





ATTENDIAMO NELLA VIGILANZA LA VENUTA DEL SIGNORE.
14 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipando all’Eucaristia, in cui offriamo il Corpo e Sangue di Cristo, chiediamo a Dio la grazia di servirlo fedelmente con impegno costante. Alla fine della nostra vita potremo allora sentire le parole che, nella parabola del servo fedele del Vangelo, il padrone dice al servo : « Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore ». Dall’Eucaristia, nelle vicende della vita, siano esse liete o tristi, riceviamo la forza di essere operosi nella carità, pazienti nelle avversità, perché attraverso esse ci prepariamo il « frutto di un’eternità beata ».
Così ravviviamo nell’incontro con il Signore la speranza di conseguire la vita eterna.
Nella preghiera della colletta ci rivolgiamo al Signore dicendo:« O Dio, che farai risplendere i giusti come stelle nel cielo, accresci in noi la fede, ravviva la speranza e rendici operosi nella carità, mentre attendiamo la gloriosa manifestazione del tuo Figlio ».
Prima Lettura: Dn 12,1-3.
Nella visione del profeta Daniele ci viene descritto ciò che avverrà: « Sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo » e, pur essendo un tempo d’angoscia, chiunque di esso « si troverà scritto nel libro » sarà salvato. Viene anche descritta quale sarà la sorte di tutti coloro che dormono nella polvere, i quali « si risveglieranno gli uni per la vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna ». I saggi e coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come lo splendore e le stelle del firmamento.
Vi è preannunziata in questa visione apocalittica la realtà in cui saremo introdotti da Dio quando, alla fine dei tempi, ognuno, a seconda delle opere compiute nella libertà delle scelte fatte, riceverà di partecipare o allo splendore di Dio e della sua eterna beatitudine, o alla infamia e vergogna eterne.
Seconda Lettura: Eb 10,11-14.18.
La lettera agli Ebrei continua a descrivere l’opera di Cristo che, come sommo sacerdote della nuova alleanza, a differenza del sacerdozio levitico, non si presenta a celebrare giorno per giorno il culto e gli stessi sacrifici che non possono eliminare i peccati. Cristo, dopo essersi offerto con un unico sacrificio per i peccati, « si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi ». Egli così con un’unica offerta « ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati », per cui non c’è più bisogno di sacrifici né di offerte per il perdono dei peccati.
In Lui, ormai, ogni uomo può accedere al perdono e alla misericordia di Dio, partecipare della santificazione ed entrare nella vita e nella comunione eterna con Dio insieme a tutti i giusti. E’ necessario che il nostro sguardo sia fisso sulla croce del Signore, perché tutto dipende dalla sua morte, momento decisivo per la storia del mondo e per la salvezza di tutti gli uomini.
L’Eucaristia, che è il cuore della Chiesa, ripresenta, nella storia dell’umanità e di ognuno, quell’ evento salvifico e santificante, per cui tutti coloro che vi si lasciano coinvolgere possono partecipare della salvezza eterna.
Vangelo: Mc 13,24-32.
In questa penultima domenica dell’anno liturgico, questo brano dell’ Evangelista Marco ci ripropone l’insegnamento di Gesù riguardo agli avvenimenti escatologici, cioè ultimi della storia: « In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte ». Sarà il momento in cui si vedrà « il Figlio dell’uomo » venire sulle nubi del cielo, con potenza e gloria, e i suoi Angeli raduneranno gli eletti della terra.
Ancora. Attraverso la parabola del fico, che preannunzia l’avvicinarsi dell’estate non appena mette le foglie, Gesù invita i suoi ascoltatori a riconoscere, dagli eventi futuri descritti, che la venuta del Figlio dell’uomo è vicina, alle porte. Anzi: « In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno ». Gesù ci ammonisce ancora dicendo che quel giorno e quell’ora nessuno li conosce, né gli angeli e neanche il Figlio, ma solo il Padre. Gesù, alludendo a ciò che sarebbe capitato a Gerusalemme non molto tempo dopo, esorta i discepoli e coloro che lo avrebbero accolto a restare perseveranti nella fede, saldi nelle sue parole e, pur in mezzo a tutto quello che dovrà accadere, a non temere nulla. A sostenerli e fortificarli ci sarebbe stato lui che, attraverso il suo Spirito, li avrebbe assistiti nella testimonianza da rendergli davanti ai giudici e nei tribunali degli uomini. Così la vita dei discepoli del Signore potrà essere soggetta a persecuzioni, tradimenti, tentazioni e inganni, ma Egli li avrebbe accompagnati lungo la storia fino a quegli ultimi eventi, promettendo: « Ecco, Io sarò con voi fino alla fine dei tempi! ».
