





SUL TABOR, IN GESÙ TRASFIGURATO, VEDIAMO LA LUCE E LA BELLEZZA DI DIO.
25 FEBBRAIO – IIa DOMENICA DI QUARESIMA(Anno B)
SUL TABOR, IN GESÙ TRASFIGURATO, VEDIAMO LA LUCE E LA BELLEZZA DI DIO.Ù
Oggi, il Signore, dopo aver annunziato di dover andare a Gerusalemme dove sarà condannato e messo a morte, sul monte Tabor si trasfigura e il Padre ci manifesta ancora una volta che Gesù è il Figlio amato ed è lui che dobbiamo ascoltare e seguire: la nostra vita deve essere conformata sulla sua parola.. Apparendo con Gesù Mosè ed Elia, la legge e i profeti, si conclude l’Antico Testamento. Seguire Gesù significa accogliere « nella nostra vita il suo mistero di croce », su cui egli è stato consegnato dal Padre perché potessimo avere la remissione dei peccati, essendosi egli addossato le nostre iniquità. Questo difficile cammino dobbiamo compierlo nella fede e nella speranza e, ripensando all’episodio della trasfigurazione, intravedia- mo, dopo il nostro pellegrinaggio terreno, la gloria del risorto e la nostra futura risurrezione.
Nella Colletta dell’Eucaristia preghiamo Dio dicendo: « O Dio, Padre buono, che hai tanto amato il mondo da dare il tuo Figlio, rendici saldi nella fede, perché, seguendo in tutto le sue orme, siamo con lui trasfigurati nello splendore della tua luce. Per il nostro Signore Gesù Cristo…».
Prima Lettura: Gn22,1-2.9.10-13.15-18.
Nell’episodio di Abramo, chiamato da Dio a sacrificargli quell’unico figlio della promessa, la fede del Patriarca è messa alla prova, perché deve distaccarsi dalle attese suscitate in lui dalle promesse di Dio. Egli che si è già allontanato dalla sua terra, dalla casa del padre e, ora, è chiamato, nella fede, a distaccarsi da quel figlio nato per l’intervento di Dio e a cui è legata la promessa di una lunga discendenza. Abramo è pronto a sacrificarlo e, nella fede, pur provando angoscia e morte per il gesto che Dio gli chiede, obbedisce.. Ma Dio, se libera Isacco da quella vocazione di morte, rinnova la benedizione ad Abramo che non si è rifiutato ad adempiere alla volontà di Dio: « Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare … Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce ».
Seconda Lettura: Rm 8,31-34.
San Paolo invita i cristiani a non temere nulla, nessun avvenimento e nessun uomo, perché Dio sta dalla nostra parte: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme con lui? ». Dio ci ha dimostrato il suo amore facendoci dono di quanto aveva di più caro: il suo stesso Figlio, che non lo ha risparmiato alla morte ma lo ha donato per noi e, facendolo risorgere, lo ha posto alla sua destra per intercedere per noi. Dio allora non ci condanna, come non ci condanna neanche Gesù che il Padre ha mandato, come dice Gesù a Nicodemo, non per condannare il mondo ma per salvarlo e lo ha posto come nostro intercessore presso di lui.
Vangelo: Mc 9,2-10.
Nella trasfigurazione sul Tabor Dio rivela l’identità del suo Figlio, come era avvenuto al Giordano: Gesù è il suo Figlio amato e inviato agli uomini perché lo ascoltino. Egli è la Parola e in lui trasfigurato abita la presenza del Padre. E’ lui il contenuto e il senso delle Scritture rappresentate da Mosè e la realizzazione delle profezie rappresentate da Elia. Con Gesù l’Antico Testamento riceve il suo pieno compimento. Gli apostoli rimangono atterriti, impauriti ma anche estasiati se, avvertendo la bellezza di quella visione, Pietro dice a Gesù: « Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia ». Ma, quella visione non può continuare, bisogna ritornare alla realtà e discendere dal monte per riprendere il cammino verso Gerusalemme. Quella del Tabor è un momento profetico che preannunzia la risurrezione, evento che si realizzerà dopo i giorni di passione e di morte. Gesù intima « loro di non dir niente ad alcuno di ciò che hanno visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti ».
