regno hai mandato il tuo Figlio nella nostra carne, donaci uno spirito vigilante, perché, camminando sulle tue vie di pace, possiamo andare incontro al Signore quando verrà nella gloria ».
Prima Lettura: Is 2,1-5-
Il profeta Isaia, nella visione profetica che ricevette su Gerusalemme, dice che alla «Fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti ». Molti popoli vorranno salire al monte del Signore, « al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri », riconoscendo che da Sion sarebbe uscita la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.
Il Signore farà da giudice e da arbitro fra i popoli e questi, spezzando le spade, ne faranno aratri e con le lance falci; né le nazioni si alzeranno più a combattersi tra loro e non impareranno più l’arte della guerra: cammineranno a luce del Signore. Tutti saranno, secondo questa visione profetica, chiamati ad accostarsi non certo alla Gerusalemme terrena ma, - come dice Gesù - ad un nuovo tempio, che sarà costruito su di lui, come “pietra angolare” , secondo l’espressione di san Pietro. Tutti saranno invitati ad andare verso di lui, da cui sorgerà una nuova umanità, e in cui non ci saranno più discordie ma si collaborerà nella pace.
Seconda Lettura: Rm 13,11-14.
San Paolo scrive ai Romani e li esorta a svegliarsi dal sonno, nella consapevolezza che ormai la salvezza è più vicina di quando si è diventati credenti. E paragonando la prossima manifestazione del Signore come “ il giorno ” e la sua attesa come “ notte avanzata ”, li invita a gettare via « Le opere delle tenebre » e ad indossare « le armi della luce », a comportarsi «onestamente come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie ». In una parola a rivestirsi dei sentimenti e dei comportamenti del Signore Gesù Cristo. Tutti siamo esor- tati in questo Avvento, nell’attesa di incontrare il Signore, in maniera sacramentale, nel prossimo Natale, ad uscire dal sonno della nostra pigrizia, del peccato e a camminare nella luce del Signore, che la liturgia osanna come “Sole che sorge dall’oriente a diradare le tenebre del male”. Nel Natale dobbiamo rinnovare il nostro cuore, rivestirci dei sentimenti del Signore.
Vangelo: Mt 24,37-44.
Gesù, ricordando i giorni di Noè, in cui gli uomini, nei giorni precedenti il diluvio, mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito ed essi, fino a quando egli entrò nell’arca, non si accorsero di nulla e il diluvio li inghiottì tutti, così sarà anche, - dice - alla venuta del Figlio dell’uomo. Nel momento in cui questa avverrà, tra due uomini che sono nel campo uno sarà preso e l’altro lasciato; tra due donne che macinano alla mola una sarà presa e l’altra lasciata. Allora, esorta Gesù, bisogna vegliare perché non si sa in quale giorno il Signore verrà. Bisogna essere pronti e vigilanti, allora, per la venuta del Figlio dell’Uomo, come un padrone di casa che se sa in quale ora della notte viene il ladro non si lascia scassinare la casa, perché non viene preso di sorpresa. Non sapendo quando avviene il nostro incontro con il Signore, alla fine della nostra esistenza terrena, è necessario essere pronti e vigilanti, per cui non temeremo di incontrarlo.
AVVISI PARROCCHIALI
DAL 29 NOV. AL 7 DICEMBRE - NOVENA DELL'IMMACOLATA - ORE 18.30
IL 13 DICEMBRE : MEMORIA DI SANTA LUCIA. (di cui abbiamo il mosaico) - Santa Messa - ORE 18.30
DAL 16 AL 24 NOVENA DEL SANTO NATALE: Santa Messa - ORE 18.30.
NOTA BENE: Se nei quartieri viene realizzata tra tradizionale Novena con i musicanti, (sarà celebrata, nei vari giorni, ( previo accordo con il parroco), la Novena che si celebra in Parrocchia.
SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO: « CHIAMATI A PARTECIPARE ALLA SORTE DEI SANTI NELLA LUCE.
20 NOVEMBRE – SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO
« SIAMO CHIAMATI A PARTECIPARE ALLA SORTE DEI SANTI NELLA LUCE »
In questa ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo, Re dell’universo, la cui regalità si costruisce giorno per giorno con la grazia e l’impegno di testimoniarlo con la fede e la carità operosa verso Dio e i fratelli. La regalità del Signore Gesù non si fonda come le potenze di questo mondo con la violenza o le armi, ma con il suo sacrificio sulla croce, perché egli «Sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della croce è diventato Signore » e con la sua resurrezione ha realizzato il progetto salvifico del Padre a favore dell’umanità intera.