ATTENDIAMO NELLA VIGILANZA LA VENUTA DEL SIGNORE.
14 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipando all’Eucaristia, in cui offriamo il Corpo e Sangue di Cristo, chiediamo a Dio la grazia di servirlo fedelmente con impegno costante. Alla fine della nostra vita potremo allora sentire le parole che, nella parabola del servo fedele del Vangelo, il padrone dice al servo : « Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore ». Dall’Eucaristia, nelle vicende della vita, siano esse liete o tristi, riceviamo la forza di essere operosi nella carità, pazienti nelle avversità, perché attraverso esse ci prepariamo il « frutto di un’eternità beata ».
Così ravviviamo nell’incontro con il Signore la speranza di conseguire la vita eterna.
Nella preghiera della colletta ci rivolgiamo al Signore dicendo:« O Dio, che farai risplendere i giusti come stelle nel cielo, accresci in noi la fede, ravviva la speranza e rendici operosi nella carità, mentre attendiamo la gloriosa manifestazione del tuo Figlio ».
Prima Lettura: Dn 12,1-3.
Nella visione del profeta Daniele ci viene descritto ciò che avverrà: « Sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo » e, pur essendo un tempo d’angoscia, chiunque di esso « si troverà scritto nel libro » sarà salvato. Viene anche descritta quale sarà la sorte di tutti coloro che dormono nella polvere, i quali « si risveglieranno gli uni per la vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna ». I saggi e coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come lo splendore e le stelle del firmamento.
Vi è preannunziata in questa visione apocalittica la realtà in cui saremo introdotti da Dio quando, alla fine dei tempi, ognuno, a seconda delle opere compiute nella libertà delle scelte fatte, riceverà di partecipare o allo splendore di Dio e della sua eterna beatitudine, o alla infamia e vergogna eterne.
Seconda Lettura: Eb 10,11-14.18.
La lettera agli Ebrei continua a descrivere l’opera di Cristo che, come sommo sacerdote della nuova alleanza, a differenza del sacerdozio levitico, non si presenta a celebrare giorno per giorno il culto e gli stessi sacrifici che non possono eliminare i peccati. Cristo, dopo essersi offerto con un unico sacrificio per i peccati, « si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi ». Egli così con un’unica offerta « ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati », per cui non c’è più bisogno di sacrifici né di offerte per il perdono dei peccati.
In Lui, ormai, ogni uomo può accedere al perdono e alla misericordia di Dio, partecipare della santificazione ed entrare nella vita e nella comunione eterna con Dio insieme a tutti i giusti. E’ necessario che il nostro sguardo sia fisso sulla croce del Signore, perché tutto dipende dalla sua morte, momento decisivo per la storia del mondo e per la salvezza di tutti gli uomini.
L’Eucaristia, che è il cuore della Chiesa, ripresenta, nella storia dell’umanità e di ognuno, quell’ evento salvifico e santificante, per cui tutti coloro che vi si lasciano coinvolgere possono partecipare della salvezza eterna.
Vangelo: Mc 13,24-32.
In questa penultima domenica dell’anno liturgico, questo brano dell’ Evangelista Marco ci ripropone l’insegnamento di Gesù riguardo agli avvenimenti escatologici, cioè ultimi della storia: « In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte ». Sarà il momento in cui si vedrà « il Figlio dell’uomo » venire sulle nubi del cielo, con potenza e gloria, e i suoi Angeli raduneranno gli eletti della terra.
Ancora. Attraverso la parabola del fico, che preannunzia l’avvicinarsi dell’estate non appena mette le foglie, Gesù invita i suoi ascoltatori a riconoscere, dagli eventi futuri descritti, che la venuta del Figlio dell’uomo è vicina, alle porte. Anzi: « In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno ». Gesù ci ammonisce ancora dicendo che quel giorno e quell’ora nessuno li conosce, né gli angeli e neanche il Figlio, ma solo il Padre. Gesù, alludendo a ciò che sarebbe capitato a Gerusalemme non molto tempo dopo, esorta i discepoli e coloro che lo avrebbero accolto a restare perseveranti nella fede, saldi nelle sue parole e, pur in mezzo a tutto quello che dovrà accadere, a non temere nulla. A sostenerli e fortificarli ci sarebbe stato lui che, attraverso il suo Spirito, li avrebbe assistiti nella testimonianza da rendergli davanti ai giudici e nei tribunali degli uomini. Così la vita dei discepoli del Signore potrà essere soggetta a persecuzioni, tradimenti, tentazioni e inganni, ma Egli li avrebbe accompagnati lungo la storia fino a quegli ultimi eventi, promettendo: « Ecco, Io sarò con voi fino alla fine dei tempi! ».