GESÚ NEL DESERTO, VINCENDO LE TENTAZIONI, SI PREPARA AD ANNUNZIARE IL REGNO DI DIO.
18 FEBBRAIO – 1a DOMENICA DI QUARESIMA (Anno B)
La Quaresima è per la vita della Chiesa « segno sacramentale della nostra conversione », perché in questo periodo e con i riti che in esso si celebriamo veniamo pressantemente invitati dalla Parola di Dio, nel nostro impegno, a rivedere la nostra vita, in tutti suoi momenti, alla luce del Vangelo in tutte le sue esigenze.
Questo tempo di Quaresima, come ci ripete la liturgia è « tempo favorevole per la nostra salvezza »: e benché tutti i tempi sono portatori di grazia e quindi invito ad una continua conversione della vita, in Quaresima le esortazioni a convertire il cuore al Signore e rinnovare l’amore per lui, ad ascoltarlo per confermare la fede in lui, ad obbedirgli rinunciando al male e riprendendo il cammino nelle vie del bene, a rivestirci di lui e a trasformare la vita, diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sulla nostra colpa si fa più prolungata. Inoltre la contemplazione del sacrificio della croce mediante la Via Crucis e l’ascolto più attento della Parola di Dio devono portarci a vivere i giorni della Pasqua di morte e risurrezione del Signore, culmine della storia della salvezza.
Nella preghiera iniziale dell’Eucaristia preghiamo dicendo:« Dio paziente e misericordioso, che rinnovi la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo di grazia sia luce e guida verso la vera conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo…»
Prima Lettura: Gn 9,8-15.
Il Diluvio, nel Vecchio Testamento, che la prima lettura ci narra, rappresenta la distruzione del male e la purificazione che Dio compie per rinnovare l’umanità, stabilendo così con questa una nuova alleanza, di cui ne è simbolo l’arcobaleno apparso tra le nubi: con Noè e la sua famiglia Dio rinnova l’alleanza e la comunione con gli uomini. Questa, come l’alleanza del Sinai rinnovata con il suo popolo Israele, preannunzia l’alleanza nuova e definitivamente suggellata da Cristo nel suo sangue, resa eterna come dice Gesù sul calice del vino durante l’Ultima Cena: è segno definitivo dell’amore di Dio per l’uomo riconciliato dalla colpa per mezzo del sacrificio del suo Figlio. Così Dio e l’uomo sono uniti per sempre. La comunità della Chiesa, posta come segno visibile di questa unione, è stata da Cristo unita a sé con vincolo sponsale.
Seconda Lettura: 1 Pt 3,18-22.
Il brano della lettera di San Pietro pone in evidenza il collegamento tra Noè che viene salvato dal diluvio con l’arca per la magnanimità di Dio e ciò che ha operato Cristo, morto nel corpo una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurre gli uomini a Dio. L’acqua del diluvio e l’arca, immagini del battesimo e della Chiesa, ora per la potenza del Spirito e in virtù della risurrezione di Cristo Gesù, salvano sia le « anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere » a cui Cristo nello spirito portò l’annunzio, sia tutti coloro che invocano da Dio la salvezza da parte di una buona coscienza. Così, invocando con fede la salvezza, gli uomini possiamo essere resi giusti da Dio e i nostri peccati ci vengono rimossi.. Nel mistero della passione e risurrezione di Cristo, che ora è alla destra del Padre ad intercedere per noi, possiamo ottenere perdono, salvezza e la vita eterna.
