SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO: « CHIAMATI A PARTECIPARE ALLA SORTE DEI SANTI NELLA LUCE.
20 NOVEMBRE – SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO
« SIAMO CHIAMATI A PARTECIPARE ALLA SORTE DEI SANTI NELLA LUCE »
In questa ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa celebra la solennità di Cristo, Re dell’universo, la cui regalità si costruisce giorno per giorno con la grazia e l’impegno di testimoniarlo con la fede e la carità operosa verso Dio e i fratelli. La regalità del Signore Gesù non si fonda come le potenze di questo mondo con la violenza o le armi, ma con il suo sacrificio sulla croce, perché egli «Sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della croce è diventato Signore » e con la sua resurrezione ha realizzato il progetto salvifico del Padre a favore dell’umanità intera.
Questo regno, fondato sulla riconciliazione dell’umanità operata da Cristo con il Padre, nelle vicende tristi e dolorose, che la storia spesso ci fa sperimentare e agli occhi di tanti, sembra che neppure sia presente nel mondo. In realtà è presente e vi fanno parte quelli che si uniscono alla passione di Cristo e, vivendo nella giustizia e nella carità, sono disposti a donare la propria vita come il Cristo e a porsi al servizio dell’uomo nelle sua necessità spirituali e materiali, secondo il suo stile ed esempio.
Nella Colletta di questa solennità preghiamo dicendo: « O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre perché seguendo le orme del tuo Figlio, possiamo condividere la sua gloria nel paradiso ».
2 Sam 5,1-3.
Il brano di Samuele ci ricorda quello che fecero le tribù d’Israele alla morte di Saul, loro primo re. Si recarono in Ebron, dove regnava Davide e, riconoscendosi « ossa delle sue ossa e carne della sua carne », e, inoltre, che aveva guidato Israele durante il regno di Saul e ciò che gli aveva detto il Signore: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele” , conclusero con lui un’alleanza davanti al Signore e lo unsero re di Israele. La regalità di Davide, pur essendo voluta da Dio, non sarà priva di infedeltà e di numerose ambiguità. Ma un suo discendente, Gesù, il Messia, sarà un re fedele e un pastore perfetto, che guiderà il nuovo Israele e realizzerà, dopo Davide, « suo padre», una regalità secondo il volere di Dio e che non avrà fine.
Col 1,12-20.
Paolo, dopo aver esortato i Colossési a ringraziare Dio che li ha resi partecipi della sorte dei santi nella luce, ricorda come Dio, li ha liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del suo Figlio, per mezzo del quale gli uomini hanno la redenzione e il perdono dei peccati. Ricorda inoltre che Gesù è immagine del Dio invisibile, il primogenito della creazione, perché tutte le cose, celesti e terrestri, visibili e invisibili: « Troni, Dominazioni, Principati e Potenze sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono ». Ancora. Ricordando che Gesù è capo della Chiesa, suo corpo, che « è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti» perché è lui che ha il primato di tutte le cose, dice che « è piaciuto a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose » avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose della terra sia quelle dei cieli.
Paolo professa che Dio, per mezzo e in vista del Figlio, generato non creato e che si è fatto carne, ha creato tutti gli esseri e lo ha posto come modello e primogenito di coloro che risorgono dai morti. Ha dato al Figlio la signoria su tutto il creato avendolo riconciliato con il sangue della sua croce: così tutto, uomini e cose, converge nel Cristo e tutto è riconciliato con il Padre. Pur non comprendendo pienamente questo mistero di redenzione e riconciliazione, tutte le cose sono state liberate dal male ed entrano a far parte del regno di Dio, non per un diritto o potere che esse hanno, ma perché riscattate nella morte di Cristo.
Vangelo: Lc 23,35-43.