RINGRAZIAMO IL SIGNORE PER TUTTI I SUOI BENEFICI SPIRITUALI E MATERIALI.
7 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(ANNO B)
OOGI RICORRE LA 71a GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi partecipandovi con fede ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione, per cui con l’Eucaristia che noi celebriamo viene alimentata la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Padre, che soccorri l’ orfano e la vedova e sostieni la speranza di chi confida nel tuo amore, fa’ che sappiano donare tutto quello che abbiamo, sull’esempio di Cristo che ha offerto la sua vita per noi ».
Prima Lettura: 1 Re 17,10-16.
Nell’episodio di Elia che affamato e assetato, dal lungo viaggio, incontra, alla porta della città di Sarèpta, la vedova a cui chiede di dargli dell’acqua e preparargli una focaccia, siamo chiamati a condividere con i fratelli ciò di cui disponiamo e ad affidarci alla provvidenza di Dio nella nostra vita. Alla donna, che risponde ad Elia dicendo di non avere altro che un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio, per fare una focaccia per lei e il suo figlio e poi aspettare la morte, il profeta dice: « Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, perché così dice il Signore, Dio d’Israele: “ La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra ».
Mangiarono tutti, lei, lui e la casa di lei per diversi giorni e sia la farina della giara che l’olio dell’orcio non diminuirono, come aveva detto il profeta.
La fede della donna, che fa come le dice il profeta, viene premiata, perché nella sua provvidenza Dio non fa mancare il necessario a chi condivide di cuore ciò che la sua bontà dona. Spesso nella nostra vita, spinti dall’egoismo, non facciamo affidamento nella provvidenza di Dio. Ma se ci apriamo, con l’accoglienza pronta e sincera, anche a chi non è nella nostra cerchia, come fece la donna con lo straniero Elia, allora il Signore non mancherà di elargire il necessario per tutti.
Seconda Lettura : Eb 9,24-28.
Il brano della lettura dalla Lettera agli Ebrei, ci presenta un altro aspetto dell’azione sacerdotale di Gesù. Egli infatti, a differenza di quanto avveniva nell’esercizio del sacerdozio ebraico, in cui il sommo sacerdote ripeteva, una volta all’anno, il sacrificio con il sangue altrui nel tempio, costruito dall’uomo, dopo aver offerto il proprio sangue e riconciliato l’umanità con Dio, è entrato, dopo la sua risurrezione, nel santuario del cielo non fatto da mani d’uomo: « Ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso ». Conclude la Parola di Dio dicendo che come per gli uomini è stabilito che muoiono una sola volta e poi viene per loro il giudizio, così anche il Cristo che è morto, « dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza ».
Con il gesto sacrificale di se stesso, compiuto una sola volta, che ha valore inesauribile, perché compiuto da un uomo-Dio, tutti i peccati del mondo possono essere perdonati, per cui non c’è motivo di ripetere lo stesso sacrificio, che è perennemente valido. Celebrando l’Eucaristia noi riceviamo il frutto di quell’unico sacrificio, mentre attendiamo il Cristo nell’attesa della sua venuta, come ripetiamo nell’acclamazione dopo la consacrazione.
Vangelo: Mc 12,38-44.
Gesù, oggi, nel suo insegnamento se, da una parte, dice alla folla di non avere atteggiamenti farisaici, come spesso nota nel comportamento di scribi e farisei, i quali « amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti, divorano le case delle vedove e pregano per farsi vedere », e preannunzia per tali comportamenti condanne più severe, dall’altra , guardando coloro che offrono l’obolo nel tesoro del tempio, loda l’offerta di « due monetine », che una vedova vi getta, perché, così povera che è, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri: « Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere ». Davanti a Dio quello che conta non è tanto la quantità del dono, ma con quale intenzione d’animo, spirito e sincerità il sacrificio reale viene offerto. E’ prezioso davanti a Dio l’obolo della vedova e non ciò che viene donato, dal proprio superfluo, da chi vuole ostentare se stesso per primeggiare. Il metro di Dio non è quello umano, perché la povertà per Dio è la vera ricchezza. Egli valuta molto il poco che ognuno dà di cuore e per amore dei fratelli.