Vangelo : Mc 1, 12-15 Questo brevissimo brano del Vangelo di Marco, ci presenta Cristo che, sospinto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, vivendo tra le bestie selvatiche e con gli angeli che lo servono, tentato da Satana, riporta su di lui la vittoria e non soccombe alle sue tentazioni, a differenza di quanto era avvenuto nel deserto per Israele, divenuto molte volte infedele a Dio. Ora anche noi, in questi quaranta giorni di Quaresima, siamo invitati a seguire il Signore, nella penitenza, nella preghiera, per essere in grado, come Lui, di vincere ogni forma di tentazione e così essere partecipi della sua vittoria sul Male. Così Gesù, rafforzato dallo Spirito, inizia la sua missione tra gli uomini proclamando il Vangelo di Dio e, poiché « Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino », invita gli uomini a « convertirsi e a credere nel Vangelo », per ricevere la grazia del perdono, che reca all’ uomo la vera gioia per essere assolto e liberato dalle colpe.Ù
IL SIGNORE CI RISANA NELLO SPIRITO E NEL CORPO
11 FEBBRAIO – VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO (B)
Nell’assemblea, che si raduna per celebrare ogni Domenica la Pasqua del Signore, è presente Dio che, per mezzo del suo Spirito, ci dona nel pane e nel vino il Corpo e Sangue di Cristo Gesù, suo Figlio. L’amore del Padre e la nostra risposta di figli a questo amore ci rende commensali a questo banchetto a cui siamo invitati e non estranei. Anche ognuno di noi è tempio dello Spirito dove Dio dimora, se con « cuore retto e sincero » custodiamo la Parola di Dio e viviamo nella fedeltà alla sua volontà. Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia chiediamo al Padre celeste:« Risanaci dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’ opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia ».
La carità, che è « pienezza della legge », e l’accoglienza di Cristo presente nei fratelli sofferenti, poveri, oppressi sono il segno visibile che l’amore di Dio abita in noi. Vivendo la misericordia, come compartecipazione alle sofferenze dei fratelli, diventiamo il segno dell’umanità rinnovata dall’ amore
Nella preghiera iniziale di questa Eucaristia diciamo; « Padre, che nel tuo Figlio annulli ogni separazione e distanza, aiutaci a scorgere nel volto di chi soffre l’immagine stessa di Cristo, per testimoniare ai fratelli la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo... ».
Prima Lettura: Lv 33,1-2.45-46.
Chi era colpito nel corpo dalla lebbra, nella mentalità del Vecchio Testamento, doveva vivere segregato dalla comunità, portare vesti strappate e capo coperto, velato nel volto e, per evitare di contagiare altri, doveva gridare “ Impuro! Impuro!” . E tale doveva essere considerato e doveva starsene isolato finché durava il suo stato di malattia. Con la venuta di Cristo la guarigione dalla lebbra sarà uno dei miracoli che egli compirà a favore di chi ne era affetto. Chi ne veniva guarito doveva presentarsi al sacerdote per essere riammesso nella comunità dei fratelli.
Come la lebbra, nella sua materialità, rende il corpo di chi ne è colpito insensibile, specie negli arti, al caldo e al freddo, agli stimoli , così spiritualmente possiamo dire che il peccato rende insensibile lo spirito dell'uomo alle realtà spirituali. Gesù è venuto per rendere l’uomo, affetto dalla lebbra del peccato, per cui vive come segregato nel suo mondo di male, libero dalle insensibilità alle realtà divine e alle necessità dei fratelli, riportandolo nell’ ambito della comunità di fede.
Seconda Lettura: 1 Cor 10.31-11.1.
San Paolo, scrivendo ai Corinzi, raccomanda di fare tutto, sia che mangiano sia che bevano, per la gloria di Dio, perché « se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore (Rm 17,8) ». Vivendo bene tutta la nostra vita, anche il mangiare e il bere, come anche adempiendo alla opere buone, per cui gli uomini vedendole possano rendere gloria a Dio, Paolo interpreta così, in qualche modo, il detto di Gesù del Vangelo di Matteo ( Mt 5,16). Davanti a Dio quello che conta è lo spirito e il motivo per cui si agisce: tutte le nostre giornate e l’intera vita deve essere vissuta per la gloria di Dio.
Raccomanda ancora a non essere motivo di scandalo per nessuno, né per giudei o greci, né per la Chiesa di Dio, così da non essere di inciampo per i fratelli, siano essi credenti o non credenti.
Infine li esorta affinché ognuno non cerchi egoisticamente il proprio interesse ma quello di tutti, col prodigarsi per la salvezza di tutti. Certamente, per Paolo, questi tre aspetti della testimonianza dei credenti, molti impegnativi da raggiungere, sono possibili con la grazia di Cristo e avendolo come modello, come lo è lui imitatore del Signore.
