





Gesù, tentato da Satana nel deserto, ci insegna a resistere alle tentazioni.
14 FEBBRAIO – PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA.
La Quaresima, come segno sacramentale della nostra conversione, ci impegna a vivere i giorni e i riti che celebriamo rivedendo la nostra esistenza e ogni gesto di essa alla luce del Vangelo e dell’esempio del Signore. In questo tempo, favorevole in maniera particolare per la nostra salvezza, la Parola di Dio ci chiama a confrontarci con essa e, riconoscendo le situazione della vita poco conformi ad essa, ci invita a convertirci, a cambiare atteggiamenti e comportamenti, ad accostarci alla misericordia di Dio per attingervi, sinceramente pentiti, il suo perdono.
La Chiesa, forte della presenza dello Spirito Santo, come disse Gesù agli apostoli: « Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi », invita, quindi, in maniera particolare, i suoi figli, a vivere intensamente il cammino di conversione e di rinnovamento della vita, guardando al mistero pasquale di morte e di risurrezione del Signore Gesù. Il Padre celeste, infatti: « per riconciliare a sé in mondo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando agli apostoli la parola della riconciliazione … a Colui che non aveva conosciuto peccato, l’ha fatto peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio » ( 2Cor 5,19-21).
Nella Colletta di questa prima Domenica preghiamo dicendo: « Signore nostro Dio, ascolta la voce della Chiesa che t’invoca nel deserto del mondo e stendi la tua mano, perché nutriti con pane della tua parola e fortificati dal tuo Spirito, vinciamo con il digiuno e la preghiera le continue seduzioni del maligno ».
Prima Lettura: Dt 26, 4-10.
Il brano del Deuteronomio propone alla nostra contemplazione la preghiera che l’israelita faceva, deponendo sull’altare, per le mani del sacerdote, la cesta con i doni da offrire al Signore, ricordando la vicenda dell'antenato Giacobbe che, aramèo errante, sceso in Egitto da forestiero era diventato una nazione numerosa, grande e forte; come ivi maltrattati, umiliati e sottoposti a dura schiavitù i suoi padri avevano gridato al Signore, che aveva ascoltato la loro voce e visto la loro umiliazione, miseria e oppressione; li aveva fatti uscire con mano potente e braccio teso dall’Egitto con segni e prodigi, conducendoli lungo il deserto alla terra promessa che aveva giurato di dare: per tutti questi eventi passati e per i frutti della terra, doveva ringraziare il Signore, suo Dio, prostrandosi davanti a lu. La cesta delle primizie è un segno di ringraziamento riconoscente al Signore, per la liberazione dalla schiavitù, da una vita errabonda, e per averlo accompagnato, con i segni della sua potenza e del suo amore, durante il deserto fino alla terra promessa.
Seconda Lettura: Rm 10,8-11.
San Paolo ai Romani ripete quello che dice Mosè e che cioè la Parola è vicina all’ uomo credente, sulla sua bocca e nel suo cuore, cosi come la parola della fede che egli predica. Se dunque il cristiano proclama con la bocca che “ Gesu è il Signore” e “con il cuore crede che Dio lo ha risuscitato dai morti”, allora, sarà salvo. Con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca, facendo la professione di fede, per ottenere la salvezza. Chi crede nel Signore non resta deluso e tutti davanti all’unico Signore, ricco verso tutti quelli che invocano il suo nome, possono ottenere la salvezza.
Si è salvati per la fede che nutriamo nella morte e risurrezione del Signore, credendo fermamente in lui e aderendo ai suoi misteri pasquali. Credendo veramente nel Signore non si resta delusi e quella che Cristo offre è una salvezza offerta a tutti, senza distinzione di razza, ed è elargita con larghezza.
Vangelo: Lc 4,1-13.