Questo regno, fondato sulla riconciliazione dell’umanità operata da Cristo con il Padre, nelle vicende tristi e dolorose, che la storia spesso ci fa sperimentare e agli occhi di tanti, sembra che neppure sia presente nel mondo. In realtà è presente e vi fanno parte quelli che si uniscono alla passione di Cristo e, vivendo nella giustizia e nella carità, sono disposti a donare la propria vita come il Cristo e a porsi al servizio dell’uomo nelle sua necessità spirituali e materiali, secondo il suo stile ed esempio.
Nella Colletta di questa solennità preghiamo dicendo: « O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre perché seguendo le orme del tuo Figlio, possiamo condividere la sua gloria nel paradiso ».
2 Sam 5,1-3.
Il brano di Samuele ci ricorda quello che fecero le tribù d’Israele alla morte di Saul, loro primo re. Si recarono in Ebron, dove regnava Davide e, riconoscendosi « ossa delle sue ossa e carne della sua carne », e, inoltre, che aveva guidato Israele durante il regno di Saul e ciò che gli aveva detto il Signore: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele” , conclusero con lui un’alleanza davanti al Signore e lo unsero re di Israele. La regalità di Davide, pur essendo voluta da Dio, non sarà priva di infedeltà e di numerose ambiguità. Ma un suo discendente, Gesù, il Messia, sarà un re fedele e un pastore perfetto, che guiderà il nuovo Israele e realizzerà, dopo Davide, « suo padre», una regalità secondo il volere di Dio e che non avrà fine.
Col 1,12-20.
Paolo, dopo aver esortato i Colossési a ringraziare Dio che li ha resi partecipi della sorte dei santi nella luce, ricorda come Dio, li ha liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del suo Figlio, per mezzo del quale gli uomini hanno la redenzione e il perdono dei peccati. Ricorda inoltre che Gesù è immagine del Dio invisibile, il primogenito della creazione, perché tutte le cose, celesti e terrestri, visibili e invisibili: « Troni, Dominazioni, Principati e Potenze sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono ». Ancora. Ricordando che Gesù è capo della Chiesa, suo corpo, che « è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti» perché è lui che ha il primato di tutte le cose, dice che « è piaciuto a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose » avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose della terra sia quelle dei cieli.
Paolo professa che Dio, per mezzo e in vista del Figlio, generato non creato e che si è fatto carne, ha creato tutti gli esseri e lo ha posto come modello e primogenito di coloro che risorgono dai morti. Ha dato al Figlio la signoria su tutto il creato avendolo riconciliato con il sangue della sua croce: così tutto, uomini e cose, converge nel Cristo e tutto è riconciliato con il Padre. Pur non comprendendo pienamente questo mistero di redenzione e riconciliazione, tutte le cose sono state liberate dal male ed entrano a far parte del regno di Dio, non per un diritto o potere che esse hanno, ma perché riscattate nella morte di Cristo.
Vangelo: Lc 23,35-43.
La scena della crocifissione del Cristo, descritta da Luca, ci rappresenta una varietà di personaggi che sono in rapporto con Signore crocifisso. Il popolo, che in diverse occasioni era stato spettatore entusiasta delle opere benefiche e dei discorsi di Gesù, e che, davanti alla richiesta di Ponzio Pilato, se liberarlo o meno, aveva gridato: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! », dice l’Evangelista: « Sta a guardare ». I capi del popolo, che erano stati capaci di farlo condannare, lo deridono dicendo: « Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto ». Pure i soldati lo deridono e, accostandogli la canna inzuppata d’aceto, affermano, anche se inconsapevolmente: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso«. Ancora. La scritta sulla croce dice: «Costui è il re dei Giudei ». E dei due malfattori, crocifissi con lui, uno lo insulta dicendogli: « Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! »; l’altro, invece, rimproverandolo perché, condannato alla stessa pena, non ha nessun timore di Dio e ritenendo Gesù innocente per non aver fatto nulla di male, dice a Gesù: « Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». E Gesù gli risponde:« In verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso ». Sulla croce la regalità di Cristo sembra quella di un uomo sconfitto, senza potere né gloria. Non un vincitore ma un vinto, oggetto di scherno, di uno che ha la pretesa di essere re, ma che viene considerato re per burla. Solo il buon ladrone, condannato come Gesù, sa scoprire in lui la regalità di in re innocente, di uno che non ha fatto nulla di male e a cui si affida e raccomanda, perché lo riceva nel suo regno. A questa confidenza Gesù risponde assicurandogli che, in quel giorno stesso della loro morte, lo accoglierà nel suo regno, nel paradiso. Anche noi peccatori, se riconosciamo in « Colui che hanno trafitto » e che attira a sé, il Cristo, il Salvatore e il Re dell’universo e ci affidiamo a lui con assoluta fiducia, potremo sperare di essere un giorno nel suo regno. Anche le colpe, le più gravi, non devono far disperare nessun uomo, perché siamo stati acquistati dal suo amore a prezzo del suo sangue, sparso per la nostra salvezza: dobbiamo solo avere una fede forte e assoluta.
io vi darò parola e sapienza.