La scena della crocifissione del Cristo, descritta da Luca, ci rappresenta una varietà di personaggi che sono in rapporto con Signore crocifisso. Il popolo, che in diverse occasioni era stato spettatore entusiasta delle opere benefiche e dei discorsi di Gesù, e che, davanti alla richiesta di Ponzio Pilato, se liberarlo o meno, aveva gridato: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! », dice l’Evangelista: « Sta a guardare ». I capi del popolo, che erano stati capaci di farlo condannare, lo deridono dicendo: « Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto ». Pure i soldati lo deridono e, accostandogli la canna inzuppata d’aceto, affermano, anche se inconsapevolmente: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso«. Ancora. La scritta sulla croce dice: «Costui è il re dei Giudei ». E dei due malfattori, crocifissi con lui, uno lo insulta dicendogli: « Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi! »; l’altro, invece, rimproverandolo perché, condannato alla stessa pena, non ha nessun timore di Dio e ritenendo Gesù innocente per non aver fatto nulla di male, dice a Gesù: « Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». E Gesù gli risponde:« In verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso ». Sulla croce la regalità di Cristo sembra quella di un uomo sconfitto, senza potere né gloria. Non un vincitore ma un vinto, oggetto di scherno, di uno che ha la pretesa di essere re, ma che viene considerato re per burla. Solo il buon ladrone, condannato come Gesù, sa scoprire in lui la regalità di in re innocente, di uno che non ha fatto nulla di male e a cui si affida e raccomanda, perché lo riceva nel suo regno. A questa confidenza Gesù risponde assicurandogli che, in quel giorno stesso della loro morte, lo accoglierà nel suo regno, nel paradiso. Anche noi peccatori, se riconosciamo in « Colui che hanno trafitto » e che attira a sé, il Cristo, il Salvatore e il Re dell’universo e ci affidiamo a lui con assoluta fiducia, potremo sperare di essere un giorno nel suo regno. Anche le colpe, le più gravi, non devono far disperare nessun uomo, perché siamo stati acquistati dal suo amore a prezzo del suo sangue, sparso per la nostra salvezza: dobbiamo solo avere una fede forte e assoluta.
io vi darò parola e sapienza.
13 NOVEMBRE – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
Partecipando all’Eucaristia, in cui offriamo il Corpo e Sangue di Cristo, chiediamo a Dio la grazia di servirlo fedelmente con impegno costante. Alla fine della nostra vita potremo allora sentire le parole che, nella parabola del servo fedele del Vangelo, il padrone dice al servo : « Vieni servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore ». Dall’Eucaristia, nelle vicende della vita, siano esse liete o tristi, riceviamo la forza di essere operosi nella carità, pazienti nelle avversità, perché attraverso esse ci prepariamo il « frutto di un’eternità beata ».
Così ravviviamo nell’incontro con il Signore la speranza di conseguire la vita eterna.
Nella preghiera della colletta ci rivolgiamo al Signore dicendo:« O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, donaci di tenere salda la speranza del tuo regno, perché perseverando nella fede possiamo gustare la pienezza della vita ».
Prima Lettura: Ml 3,19-20.
Nella visione profetica di Malachia viene preannunziato e paragonato il «giorno rovente » della fine come un forno. Coloro che sono superbi e coloro che commettono ingiustizia, essendo come paglia, bruceranno e non la-sceranno « né radice né germoglio ». Per coloro che invece hanno timore del nome del Signore « sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia ». Nel giorno della venuta del Signore, che viene a giudicare, gli ingiusti, come paglia, nella loro inutilità, riceveranno il castigo degli ingiusti, mentre per i giusti e i santi, che hanno amato e venerato il nome del Signore, sarà giorno di gioia e di vita eterna in lui.
Seconda Lettura: 2 Ts 3,7-12.
Scrivendo ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo, che in mezzo a loro non è stato ozioso, né ha mangiato gratuitamente il loro pane, ma ha lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso, pur avendone il diritto di essere sostenuto per il suo ministero, li esorta a guardare a lui come modello di comportamento da imitare. Avendo sentito che alcuni tra loro vivevano in maniera disordinata, senza far nulla e in continua agitazione, ricorda che, mentre era tra loro, aveva dato come regola: « chi non vuol lavorare, neppure mangi » e, esortando costoro nel Signore Gesù, ordina loro di vivere in tranquillità per guadagnarsi il pane. Poiché alcuni tessalonicesi, pensando che la venuta del Signore fosse imminente, si erano dati a vivere da sfaccendati e alle spalle degli altri, Paolo li esorta a non agitarsi inutilmente e a lavorare: infatti l’attesa cristiana della venuta del Signore non è pigrizia e dissipazione, ma impegno ad attivarsi e ad assolvere ai propri doveri serenamente.