Gesù, dopo il battesimo e pieno di Spirito Santo, per quaranta giorni nel deserto, digiunando e pregando, si prepara alla missione. Non mangiò nulla e alla fine ebbe fame. E’ tentato dal diavolo che vuole persuaderlo a cambiare la pietra in pane per sfamarsi. Ma Gesù gli rispose: « Sta scritto: “ Non di solo pane vivrà l’uomo”». Condotto in alto e mostrandogli in un istante tutti i regni della terra lo tentò dicendogli di dargli tutto se prostrato lo avrebbe adorato. E Gesù rispose: « Sta scritto: “ Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” ». Portato infine a Gerusalemme, sul punto più alto del tempio gli disse: « Se tu sei il Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “ Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “ Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra” ». Ma Gesù gli rispose: « E’ stato detto: “ Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Esaurita così ogni tentazione il diavolo si allontanò da lui.
Le prove e le tentazioni, che il Padre permette al suo Figlio, non sono in contrasto al disegno di Dio su di lui. Il Signore, forte del suo Spirito, non cede alle tentazioni, a differenza di quanto era avvenuto ad Israele nel deserto. Alimentato dalla Parola di Dio Gesù non si lascia incantare , né ingannare da tutte le lusinghe del diavolo, ma ribatte alle parole del diavolo tratte dalle Scritture, con altrettanta fedeltà alla Scrittura. Così seguirà la via della croce, della ignominia per dire il « sì » dell’adorazione del Padre. E infine non mette alla prova la potenza di Dio, che lo avrebbe dovuto soccorrere perché suo Figlio, con uno spettacolare e facile miracolo: Gesù accetterà di morire sulla croce e non essere graziato e miracolato. Le tentazioni e la vittoria di Cristo diventano così per noi il paradigma di quello in cui anche noi possiamo trovarci nella nostra vita quotidiana: interessarci solo di cose terrene, affamati come siamo di esse, e dimenticare di nutrirci del cibo della Parola di Dio e dell’Eucaristia con cui avere la forza per camminare nel deserto dell’esistenza; prostrarci davanti a tanti idoli, per i quali impieghiamo tempo e risorse e vita, dimenticando di adorare l’unico e vero Dio; evitare di inseguire la gloria, il successo, il potere per i nostri interesse e non per un servizio da rendere ai fratelli, come ha fatto il Signore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita per la salvezza di tutti.
Come lui, seguendo il suo esempio, con la forza dello Spirito, anche noi possiamo conseguire, in questo combattimento spirituale, la vittoria contro le insidie del maligno, come quella definitiva conseguita da Cristo sulla croce.
QUARESIMA: TEMPO FAVOREVOLE DI CONVERSIONE E DI PERDONO.
QUARESIMA 2016
Con il Mercoledì delle Ceneri inizia il periodo di quaranta giorni in preparazione alla Pasqua. Fin dal IV secolo, dal Concilio di Nicea,(325), un canone stabiliva un tempo di digiuno della durata di quaranta giorni che precedevano la Pasqua. San Girolamo, nel 384, in un suo scritto evidenzia che il digiuno, in questo periodo, di durata variabile, da tre settimane all’inizio fino a quaranta giorni in seguito, è la caratteristica propria di questa celebrazione. A Roma veniva celebrato questo periodo con le cele- brazioni stazionali, vissute dalla comunità romana insieme al papa, in chiese diverse, in vari giorni.
Iniziata come tempo di preparazione dei catecumeni ai sacramenti dell’ iniziazione, con il tempo divenne tempo penitenziale per coloro che dovevano praticare la penitenza pubblica per essere riammessi, nella notte di Pasqua nella comunione ecclesiale.
Sant’Ambrogio diceva che a Pasqua sono presenti due tipi di acque differenti: le acque del Battesimo e quelle delle lacrime della penitenza. Questo periodo di preparazione alla Pasqua, prevedeva a Roma sei settimane, e in seguito fu spostato l’inizio al mercoledì precedente queste settimane, in cui i penitenti pubblici erano rivestiti da un abito penitenziale e cosparsi di cenere. Vennero aggiunte, verso il VI secolo le domeniche di Settuagesima, Sessuagesima e Quinquagesima e verso la fine del IX secolo
si instaura l’imposizione delle ceneri a tutto il popolo, essendo venuta meno la penitenza pubblica.