13 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipando all’Eucaristia, in cui offriamo il Corpo e Sangue di Cristo, chiediamo a Dio la grazia di servirlo fedelmente con impegno costante. Alla fine della nostra vita potremo allora sentire le parole che, nella parabola del servo fedele del Vangelo, il padrone dice al servo : « Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore ». Dall’Eucaristia, nelle vicende della vita, siano esse liete o tristi, riceviamo la forza di essere operosi nella carità, pazienti nelle avversità, perché attraverso esse ci prepariamo il « frutto di un’eternità beata ».
Così ravviviamo nell’incontro con il Signore la speranza di conseguire la vita eterna.
Nella preghiera della colletta ci rivolgiamo al Signore dicendo:« O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, donaci di tenere salda la speranza del tuo regno, perché perseverando nella fede possiamo gustare la pienezza della vita ».
Prima Lettura: Ml 3,19-20.
Nella visione profetica di Malachia viene preannunziato e paragonato il «giorno rovente » della fine come un forno. Coloro che sono superbi e coloro che commettono ingiustizia, essendo come paglia, bruceranno e non la-sceranno « né radice né germoglio ». Per coloro che invece hanno timore del nome del Signore « sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia ». Nel giorno della venuta del Signore, che viene a giudicare, gli ingiusti, come paglia, nella loro inutilità, riceveranno il castigo degli ingiusti, mentre per i giusti e i santi, che hanno amato e venerato il nome del Signore, sarà giorno di gioia e di vita eterna in lui.
Seconda Lettura: 2 Ts 3,7-12.
Scrivendo ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo, che in mezzo a loro non è stato ozioso, né ha mangiato gratuitamente il loro pane, ma ha lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso, pur avendone il diritto di essere sostenuto per il suo ministero, li esorta a guardare a lui come modello di comportamento da imitare. Avendo sentito che alcuni tra loro vivevano in maniera disordinata, senza far nulla e in continua agitazione, ricorda che, mentre era tra loro, aveva dato come regola: « chi non vuol lavorare, neppure mangi » e, esortando costoro nel Signore Gesù, ordina loro di vivere in tranquillità per guadagnarsi il pane. Poiché alcuni tessalonicesi, pensando che la venuta del Signore fosse imminente, si erano dati a vivere da sfaccendati e alle spalle degli altri, Paolo li esorta a non agitarsi inutilmente e a lavorare: infatti l’attesa cristiana della venuta del Signore non è pigrizia e dissipazione, ma impegno ad attivarsi e ad assolvere ai propri doveri serenamente.
Vangelo: Lc 21,5-19.Gesù, prendendo lo spunto dai discorsi che sentiva fare sul tempio, ornato di belle e preziose pietre e dei doni, a coloro che lo ascoltano, profetizzando, dice: « Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta ». Poiché gli chiedono riguardo al tempo e al segno in cui questo avverrà, Gesù raccomanda di non lasciarsi ingannare, perché molti, nel suo nome, diranno: « Il tempo è vicino» e di non andare dietro a loro. Esorta, inoltre, a non terrorizzarsi quando si sentirà parlare di guerre e rivoluzioni, che dovranno avvenire, perché non sarà subito la fine. Ricordando ancora altri eventi, come il sollevarsi di nazione contro nazione, di regno contro regno, di terremoti, carestie, pestilenze, fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo, Gesù dice: « Prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alla prigioni, trascinandovi davanti ai re e ai governatori, a causa del suo nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere ». E, preannunziando che saranno traditi persino dai genitori, fratelli, parenti, amici, che alcuni di loro saranno uccisi e saranno anche odiati da tutti a causa del suo nome, li rassicura promettendo che nessun capello del loro capo andrà perduto. Con la loro perseveranza avrebbero salvato la loro vita. La vita dei discepoli, dunque, nel testimoniare la fede e l’amore per il loro Signore, non sarà facile per tutto quello che Gesù preannunzia. Ma essi, fortificati con l’assistenza, la forza e la presenza dello Spirito del Signore nella loro vita, potranno perseverare ed essere così salvi, in mezzo agli eventi, anche disastrosi, di cui sarà intessuta la storia del mondo e degli uomini. La distruzione di Gerusalemme che avverrà ad opera dell’imperatore romano Tito nel 70 d. C. prima e in seguito da Adriano, prefigurerebbe lo sfacelo e gli sconvolgimenti che sarebbero accaduti nel mondo.
GUARDARE ALLA RISURREZIONE: UNA SPERANZA CHIARA E LUMINOSA.
6 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
OGGI RICORRE LA 72a GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che celebriamo, viene alimentata in noi la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio dei viventi, che fai risorgere coloro che si addormentano in te, concedi che la parola della nuova alleanza, seminata nei nostri cuori, germogli e porti frutti di opere buone per la vita eterna ».