Vangelo: Lc 21,5-19.Gesù, prendendo lo spunto dai discorsi che sentiva fare sul tempio, ornato di belle e preziose pietre e dei doni, a coloro che lo ascoltano, profetizzando, dice: « Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta ». Poiché gli chiedono riguardo al tempo e al segno in cui questo avverrà, Gesù raccomanda di non lasciarsi ingannare, perché molti, nel suo nome, diranno: « Il tempo è vicino» e di non andare dietro a loro. Esorta, inoltre, a non terrorizzarsi quando si sentirà parlare di guerre e rivoluzioni, che dovranno avvenire, perché non sarà subito la fine. Ricordando ancora altri eventi, come il sollevarsi di nazione contro nazione, di regno contro regno, di terremoti, carestie, pestilenze, fatti terrificanti e segni grandiosi nel cielo, Gesù dice: « Prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alla prigioni, trascinandovi davanti ai re e ai governatori, a causa del suo nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere ». E, preannunziando che saranno traditi persino dai genitori, fratelli, parenti, amici, che alcuni di loro saranno uccisi e saranno anche odiati da tutti a causa del suo nome, li rassicura promettendo che nessun capello del loro capo andrà perduto. Con la loro perseveranza avrebbero salvato la loro vita. La vita dei discepoli, dunque, nel testimoniare la fede e l’amore per il loro Signore, non sarà facile per tutto quello che Gesù preannunzia. Ma essi, fortificati con l’assistenza, la forza e la presenza dello Spirito del Signore nella loro vita, potranno perseverare ed essere così salvi, in mezzo agli eventi, anche disastrosi, di cui sarà intessuta la storia del mondo e degli uomini. La distruzione di Gerusalemme che avverrà ad opera dell’imperatore romano Tito nel 70 d. C. prima e in seguito da Adriano, prefigurerebbe lo sfacelo e gli sconvolgimenti che sarebbero accaduti nel mondo.
GUARDARE ALLA RISURREZIONE: UNA SPERANZA CHIARA E LUMINOSA.
6 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
OGGI RICORRE LA 72a GIORNATA DEL RINGRAZIAMENTO.
La celebrazione della passione gloriosa del Signore, Figlio di Dio, non è un avvenimento del passato, ma è reso presente dall’azione dello Spirito e noi, partecipandovi con fede, ne veniamo coinvolti. Assumendo con impegno il Corpo e Sangue di Cristo, che si è offerto per la nostra salvezza, noi impariamo a donarci per la salvezza dell’umanità. Alla passione del Signore è seguita la sua gloriosa risurrezione per cui, con l’Eucaristia che celebriamo, viene alimentata in noi la speranza della gloria futura. Ma dobbiamo vivere nella vigilanza tale attesa, così da essere trovati, alla venuta del Signore, pronti per entrare, come le vergini prudenti, con lui nel banchetto celeste.
Nella preghiera iniziale diciamo: « O Dio dei viventi, che fai risorgere coloro che si addormentano in te, concedi che la parola della nuova alleanza, seminata nei nostri cuori, germogli e porti frutti di opere buone per la vita eterna ».
Prima Lettura: 2 Mac 7,1-2.9-14.