Oggi la Quaresima inizia con il Mercoledì delle Ceneri e termina il Giovedì Santo. L’imposizione delle ceneri viene fatto o durante la celebrazione eucaristica o inserita nella celebrazione della Parola.
Dopo il Concilio viene recuperato il significato battesimale della quaresima, che con il tempo era stato adombrato. Battesimo, che viene ricordato o a cui ci si prepara, e la Penitenza, invogliando i fedeli all’ascolto più frequente della Parola di Dio, alla preghiera per disporsi così a celebrare il mistero pasquale. In un percorso catecumenale la Quaresima può considerarsi una vera e propria iniziazione sacramentale: « La liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale, sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell’iniziazione cristiana, sia i fedeli, per mezzo del ricordo del battesimo e della penitenza ». (NGALC,N.27). La Parola di Dio, le preghiere delle collette, dei prefazi tutto ruota attorno al mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore e le implicazioni che esso ha nella vita di tutti i credenti in lui: una sequela del Signore, che impegna fino al dono totale di sé e che ci permettere di partecipare alla sua risurrezione nella gloria.
I racconti nelle Tentazioni e della Trasfigurazione vengono proclamati nella prima e seconda domenica in ogni ciclo liturgico, mentre nelle altri cicli vengono posti in evidenza l’itinerario sacramentale battesimale (nell’Anno A), cristocentrico-pasquale (nell’Anno B), penitenziale (nell’Anno C).
L’invito alla conversione, con una penitenza interna ed esterna, individuale e comunitaria, è continuamente rivolto a tutto il popolo di Dio nelle preghiere eucologiche, perché :« attraverso l’itinerario spirituale della Quaresima, i fedeli giungano completamente rinnovati a celebrare la Pasqua del tuo Figlio » e « Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua ». La conversione in quaresima è condizione indispensabile per partecipare pienamente al mistero pasquale di Cristo: essa è tempo sacramentale della nostra conversione.
Purificare la vita per amare il Signore e il prossimo.
Con l’imposizione delle Ceneri Incomincia il cammino della Quaresima, che ha per metà la Pasqua, in cui si rinnova la grazia della passione, della morte e della resurrezione del Signore. E’ un tempo di austerità, di penitenza, che vuol dire conversione, cambiamento « contro lo spirito del male»; un tempo di liberazione dal peccato, origine della morte, così che la nostra vita sia « rinnovata a immagine del Signore risorto ».
Il modello della Quaresima è Gesù Cristo nel deserto: la sua decisione nel rigettare le insidie dell’antico tentatore, il suo ascolto fedele della Parola di Dio e, per noi, la preghiera insieme all’elemosina e al digiuno sono l’espressione di questo cambiamento di vita nell’imitare il Signore in questo tempo sacro.
L’esperienza del digiuno non è una attenzione narcisistica di cura dimagrante che la società moderna propone, ma un’imitazione del Signore che nel deserto ha pregato e digiunato e ci ha insegnato a vivere con tutto il nostro essere, spirito e carne, nella ricerca e nell’amore di Dio, nell’avere fame di lui. La vita cristiana senza l’ascesi sarebbe solo fatto ideologico, costellato magari di buone intenzioni, ma senza coinvolgimento dell’intera persona. L’ascesi diventa palestra che vuol farci giungere a conoscere e amare Dio e a vivere, nella carità di Dio, liberandoci dall’egoismo, dal dominio incondizionato delle passioni, dal desiderio di possesso, l’amore al prossimo, per realizzare una comunione di condivisione e di fraternità con tutti coloro che sono nelle necessità spirituali e materiali.
Prima Lettura: Gl 2,12-18.
La quaresima è il tempo della conversione e del perdono. Certo tutti i giorni contengono l’invito e l’impegno per il ritorno al Signore « con tutto il cuore, con digiuni, con pianti ». Così come ogni tempo è ricco della misericordia e della benignità divina. Ma a partire da questo mercoledì , la Parola di Dio che « si muove a compassione » risuonerà più insistente, e anche salirà più fervida a Dio l’orazione, che è gemito e implorazione dei « sacerdoti , ministri del Signore » e di tutta la Chiesa con loro.