Vangelo: Mc 1,40-43.
Davanti alla accorata supplica del lebbroso e la sua fede nella potenza del Signore, Gesù lo tocca e gli dice: « Lo voglio, sii purificato ». Gli intima, però, di non dire niente a nessuno, a mostrarsi al sacerdote e a fare l’offerta per la purificazione, come era prescritto dalla legge di Mosè. Il gesto di guarigione del lebbroso, secondo la profezia messianica di Isaia, è uno di quelli che rendevano presente il Regno di Dio tra gli uomini. Ma se la guarigione del lebbroso nel corpo era segno materiale di questa presenza del Messia, Gesù proibisce di divulgarlo, perché la vera liberazione “ dalla lebbra del peccato ”, non era ancora stata attuata, poiché solo con la sua morte e risurrezione l’uomo sarebbe stato totalmente rinnovato. Le guarigioni che Gesù compie nei corpi di coloro che si rivolgono a lui, come anche di coloro che lo cercano « venendo a lui da ogni parte », sono tutte segni e anticipazioni della guarigione spirituale e totale che il Cristo avrebbe compiuto per l’intera umanità.
GIORNO 14 FEBBRAIO, MERCOLEDI’ DELLE CENERI, INIZIA LA QUARESIMA,
LA CELEBRAZIONE DELL’IMPOSIZIONE DELLE CENERI INIZIERA’ ALLE ORE 18.30.
N.B. MERCOLEDI’ delle CENERI, è GIORNO DI DIGIUNO
(per coloro che hanno dai 18 ai 60 compiuti, non ne
sono moralmente obbligati chi avesse problemi di salute ) E
ASTINENZA DALLE CARNI (vale per coloro che hanno dai 14 anni in poi, ma anche i bambini possono abituarsi a compiere questi gesti di vita cristiana quaresimale).
« IL SIGNORE RISANA I CUORI AFFRANTI »
4 FEBBRAIO – V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO.(Anno B)
« IL SIGNORE RISANA I CUORI AFFRANTI »
«««L’esperienza di Giobbe, che la prima lettura della Parola di Dio oggi ci fa contemplare, è la stessa di quella che ognuno di noi fa ogni giorno: esperienza fuggevole, fatta di duro lavoro, come quella di uno schiavo che sospira l’ombra e del mercenario che aspetta il salario, con giorni pieni di illusioni e notti insonni, che scorrono più veloci di una spola e svaniscono senza speranza. In questo scenario velato di “duro pessimismo ”, la preghiera iniziale della Liturgia eucaristica di oggi ci fa chiedere a Dio: « O Padre, che con amorevole cura ti accosti all’umanità sofferente e alla Pasqua del suo Figlio, insegnaci a condividere con i fratelli il mistero del dolore per essere con loro partecipi della speranza del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ».
Prima Lettura: Gb 7,1.4-6.
La vita dell’uomo è piena di tribolazioni e dolori, di fatica e di illusioni, senza speranza di un futuro. E’ come un soffio i cui anni passano veloci. Questa esperienza che tutti facciamo non ci deve scoraggiare né rattristarci, ma deve farci riflettere e renderci prudenti. Nella nostra fede cristiana siamo sorretti dalla speranza: quella della vita eterna che possiamo conseguire, dopo la morte, con Gesù, andato a prepararci un “ posto”, come ha detto ai discepoli, con la vita trasformata, nella comunione con il Padre. Se accogliamo il messaggio evangelico e l’esperienza del Cristo risorto, egli che ci ha infuso lo Spirito Santo, soffio di vita immortale, darà anche a noi di risorgere ed essere partecipi della sua immortalità.
Seconda Lettura: 1 Cor 9,16-19.22-23.
Paolo scrive ai Corinzi dicendo che il Vangelo che egli annunzia, dopo la sua conversione a Cristo Salvatore, è lo scopo di tutta la sua vita. Non è un vanto, ma una necessità. Un incarico che ha ricevuto e che deve svolgere nella fedeltà e gratuitamente. E’ di iniziativa divina quest’incarico affidatogli, non lo svolge di sua iniziativa e, perciò, non vuole usare del diritto che il Vangelo gli conferisce, cioè di essere sostentato dalla comunità.