Ci viene presentata la testimonianza eroica dei sette fratelli Maccabei che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di nerbate, a rinnegare la loro fede e a trasgredire, mangiando carni suine, la Legge. Uno di essi, interpretando tutti, disse che sarebbero stati pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri. Il secondo, che stava per essere torturato, rivoltosi ai carnefici disse: « Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna ». Morto questo, fu torturato il terzo che mise fuori la lingua e, stendendo le mani con coraggio, disse: « Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggile disprezzo, perché spero di riaverle di nuovo ». Il re e i suoi dignitari furono colpiti dalla fierezza del giovane, perché non temeva le torture. Morto questo, iniziarono a torturare il quarto che, ridotto in fin di vita, diceva: « E preferibile morire per mano di uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita ». La fede nella resurrezione sostiene la testimonianza dei sette fratelli disposi a morire pur di rimanere fedeli alle leggi di Dio. Così essi dimostrarono che la vita, con tutti i travagli e dolori, come anche con il martirio, conta poco quando c’è la certezza che in Dio c’è la speranza di essere di nuovo da lui risuscitati. Cristo, che muore in croce e risorge, è il testimone migliore di questa speranza della risurrezione, che ha sorretto i martiri, affidandosi senza paura a Cristo risorto. Tutta quanta la Chiesa deve vivere con questa sicurezza che la risurrezione, anche davanti alle persecuzioni, fa vincere il timore della morte.
Seconda Lettura: 2 Ts 2,16.3,5.
L’apostolo Paolo augura ai Tessalonicesi che il Signore Gesù e Dio, Padre di tutti, che li ama, dia loro una consolazione eterna e una speranza viva, li conforti nei loro cuori e li confermi in ogni opera e parole di bene. Chiede loro di pregare affinché la parola del Signore sia glorificata, come lo è stato tra loro, così che si venga liberati dagli uomini corrotti e malvagi. E poiché il Signore è fedele li confermerà e li custodirà dal Maligno. Esprime, nei loro confronti, la fiducia che essi già facciano quello che egli ha ordinato loro e che continuino a farlo. Augura, ancora, che il Signore guidi i loro cuori nell’amore di Dio e nella pazienza di Cristo.
Il cristiano, in mezzo alle difficoltà, alle tribolazioni quotidiane o anche difronte al martirio, non deve abbattersi, perché l’amore di Dio, che ci accompagna nei nostri giorni, ci conforta, ci rafforza nella speranza. E il Signore non tradisce le attese dei suoi figli e non viene meno alla sua parola. Domandiamoci se crediamo veramente a questa fedeltà. Neanche la malvagità degli uomini potrà abbatterci o sopraffarci se, come a Paolo, sopraffatto da tribolazioni di ogni genere, anche noi ci dice il Signore: « Ti basta la mia grazia ». Nell’impegno a testimoniare la fede le difficoltà non potranno scoraggiare il credente che confida nell’aiuto e nella forza che lo Spirito di Dio dà, secondo quanto, nel Vangelo, assicura Gesù ai suoi apostoli.
Vangelo: Lc 20,27-38.
I sadducei, che non credono nella resurrezione, partendo da quanto Mosè aveva prescritto a proposito della legge del levirato: « “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello la prenda in moglie e dia una discendenza al proprio fratello” », chiedono a Gesù il suo parere.
Poiché vi erano sette fratelli ed essendo il primo di essi, dopo aver preso moglie, morto senza aver avuto figli e anche il secondo, che l’ha preso in moglie, è morto senza figli, come il terzo e così tutti e sette, ed in ultimo è morta anche la donna, questa, nella risurrezione, di chi sarà moglie, avendola avuta tutti e sette come moglie?
Gesù risponde loro dicendo che, se i figli di questo mondo prendono moglie e marito: « Coloro che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: essi infatti non possono morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono in lui ». Nella risurrezione e nella eternità di Dio, la nostra vita sarà completamente nuova rispetto a questa terrena. Questa sarà trasformata non distrutta e i rapporti tra uomo e donna non saranno vissuti più in funzione delle esigenze terrene della specie: apparterremo sempre a Dio. Ma fin da quaggiù i figli della risurrezione, quelli che credono, sono aperti al mondo nuovo. Anticipando nell’attesa la vita eterna del cielo essi sono associati fin da ora alla vita degli angeli. Lo sposarsi, allora, non è più considerato come il più grande bene, che non deve essere assolutizzato: chi sceglie di testimoniare la vita del Regno futuro vi rinunzia. Il cristiano realizza, quindi, uno stile di vita che è al di fuori del paradigma di questo mondo: anticipa quello futuro dell’eternità.