Seconda Lettura: 2 Cor 5,20-6,2.
Paolo si considera ambasciatore di Cristo e collaboratore di Dio nel proclamare che è giunto, ed è presente adesso, il tempo della salvezza, cioè della riconciliazione con Dio. E’ la riconciliazione compiuta da Gesù stesso, l’innocente che Dio ha trattato da « peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio »: noi riceviamo la grazia della « giustizia di Dio », per i meriti del Signore.
Vangelo: Mt 6,1-6,16-18.
Le nostre opere di carità, le nostre preghiere, la nostra penitenza non devono essere proclamate all’esterno, perché siano ammirate e diventino morivo di lode per noi. Deve invece importare lo sguardo di Dio, che vede nel segreto, e la ricompensa che viene da lui. Diversamente, potremmo anche lavorare e impegnarci molto, ma sarebbe uno sciupio di tempo e di energie. In ogni azione buona, che compiamo non per vanità, ma per amore di Dio, c’è una dimensione di eternità, che non andrà mai perduta.
Le domeniche di questo tempo hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche si anticipano al sabato.
La sesta domenica, con la quale si comincia la Settimana santa, viene chiamata Domenica delle Palme,della passione del Signore.
Il Mercoledì delle Ceneri e il VENERDI’ SANTO sono giorni di digiuno e astinenza: digiuno per coloro che sono compresi tra i 18 e i 60 anni compiuti, ( si è dispensati per motivi di salute);astinenza dalle carni, per coloro che sono dai 14 in sù ( si è dispensati per motivi di salute). Anche i bambini possono essere abituati ad astenersi dalle carni in questo Tempo di Quaresima.
Tutti i VENERDI’ di Quaresima, si osservi l’astinenza dalle carni.
Si consiglia di meditare nei Venerdì di Quaresima la Passione di Gesù o eventualmente in altri giorni a seconda della propria disponibilità di tempo.
Il Signore affida a chi si riconosce peccatore davanti a lui la missione di portare la sua Parola.
7 FEBBRAIO – V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Attraverso il Battesimo siamo partecipi della Chiesa, famiglia di Dio, su cui veglia l’amore del Padre celeste. Poiché siamo, però, avvolti da tante situazioni che ci rendono poco sereni, ansiosi, timorosi davanti alle tentazioni e sofferenze, nell’incontro con l Signore e tra noi riaccendiamo la certezza di questo amore di Dio. La fede certo non dissolve tutte quelle realtà di disagio, ma certamente da essa noi attingiamo la forza per vivere nella speranza e nella fiducia che Dio, come ha liberato il suo Figlio, ci promette una liberazione che ci fa accettare, con spirito evangelico, le prove della vita, e viverle in comunione con le sofferenze e la passione redentrice di Cristo, mentre attendiamo di essere introdotti nella vita in Dio. Egli è vicino alla sofferenza dei suoi figli e li unisce alla Pasqua di Cristo, suo Figlio.
Se quindi chiediamo ai fratelli un aiuto che possa sostenerci non possiamo fare a meno di confidare nella forza e nella grazia di Dio.
Nella preghiera della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « Dio di infinità grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra ».
Is 6,1-2.3-8.