Prima Lettura: 2 Mac 7,1-2.9-14.
Ci viene presentata la testimonianza eroica dei sette fratelli Maccabei che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di nerbate, a rinnegare la loro fede e a trasgredire, mangiando carni suine, la Legge. Uno di essi, interpretando tutti, disse che sarebbero stati pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri. Il secondo, che stava per essere torturato, rivoltosi ai carnefici disse: « Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna ». Morto questo, fu torturato il terzo che mise fuori la lingua e, stendendo le mani con coraggio, disse: « Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggile disprezzo, perché spero di riaverle di nuovo ». Il re e i suoi dignitari furono colpiti dalla fierezza del giovane, perché non temeva le torture. Morto questo, iniziarono a torturare il quarto che, ridotto in fin di vita, diceva: « E preferibile morire per mano di uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita ». La fede nella resurrezione sostiene la testimonianza dei sette fratelli disposi a morire pur di rimanere fedeli alle leggi di Dio. Così essi dimostrarono che la vita, con tutti i travagli e dolori, come anche con il martirio, conta poco quando c’è la certezza che in Dio c’è la speranza di essere di nuovo da lui risuscitati. Cristo, che muore in croce e risorge, è il testimone migliore di questa speranza della risurrezione, che ha sorretto i martiri, affidandosi senza paura a Cristo risorto. Tutta quanta la Chiesa deve vivere con questa sicurezza che la risurrezione, anche davanti alle persecuzioni, fa vincere il timore della morte.
Seconda Lettura: 2 Ts 2,16.3,5.
L’apostolo Paolo augura ai Tessalonicesi che il Signore Gesù e Dio, Padre di tutti, che li ama, dia loro una consolazione eterna e una speranza viva, li conforti nei loro cuori e li confermi in ogni opera e parole di bene. Chiede loro di pregare affinché la parola del Signore sia glorificata, come lo è stato tra loro, così che si venga liberati dagli uomini corrotti e malvagi. E poiché il Signore è fedele li confermerà e li custodirà dal Maligno. Esprime, nei loro confronti, la fiducia che essi già facciano quello che egli ha ordinato loro e che continuino a farlo. Augura, ancora, che il Signore guidi i loro cuori nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo.
Il cristiano, in mezzo alle difficoltà, alle tribolazioni quotidiane o anche difronte al martirio, non deve abbattersi, perché l’amore di Dio, che ci accompagna nei nostri giorni, ci conforta, ci rafforza nella speranza. E il Signore non tradisce le attese dei suoi figli e non viene meno alla sua parola. Domandiamoci se crediamo veramente a questa fedeltà. Neanche la malvagità degli uomini potrà abbatterci o sopraffarci se, come a Paolo, sopraffatto da tribolazioni di ogni genere, anche noi ci dice il Signore: « Ti basta la mia grazia ». Nell’impegno a testimoniare la fede le difficoltà non potranno scoraggiare il credente che confida nell’aiuto e nella forza che lo Spirito di Dio dà, secondo quanto, nel Vangelo, assicura Gesù ai suoi apostoli.
Vangelo: Lc 20,27-38.
I sadducei, che non credono nella resurrezione, partendo da quanto Mosè aveva prescritto a proposito della legge del levirato: « “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello la prenda in moglie e dia una discendenza al proprio fratello” », chiedono a Gesù il suo parere.
Poiché vi erano sette fratelli ed essendo il primo di essi, dopo aver preso moglie, morto senza aver avuto figli e anche il secondo, che l’ha preso in moglie, è morto senza figli, come il terzo e così tutti e sette, ed in ultimo è morta anche la donna, questa, nella risurrezione, di chi sarà moglie, avendola avuta tutti e sette come moglie?
Gesù risponde loro dicendo che, se i figli di questo mondo prendono moglie e marito: « Coloro che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: essi infatti non possono morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono in lui ». Nella risurrezione e nella eternità di Dio, la nostra vita sarà completamente nuova rispetto a questa terrena. Questa sarà trasformata non distrutta e i rapporti tra uomo e donna non saranno vissuti più in funzione delle esigenze terrene della specie: apparterremo sempre a Dio. Ma fin da quaggiù i figli della risurrezione, quelli che credono, sono aperti al mondo nuovo. Anticipando nell’attesa la vita eterna del cielo essi sono associati fin da ora alla vita degli angeli. Lo sposarsi, allora, non è più considerato come il più grande bene, che non deve essere assolutizzato: chi sceglie di testimoniare la vita del Regno futuro vi rinunzia. Il cristiano realizza, quindi, uno stile di vita che è al di fuori del paradigma di questo mondo: anticipa quello futuro dell’eternità.