Lavorando con le proprie mani non vuole essere di peso ad alcuno, ma che anzi essere al servizio di tutti « e pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io ».
Anche per noi vale l’esperienza di Paolo: annunciare il Vangelo e evangelizzare i fratelli proclamando la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita, con le parole e le opere, senza far prediche, ma con modestia e semplicità. Rendersi, inoltre, premurosi verso gli altri con semplicità, sincerità e discrezione.
Vangelo: Mc1,29-39.
All’ uomo, che fa l’esperienza del dolore, della sofferenza, della limitatezza, della caducità e finitezza della vita, il Vangelo di questa Domenica dice che Gesù porta conforto guarendo la suocera di Pietro, gli ammalati che gli portano dinnanzi e scacciando i demoni. Allora tutti cercano Gesù, come gli riferiscono gli apostoli dopo averlo trovato, mentre è ancora buio e sta pregando. Ma Gesù dice loro che non può fermarsi solo lì, è venuto perché predichi per tutta la Galilea e porti il Vangelo della salvezza a tutti. La vita pubblica di Gesù è protesa a beneficare questa umanità, afflitta da tante situazioni che fanno rinchiudere l’uomo in se stesso e in un orizzonte solamente terreno. Così egli compie miracoli, scaccia demoni, annunzia il Vangelo, prega. Con lui l’opera del Messia promesso e atteso, che avrebbe restaurato il Regno di Dio tra gli uomini, ridona speranza all’uomo e la grazia e l’amore di Dio irrompono in questo mondo che viene salvato dal peccato. Il cristiano è colui che prende parte e continua quest’opera del Cristo, nell’ascolto della Parola, nel lasciarsi liberare da lui nell’intimo del cuore, nell’operare a favore dei fratelli ridando loro la speranza che Gesù ha riacceso su questa terra per tutti.
Nel credente si ripetono anche i miracoli di Gesù nella misura in cui egli è santificato dalla presenza del Signore. La risurrezione futura dei corpi, di cui Gesù risorto costituisce la primizia, che preannunzia quella di coloro che credono in lui, trova il suo germe nella grazia che ce la anticipa. La preghiera, poi, per il credente, come è stato per Gesù, diventa contatto, nello spirito, con Colui nel quale gli uomini vivono, si muovono ed esistono, perché di lui noi siamo stirpe (cfr, At 18,28).
LE RICCHEZZE DELLA PAROLA DI DIO.
28 GENNAIO – IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.(B)
Nella preghiera iniziale di questa Domenica chiediamo al Padre:« che ci hai inviato il tuo a insegnare con autorità la tua via e a liberarci dalla potenza del male, fa’ che sperimentiamo l’intima gioia di affidarci unicamente a te, per testimoniare con la vita la nostra fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo… ». Aderire, allora, con fede salda a Dio e a Cristo significa essere fedeli a Dio, affidarsi completamente a lui nell’intimo del nostro cuore e con tutta l’anima e testimoniare questa fedeltà non solo con le parole ma soprattutto con le opere. Tutto questo è possibile se siamo illuminati dalla sua Parola e rafforzati con la sua grazia, che nell’Eucaristia ci viene data accostandoci alla mensa del Corpo e del Sangue e di Cristo. A questa mensa troviamo tutto il suo amore, perché si è donato a noi, e da essa abbiamo la forza di testimoniare questa fede.
Prima Lettura: Dt 18,15-20.
Per bocca di Mosè, Dio promette di inviare un profeta che possa essere il suo portavoce fedele presso il popolo, così che questi non oda la voce di Dio e non veda il suo fuoco, da cui era stato spaventato e atterrito . Compito del profeta deve essere quello di riferire esattamente al popolo quella che è la volontà del Signore, ciò che il Signore gli comanda di dire.
La voce del profeta come quella di Dio è efficace e creatrice e la sua realizzazione è espressione e criterio della autenticità della missione del profeta. Egli supera le coordinate politiche-religiose e dipende da Dio che lo ha suscitato. Del rifiuto del profeta e della sua parola che non viene ascoltata da coloro a cui è inviato ne viene chiesto loro conto, mentre il presunto profeta che dicesse cose che Dio non ha comandato di dire, sarà messo a morte.