Nella visione profetica Isaia vede, nel tempio, il Signore che con i lembi del suo manto lo riempie e attorno i Serafini proclamano: « Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta le terra è piena della tua gloria ». Al risuonare di quella voce il tempio si riempiva di fumo. Il profeta smarrito esclama: « Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo ad un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti ». Davanti a tanto sgomento, un Serafino, prendendo con le molle un carbone ardente dall’altare, purifica le labbra del profeta, assicurandogli che è scomparsa la sua colpa e espiato il suo peccato. Dopo questo gesto, il profeta ode la voce del Signore che dice: « Chi manderò E chi andrà per noi? ». Egli risponde: « Eccomi, manda me! ». Non solo Isaia, ma ogni uomo che Dio chiama ad essere suo profeta, avverte la propria indegnità e impurità davanti a Colui che è il Santo. Ma Dio purifica e brucia l’iniquità e il peccato di colui che è inviato a portare la sua Parola, rendendo puri il suo cuore e le sue labbra. Più l’uomo si avvicina a Dio più avverte e si accorge delle sue colpe, anche se sono nel luogo più recondito della sua anima. Siamo infatti facili a commettere le nostre colpe, anche se spesso leggere o di poco conto. Dobbiamo chiedere al Signore la sua luce per giudicare la nostra condotta, perché nella nostra cecità, tante volte, non vediamo le nostre innumerevoli mancanze.
1 Cor 15,1-11.
Paolo vuole rafforzare nei Corinzi la loro adesione al Vangelo che ha loro annunziato, per renderli saldi in esso affinché lo mantengano come lo ha annunziato.
Egli riconferma quel Vangelo che a sua volta ha ricevuto e che cioè: « Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici ».
E ancora. Che è apparso a più di cinquecento fratelli in una sola volta, a Giacomo e, ultimo, anche a lui, che si ritiene come un aborto. Riconosce la sua piccolezza tra gli apostoli e, avendo perseguitato la Chiesa di Dio nella vita precedente alla conversione, avverte la sua indegnità ad essere chiamato apostolo. Riconosce, pero, che è stata la grazia di Dio, che in lui non è stata vana, a renderlo quello che è. Per questa sua nuova realtà di vita e per aver creduto nel Signore, ritiene di essere stato inviato anche lui, come gli altri apostoli, a predicare il Vangelo della salvezza, come lui lo ha ricevuto dalla tradizione e l’ ha annunziato ai Corinzi, affinché lo mantengano nella sua integrità. Attribuisce, infine, pur riconoscendo di aver faticato più di tutti gli altri nell’annunzio del Vangelo, alla grazia di Cristo la fecondità del suo annunzio e la sua corrispondenza alla missione, a cui il Signore Gesù lo ha mandato.
Vangelo: Lc 5,1-11.
Gesù presso il lago di Gennèsaret vede due barche ormeggiate e i pescatori che riparano le reti. Salito sulla barca di Simone, gli chiede di staccarsi un poco da terra e, sedutovisi, insegna alle folle dalla barca. Finito di parlare dice a Simone: « Prendi il largo e gettate le reti per la pesca ». A questa richie-sta di Gesù Simone risponde che hanno faticato tutta la notte e non hanno preso nulla. Ma sulla parola del Maestro vanno a pescare e « presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano ». Aiutati poi dai compagni dell’altra barca riempiono tutte due le barche fino quasi a farle affondare. Visto il fatto, Simon Pietro, inginocchiatosi ai piedi di Gesù, esclama: « Allontanati da me, perché sono un peccatore », poiché per lo stupore ha preso lui e i due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, soci di Simone.
Ma Gesù rincuora Simone dicendogli: « Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini ». Subito tutti, tirate le reti a terra, le lasciano e lo seguono.
Anche Pietro, dopo la pesca inaspettata, fatta per obbedienza al Signore, si riconosce peccatore e lui e gli altri avvertono la loro indegnità davanti alla presenza di Gesù, il quale affida loro ugualmente la missione, cambiando loro la vita, di diventare pescatore di uomini. Quella di Pietro e degli apostoli sarà una pesca più miracolosa di quella del lago: la forza divina di Gesù, in mezzo ad un mare burrascoso, quale è il mondo, in cui si trovano gli uomini con tutte le loro problematiche, renderà possibile una pesca salvifica degli uomini, sia per allora come anche per la Chiesa di oggi. Il Signore agisce ancora oggi, ma chiede a tutti, apostoli e discepoli che egli invia a compere quest’opera salvifica, pur restando nel mondo e compiendo le attività quotidiane, di lasciare tutto e seguirlo, con un impegno che interessa e coinvolge indistintamente, nell’annunziare il Vangelo della salvezza.