ZACCHEO VOLEVA VEDERE GESÙ.
30 OTTOBRE– XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
LA MISERICORDIA DEL SIGNORE RINNOVA LA NOSTRA VITA.
L’Eucaristia che celebriamo ci nutre, durante il cammino terreno, del Corpo e Sangue del Signore ed essi sono pegno dei beni promessi da Dio, che conseguiremo nella Gerusalemme celeste. Ma mentre siamo in pellegrinaggio, nutriti di Cristo, dobbiamo diventare discepoli del Signore, che si è fatto uomo per nostro amore. Ascoltando la sua parola e aderendo, come lui, alla volontà del Padre, attuiamo con tutto il nostro essere, cuore, sensi e mente il Vangelo, vivendo con uno stile di vita che ci fa condividere con il prossimo tutti beni, spirituali e materiali. Solo così potremo sperare di conseguire i beni spirituali.
Nella colletta iniziale preghiamo il Signore dicendo:« O Dio, amante della vita, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, donaci di accoglierti con gioia nella nostra casa e aiutaci a condividere con i fratelli i beni della terra ».
Prima Lettura: Sap 11,22-12,2.
Il brano della Sapienza ci ricorda che Dio ama tutte le cose che ha creato e continua a farle sussistere e di esse non prova disgusto. Davanti a lui il mondo è come un po’ di pulviscolo sulla bilancia o una stilla di rugiada mattutina.
Potendo tutto, ha compassione di tutti e perdona i peccati degli uomini aspettando che si pentano. Tutto sussiste, perché egli l’ha voluto, e se avesse odiato qualcosa non l’avrebbe neppure creata né chiamata all’esistenza. Poiché tutto è suo, ed egli è amante della vita, è indulgente verso tutte le cose avendo posto in esse il suo spirito incorruttibile. Egli, nella sua bontà, corregge a poco alla volta quelli che sbagliano e ammonisce quelli che hanno peccato, perché, allontanandosi dalla loro malizia, credano in lui. Dio esercita la sua potenza verso le sue creature attraverso la compassione e verso l’uomo esercita il suo perdono e la sua misericordia. Usa grande pazienza e aspetta che il peccatore si penta e creda. Il perdono e la misericordia del Signore sono quindi già presente nelle Scritture dell’Antico Testamento.
Seconda Lettura: 2 Ts 1,11-2,2.
Paolo scrive ai Tessalonicesi dicendo che egli prega Dio perché li renda degni della sua chiamata e, « con la sua potenza porti a compimento i loro propositi di bene e l’opera dello loro fede, perché sia glorificato il nome del Signore » in loro, secondo la grazia di Dio e di Cristo Signore. Li prega quindi a non lasciarsi facilmente confondere la mente, a non lasciarsi allarmare da ispirazioni, discorsi o lettere, fatte credere come sue, riguardo al giorno della venuta del Signore nella gloria, quasi che esso è già presente o imminente.
Perché la chiamata alla salvezza, operata dal Signore, sia portata a compimento esige soprattutto la continua grazia del Signore e l’impegno della nostra volontà, che facilmente si affievolisce e si deprime, in modo che la salvezza venga fatta maturare nella testimonianza delle opere. Per questo l’apostolo, con la sua preghiera, accompagna la vita della comunità tessalonicese, così che ognuno possa essere sempre preparato, in qualunque tempo avverrà il giorno della manifestazione gloriosa del Signore, senza agitarsi pensando che sia imminente come qualcuno pensava. La venuta del Signore può verificarsi ogni momento, per ognuno di noi, ma per quella nella gloria nessuno può farne calcoli: solo è necessario essere trovati pronti.
Vangelo: Lc 19,1-10.
Il brano del Vangelo ci narra l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo mentre attraversa la città di Gerico. Poiché è attorniato da tanta gente e Zaccheo, capo dei pubblicani, piccolo di statura, per la curiosità di vederlo passare e conoscerlo, si arrampica su un sicomoro, Gesù, giunto sotto l’albero, alzando gli occhi, gli dice: « Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua ». Così egli scende subito e, pieno di gioia, accoglie Gesù, mentre tutti attorno mormorano perché è entrato nella casa di un peccatore. Zaccheo allora, dopo aver ascoltato il Signore, che lo ha onorato con la sua presenza, gli dice: « Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto ». Gesù, rivolgendosi a lui, dice: « Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo », perché ha accolto « il Figlio dell’uomo che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto ».