Cristo Gesù, la Parola del Padre, fattasi carne , sarebbe stato l’unico Mediatore autentico e perfetto, poiché divenuto uno di noi e nostro fratello, ci avrebbe portato la salvezza, cioè la liberazione dal male del peccato e ristabilito la comunione con Dio, che nel suo Figlio ci ha riconciliato a sé, attraendoci al suo amore.
Cristo Gesù, poiché per gli uomini le cose che Egli diceva e faceva non potevano essere, nella loro convinzione, state comandate da Dio, venne messo a morte. Coloro che sono posti nella Chiesa nel nome di Dio nella missione di predicare il Vangelo più che sostituirsi a Gesù, devono rivelare al mondo e agli uomini la vicinanza di Dio Padre agli uomini, per comprendere attraverso i legami di bontà, di amore e misericordia come corrispondere a Lui che li attira a sé. Gesù è venuto a rivelarci questo volto profondamente umano del Padre con i gesti, le parole e il suo insegnamento, senza manifestazioni terrificanti della potenza di Dio, come avveniva nel Vecchio Testamento.
Seconda Lettura: 1 Cor 7,32-35.
Paolo, scrivendo ai Corinzi, non intende disprezzare il matrimonio, ma per vivere questa realtà, tipicamente umana, darà come modello, per la sua realizzazione, l’unione di Cristo con la Chiesa, per la quale egli ha dato la sua vita per renderla santa e immacolata al suo cospetto nell’amore. In questo brano l’apostolo vuol mettere in risalto la verginità, come atteggiamento libero di consacrazione al Signore, come piena e totale donazione per il regno dei cieli e dei fratelli.
Matrimonio e Verginità sono mezzi idonei , a livelli diversi, per camminare nella santità, ognuno nel proprio stato di vita verso la vita celeste. Mentre chi è sposato, continua Paolo, si preoccupa delle cose del mondo e come possa piacere alla moglie e questa al marito, così colui o colei che non sposa o chi sceglie la verginità, può preoccuparsi delle cose del Signore e come possa piacergli. In entrambi i casi Paolo vuole esortare tutti a vivere e comportarsi degnamente e restare fedeli al Signore, senza deviazioni. Anche la verginità è, dunque, un grande dono di Dio alla Chiesa, perché rende chi la sceglie libera/o nel cuore, disponibile ad amare tutti al di là dei legami familiari naturali e coniugali . La verginità deve essere vissuta unitamente alla carità e può concorre nella Chiesa a santificarla, così come il matrimonio, vissuto nella realtà sacramentale e nel rispetto della della dignità dei suoi membri, concorre alla santificazione della Chiesa.
Vangelo: Mc 1,21 -28.
Cristo Gesù, la santità personificata, come riconoscono le folle, insegna con novità e autorità e non come gli scribi e inoltre, di sabato, guarisce uno che nella sinagoga era posseduto da uno spirito impuro che, riconoscendo Gesù, grida: « Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio !». All’ intimazione di Gesù lo spirito impuro uscì da quell’ uomo gridando forte. Gesù che , venuto per ripristinare nel mondo la signoria di Dio, nel deserto ha vinto Satana e lo ha spodestato dal suo dominio sull’ uomo, continua, come ci dice il brano evangelico di oggi, a liberare tutti coloro che sono sotto il suo dominio. Satana reagisce a questa opera , ma il Cristo non lo teme, perché è venuto proprio per vincerlo al posto nostro e per insegnarci a respingerlo a nostra volta quando ci tenta.
Quando assecondiamo le sue tentazioni e pecchiamo, facciamo spazio a Satana, ma possiamo rialzarci, consapevoli che Gesù lo ha definitivamente sconfitto nell’ ora della sua passione, morte e risurrezione. Uniti a Cristo abbiamo la sua stessa forza per vincere lo Spirito del Male. Se siamo distaccati da Cristo, nella nostra fragilità, possiamo ricadere di nuovo nel peccato.