La testimonianza del profeta nell'annunzio del Vangelo.
31 GENNAIO – IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Nell’incontro che i cristiani, come popolo di Dio, viviamo la Domenica, accettando la salvezza che Dio Padre ha disposto nel suo Figlio, esprimiamo la nostra adesione a Lui e l’impegno a portare con coraggio l’annunzio missionario del Vangelo al mondo. Nella adorazione del Signore, nella professione della nostra fede, vissute con l’intimità del nostro cuore e con tutta la nostra anima e con l’Eucaristia a cui ci accostiamo, riceviamo la forza e il coraggio di una testimonianza che realizza con parole e opere l’annunzio della salvezza.
Nella preghiera della colletta preghiamo dicendo: « O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo ».
Prima Lettura: Ger 1,4-5.17-19.
Il profeta Geremia, nel brano di oggi, per la parola che il Signore gli rivolge, ci da testimonianza della missione profetica, a cui il Signore lo ha chiamato e stabilito, avendolo conosciuto prima che venisse formato nel grembo materno e consacrato prima di venire alla luce. La missione profetica lo impegna ad adempiere, cinto con la veste ai fianchi, simbolo della forza che riceve dal Signore, a dire a coloro a cui è mandato tutto quello che il Signore gli pone sulle labbra.
Nel profeta consacrato e inviato vi è la forza di Dio, per cui , anche dinanzi alle difficoltà, egli non può deprimersi o temere. La certezza che Dio l’accompagna lo sostiene nella sua missione. Anche gli apostoli e coloro che sono chiamati a essere messaggeri di Dio e partecipano del ministero di Cristo, sostenuti dalla forza che viene da Dio, devono adempiere alla missione che Egli affida. Il Signore se invia ad adempiere una missione, dà anche l’energia per portarla a compimento. I santi sono riusciti a compiere opere da farli sembrare folli agli occhi umani.
Secondo Lettura: 1 Cor 12,31-13,13.
San Paolo ai Corinzi, ai quali espone quali carismi e doni possiamo ricevere da Dio: parlare le lingue, avere il dono della profezia, conoscere i misteri e tutta la conoscenza, possedere tanta fede da trasportare le montagne, dare in cibo tutti i propri beni o consegnare il proprio corpo per essere bruciato, ecc. dice che tutti questi carismi non valgono nulla se non si ha la carità. Questa è la via più sublime che bisogna percorrere se si vuole essere fedeli al Signore.
Passa poi ad enumerare le caratteriste della carità, che deve essere magnanime, non invidiosa, che non si vanta né si gonfia d’orgoglio, è rispettosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode delle ingiustizie, ma si rallegra della verità. E mentre tutti i carismi, insieme con la fede e la speranza, non ci saranno più nella vita futura del cielo, rimarrà solo la carità, quando verrà ciò che è perfetto. Paragona poi questa vita terrena come quando si è bambini, quando si ragiona da bambini. Divenuti adulti, tutto ciò che è da bambini viene meno, perché quando saremo adulti, cioè perfetti in Dio, lo vedremo faccia a faccia, non più in modo confuso e come in uno specchio. Allora conosceremo perfettamente, come noi siamo conosciuti perfettamente.
Conclude dicendo che ora « rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità: ma la più grande di tutte è la carità ». Quando manca la carità tutto quello che si fa, non ha alcun valore, anche se sono cose strepitose e mirabolanti. La fede, che trasporta le montagne, la condivisione dei beni distribuiti ai poveri, pur anche il martirio che ci fa sperare l’ottenimento delle promesse, ecc. tutto vale poca cosa senza la carità, che si manifesta come magnanimità, gratuità, sopportazione, misericordia, umiltà, fiducia, mitezza, ecc.
Vangelo: Lc 4,21-30.