RIPORRE TUTTO NELL'AMORE.
31 OTTOBRE – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B)
In questa Domenica LA Parola di Dio ci chiede di corrispondere al suo amore con tutto il nostro cuore, con tutta l’anima con tutta mente e con tutte le nostre forze. Da questo amore deve dipendere l’amore per gli uomini, perché tutti siamo creature di Dio, creati a sua immagine e somiglianza e figli, se aderiamo a Lui secondo il suo progetto di salvezza realizzato nel suo Figlio, morto e risorto per noi.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia diciamo: « O Padre, tu sei l’unico Signore e non c’è altro Dio all’infuori di te: donaci la grazia dell’ascolto, perché i cuori, i sensi e le menti si aprano al comandamento dell’amore ».
Dt 6,2-6.
Mosè, a cui Dio ha rivelato i comandamenti, rivolto al popolo lo esorta a temere Dio e ad osservare, lungo tutti i giorni della sua vita e per tutte le generazioni, i comandi e le leggi che Mosè dava loro, perché solo così avrebbero avuto lunga vita e prosperità. Mettendole in pratica avrebbero avuto vita felice e lunga discendenza nella terra promessa come Dio aveva promesso ai padri. Il Signore ribadisce la sua unicità e non avrebbero dovuto avere altri dei, né prostrarsi davanti ad altri dei..
Eb 7,23-28.
La lettera agli Ebrei, continuando la catechesi sul Sacerdozio nell' alleanza ebraica e nella nuova alleanza cristiana, vi evidenzia come il primo sacerdozio non aveva lunga durata per la morte di coloro che divenivano sacerdoti, mentre quello di Cristo, che si è offerto come vittima di espiazione dei peccati di tutti, poiché egli possiede un sacerdozio che non tramonta, può salvare quelli che per mezzo di Lui si avvicinano a Dio. Poiché il Signore Gesù, si è assiso alla destra del Padre, dopo la sua risurrezione e ascensione al cielo, intercede in favore degli uomini. Gesù, sommo sacerdote della nuova alleanza, essendo santo, innocente, senza macchia, salito ormai al cielo, non ha bisogno di offrire ogni giorno sacrifici come facevano i sommi sacerdoti dell’antica alleanza, per i propri peccati e per quelli del popolo, perché con il suo unico sacrificio ha realizzato, una volta per tutte, offrendo se stesso, la redenzione universale di quelli di cui ne ha condiviso la natura umana eccetto il peccato.
Gesù, poiché ha imparato l’obbedienza dalle cose patì, è stato reso perfetto per sempre ed è divenuto causa di salvezza eterna per tutti quelli che gli obbediscono.
Mc 12, 28b-34.
Gesù, allo scriba che gli domandò quale fosse il comandamento più grande, risponde, ripetendo la formula antica: « “Ascolta, Israele! Il Signore tuo Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “ Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi »
Lo scriba, riconoscendo che Gesù aveva risposto bene e secondo verità, gli risponde che l’amore a Dio, da amare con tutto noi stessi e il prossimo come se stessi, vale più di tutti gli olocausti e sacrifici.
Gesù, allora, gli conferma che, se così farà, egli non è lontano dal regno di Dio.
Nella nostra vita, se vogliamo essere secondo quanto il Vecchio Testamento e l’insegnamento di Gesù ripropone, dobbiamo saper coniugare bene entrambi gli aspetti di questo amore che bisogna avere verso Dio e verso il prossimo, vicino o lontano, perché significa dare a Dio quello che spetta a Dio e al prossimo quello che spetta al prossimo.
« CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA »
24 OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(Anno C)
« CORAGGIO! ALZATI, TI CHIAMA »
La fede che noi celebriamo nell’Eucaristia ci avvicina al banchetto eucaristico e in esso noi ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore. Questa fede si fonda sulle parole dette da Gesù, nell’Ultima Cena, sul pane e sul vino, dandoli a noi come segno della sua presenza: « Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi » e « Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me ». Nell’Eucaristia vi è il sacrificio che Gesù ha offerto come « sacerdote giusto e compassionevole », « la tenerezza del Padre celeste, che ci invita al banchetto del Figlio, preparato per noi ». Per opera dello Spirito Santo, riceviamo la grazia che alimenta in noi la vita divina, rendendoci capaci di amare alla maniera di Cristo e di confidare nella misericordia del Padre. Tutto questo lo possiamo vivere nella fede, che se mancasse, renderebbe il nostro incontro eucaristico domenicale senza efficacia, frutto della nostra iniziativa gratificante solo psicologicamente, senza ricevere il dono che Dio ci fa donandoci il suo Figlio.