Nella sinagoga di Nazaret, dopo la lettura della profezia di Isaia sul Messia fatta da Gesù, conclusasi con le parole : « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato », Egli aveva meravigliato i suoi concittadini « per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca ». Ma poiché essi, conoscendolo come il figlio di Giuseppe, probabilmente gli hanno chiesto di compiere a Nazaret ciò che aveva fatto altrove, Gesù aggiunse: « In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria ». Citando, inoltre, l’esempio della straniera vedova di Sarepta, scelta da Dio tra le vedove di Israele per aiutare Elia, e di Naaman il Siro, guarito dalla lebbra per l’intervento del profeta Eliseo rispetto ai molti lebbrosi presenti in Israele, « tutti – risentendosi per quelle parole - nella sinagoga si riempirono di sdegno, si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù ». Ma Gesù passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Per l’incredulità e lo scetticismo degli abitanti di Nazaret Gesù non compie nessun miracolo: in essi manca la fede e, credendo di sapere chi è Gesù, il figlio di Giuseppe, chiudono il loro cuore ad accoglierlo come l’inviato di Dio, cioè come il Cristo. La reazione violenta avuta verso di lui rappresenta il rifiuto di Israele e di tutta l’umanità ad accogliere la prospettiva universale della salvezza che egli è venuto a realizzare: è difficile per la logica umana accettare che un Dio possa essersi fatto uomo, nella semplicità e povertà di Betlemme e nell’ignominia della croce, per essere accolto come Salvatore. Bisogna accogliere il mistero del Figlio di Dio attraverso l’umanità di Cristo: Egli è qualcosa di più di un grande uomo, di un rappresentante esemplare dell’umanità, a cui è possibile anche opporgli un rifiuto. E forse lì dove non è stato ancora annunziato troverebbe un’accoglienza più gioiosa e più coerente. La sua presenza, come rileva il vecchio Simeone: « Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, … affinché siano svelati i pensieri di molti cuori », esprime una presenza che mette in crisi e pone l’uomo nella scelta di accoglierlo o rifiutarlo.
Gesù, il Cristo è venuto per realizzare l'unità dell'umanità riconciliata col Padre.
24 GENNAIO – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
La Domenica, giorno del Signore, la Chiesa vive la gioia che le viene dall'incontro con il suo Signore, che è sorgente inesauribile di vita, perché con la sua Parola e con il suo Corpo e il suo Sangue, la nutre. Noi gli offriamo ciò che Dio nella sua provvidenza ci dà, i semplici doni del pane e del vino, che dalla potenza dello Spirito invocato, diventano sacramento di salvezza e nutrimento spirituale che alimenta la vita di amore e di comunione con Dio e i fratelli. Prendendo parte a questo convito la gioia della Chiesa diventa perfetta, se traduciamo questo incontro con il Signore nella vita, la quale diventa « segno di speranza e di salvezza per noi e per l’umanità ».
Nella colletta iniziale preghiamo Dio dicendo:« O Padre, tu hai mandato ilo Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza ».
Prima Lettura : Ne 8,2-4.6,8-10.
Dopo il ritorno dall’esilio, il sacerdote Esdra, davanti al popolo riunito, uomini, donne e quelli che erano in grado di capire, portò il libro della Legge, e da una tribuna di legno, posta nella piazza davanti alla porta delle Acque, venne letto e spiegato, per capirne il senso, dai leviti, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno. Prima di iniziare la lettura, Esdra: « Benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo, alzando le mani, rispose: “Amen, amen “; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore ».
Neemia, Esdra e i leviti rivolgendosi al popolo dissero: « Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete! », perché il popolo piangeva nell’ascoltare la lettura. Neemia invitò il popolo a far festa, mangiare carni grasse, bere vini dolci e a condividere porzioni di cibo con coloro che non avevano nulla di preparato: bisognava far festa e non essere rattristati, perché « la gioia del Signore è la vostra forza », disse.
Dall’ ascolto della parola del Signore il popolo riprende l’impegno a vivere nella fedeltà al Signore e Dio rinnova la sua alleanza, ridonando la sua grazia e la sua amicizia. Il popolo risponde con il suo « Amen! », esprimendo la sua volontà nel praticare il « Libro della Legge », comandi e leggi dati da Dio per camminare nel bene davanti a Lui.
Seconda Lettura : 1Cor 12,12-30.
San Paolo, partendo dall’ unità del corpo, costituito da capo e da molteplici membra, esorta i Corinzi, ad essere anch’ essi uniti a Cristo, capo di un corpo di cui i discepoli sono membra, Giudei o Greci, schiavi o liberi, essendo stati battezzati mediante un solo Spirito e dissetati da un solo Spirito. Così tutte le membra non possono vivere e agire ognuno per conto proprio e non sentirsi uniti a tutto il corpo: ogni membro, dunque, pur essendo distinto dalle altre membra, deve essere e operare in armonia con il capo e con tutti gli altri. « Le membra che sembrano più deboli, poi, sono le più necessarie, e le parti del corpo che riteniamo meno onorabili le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno ».
Dio, dice Paolo, come nel corpo ha conferito maggiore onore a ciò non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma le varie membra abbiano cura le une delle altre: soffrire se un membro soffre, gioire con chi è onorato, così siete voi, in quanto corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. Nella Chiesa, conclude Paolo, poiché Dio ha posto « in primo luogo alcuni come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli,quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare le varie lingue », ognuno deve svolgere il proprio ruolo a beneficio di tutto il Corpo di Cristo, che è la sua Chiesa.
Le diversità nella Chiesa, come motivo di antitesi e dissenso non possono caratterizzare la sua vita. La diversa condizione sociale o la provenienza non contano più in una comunità in cui: « Tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito ».
Ancora: la collaborazione fruttuosa tra le varie membra della Chiesa, Corpo di Cristo, deve essere perseguita con costanza, impegno e generosa carità.
Le varie grazie o le funzioni diverse non possono essere ritenute per fini egoistici, ma come un corpo ha bisogno dell’apporto di tutte le membra, così deve essere nella Chiesa: ogni attività deve svolgersi per il bene di tutta quanta la comunità dei credenti, ogni membro con la sua funzione specifica.
Mettiamo in comune i doni di Dio e le mansioni che ognuno è chiamato a svolgere? Accogliamo con gratitudine e umiltà i doni e le grazie degli altri? Facciamo prevalere, a volte, il nostro orgoglio e le nostre. più o meno larvate, invidie? Sono situazioni di cui dovremmo prendere coscienza per camminare insieme per rendere idonei i fratelli a realizzare la perfezione di Cristo nella Chiesa e nell’umanità.
Vangelo: Lc 1,1-4;4,14-21.
L’evangelista Luca, dopo aver premesso che molti prima di lui hanno raccontato con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti tra loro, da quelli che furono fin da principio testimoni oculari e ministri della Parola, anch’ egli, dopo aver fatto accurate ricerche, ha deciso di scrivere un racconto ordinato per Teòfilo, perché si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti, riguardo a Gesù, che ripieno della potenza dello Spirito, ritornato in Galilea, dove la sua fama si diffondeva, insegnava nelle sinagoghe e tutti gli rendevano lode.
Gesù, continua Luca, a Nazaret dove era cresciuto, nella sinagoga, di sabato, come era solito, aprendo il rotolo del profeta Isaia che gli fu dato, trovò il brano dove era scritto: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore ». Consegnato il volume, sedette. Poiché, però, gli occhi di tutti gli astanti erano fissi sopra di lui, Gesù disse, tanto da scandalizzarli: « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato ». Gesù, avendone consapevolezza, ricolmo dello Spirito, dice agli ascoltatori che egli è il Servo di Dio di cui parla il profeta, venuto a realizzare quell’annunzio di salvezza, avverando quella Scrittura attraverso i suoi miracoli e la sua parola. Così con lui si inaugura « l’anno di grazia del Signore ». Oggi, come allora, Gesù chiede di accoglierlo come colui che è venuto come segno visibile di Dio Padre, mandato quale Parola, fatta carne, per ristabilire la comunione dell’umanità con il Padre e realizzare il suo progetto di salvezza, riconciliandola con Lui.