Nella preghiera iniziale della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, Padre buono, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote compassionevole verso i poveri e gli afflitti, ascolta il grido della nostra preghiera e fa’ che tutti gli uomini vedano in lui il dono della tua misericordia ».
Prima Lettura : Ger 31,7-9.
Il profeta Geremia invita il popolo, riferendo le parole del Signore: « Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e di dite: “ Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto di Israele ”».
Ancora. Geremia ricorda che Dio riunirà « il suo popolo dalle estremità della terra, il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente e ritorneranno in gran folla ». Tutti questi, dopo essere partiti nel pianto, sarebbero stati riportati tra le consolazioni e condotti a fiumi ricchi d’acqua attraverso una strada dritta: è il ritorno degli esuli, il resto che Dio ha salvato dopo la schiavitù di Babilonia.
Così l’amore di Dio avrebbe rinnovato l’esodo dei riscattati, non per i loro meriti, ma perché Egli è un « Padre per Israele, Efraim il suo primogenito ». Tutto questo si è realizzato pienamente con Gesù, che è venuto a rivelarci la tenerezza dell’amore del Padre celeste, la sua paternità che genera dall’eternità il Figlio, Gesù Cristo. Per mezzo di lui, apparso tra noi, come uno di noi, come nostro Salvatore e Redentore, Dio ci rende partecipi di questa figliolanza adottiva per opera dello Spirito Santo. Così noi non siamo più estranei a Dio, ma divenuti per suo dono figli, godiamo della sua provvidenza paterna che ci segue con il suo amore e ci aspetta per accoglierci nella sua comunione eterna.
Seconda Lettura: Eb 5,1-6.
La lettura dalla Lettera agli Ebrei, ci ricorda che ogni sommo sacerdote scelto tra gli uomini, è costituito per loro, per le cose che riguardano la divinità, « per offrire doni e sacrifici per i peccati propri e del popolo ». Anche Gesù, come sommo Sacerdote, scelto tra gli uomini, essendosi rivestito di debolezza, è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore. A causa di questa non deve offrire sacrifici per i peccati suoi e del popolo, come facevano i sacerdoti della religione israelitica, ma solo per quelli del popolo, poiché Gesù non si è attribuito da se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferita il Padre che gli ha detto: « Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato » e in un altro passo della Scrittura : « Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchisedek » e non secondo quello levitico.
Gesù, per noi, è il sommo Sacerdote che offre al Padre se stesso in sacrificio sulla croce per espiare le colpe degli uomini, con una immolazione ormai valida per tutti e per sempre. Gesù, Figlio di Dio, in quanto uomo « è preso tra gli uomini, per cui sente « giusta compassione » per le debolezze nostre. Per questa sua compassione e l’infinito valore del suo sacrificio, noi nutriamo ferma confidenza nell’amore di Dio e nella sua grande misericordia, avendo dato il suo Figlio come vittima di riconciliazione.
Vangelo: Mc 10,46-52
Il figlio cieco di Timeo, Bartiméo, saputo che Gesù passava per le vie di Gerico, si mise a gridare verso di lui : « Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». Ma, poiché lo rimproveravano perché non gridasse, egli gridava ancora più forte: « Figlio di Davide, abbi pietà di me! ». Gesù comanda di chiamarlo e quelli che sono vicini gli dicono: « Coraggio! Alzati, ti chiama! ». Bartiméo, allora, getta via il mantello, balza in piedi e si avvicina a Gesù, che gli dice: « Cosa vuoi che io faccia per te? ». E lui:« Rabbunì, che ci veda di nuovo!». Gesù gli dice: « Va’, la tua fede ti ha salvato ». Il cieco ci vide e segue Gesù lungo la strada. Gesù guarisce il cieco per la sua fede. E se anche gli viene impedito di implorare Gesù, questi comanda di chiamarlo e gli dona la luce degli occhi e gli illumina il cammino per seguirlo. Gesù è colui che ridà la vista spirituale a tutti quelli che lo implorano nella ricerca della verità e di Dio, illuminando il cammino della liberazione da ogni forma di cecità umana: attraverso la guarigione del corpo Gesù tocca e guarisce il cuore.
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