Gesù esaudisce il desiderio di Zaccheo di vederlo e per questo lo chiama perché lo ospiti in casa. Egli, che è ritenuto poco raccomandabile per il suo comportamento e la sua vita, solennemente, davanti al Signore e agli astanti invitati, si impegna a cambiare la sua vita riparando al male compiuto. Gesù, come gli ha cambiato il cuore, lo cambia anche a tutti coloro che lo accolgono volentieri e si lasciano cambiare il cuore, convertendosi all’amore di Dio e degli uomini. In Zaccheo, che accoglie la salvezza, si realizza la missione di Gesù, che è venuto a chiamare i peccatori a penitenza e a conversione, a salvare chi è perduto, offrendogli il perdono del Padre.
Il perdono inonda il cuore di Zaccheo, come quello di coloro che, riconoscendo i propri peccati, accolgono la salvezza e fanno spazio nel proprio cuore a Dio e al suo amore, cambiando radicalmente la loro esistenza: essere perdonati e sentire l’amicizia di Gesù significa essere in comunione col Padre celeste che lo ha mandato a salvare questa umanità.
«CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO»
23 OTTOBRE – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO.
«CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO»
OGGI SI CELEBRA LA 95a GIORNATA MISSIONARIA.
La fede che noi celebriamo nell’Eucaristia ci avvicina al banchetto eucaristico e in esso noi ci cibiamo del Corpo e del Sangue del Signore. Questa fede si fonda sulle parole dette da Gesù, nell’Ultima Cena, sul pane e sul vino, dandoli a noi come segno della sua presenza: « Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi » e « Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me ». Nell’Eucaristia vi è il sacrificio che Gesù ha offerto come « sacerdote giusto e compassionevole » e « la tenerezza del Padre celeste, che ci invita al banchetto del Figlio, preparato per noi ». Per opera dello Spirito Santo, riceviamo la grazia che alimenta in noi la vita divina, rendendoci capaci di amare alla maniera di Cristo e di confidare nella misericordia del Padre. Tutto questo lo possiamo vivere nella fede che, se mancasse, renderebbe il nostro incontro eucaristico domenicale senza efficacia, frutto della nostra iniziativa gratificante solo psicologicamente, senza ricevere il dono che Dio ci fa donandoci il suo Figlio.
Nella preghiera iniziale della Colletta ci rivolgiamo al Padre celeste dicendo: « O Dio, che da sempre ascolti la preghiera dell'umile, guarda a noi come al pubblicano pentito, e fa che ci apriamo con fiducia alla tua misericordia, che da peccatori ci rende giusti».
Prima Lettura: Sir 35,15-17.20.22.
L’autore del Siracide ci dice in questo brano che il Signore, giudice giusto, non fa preferenza di persone, non è parziale a danno del povero, ascolta la preghiera dell’oppresso, non trascura l’orfano né la vedova. La preghiera della vedova, del povero arriva fino alle nubi e non si quieta finché non sia arrivata a Dio, non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e non abbia dato soddisfazione ai giusti e stabilito l’equità. Dio non rigetta la preghiera dell’umile, non fa preferenze e parzialità. Come il Signore è giusto, così lo devono essere gli uomini nell’intimità del loro cuore. La facile o frequente discriminazione degli altri, di cui noi siamo facilmente affetti per pregiudizi, superbia o egoismi, non ci rende giusti davanti al Signore.
Seconda Lettura: 2 Tm 4,6-8.16-18.
Paolo, scrivendo a Timoteo, poiché sente armai vicina la fine della sua vita, gli ricorda che egli, come apostolo, ha combattuto la buona battaglia, ha terminato la sua corsa e ha conservato la fede e, ora, attende la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, consegnerà in quel giorno a lui e tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Poiché tutti lo hanno abbandonato e nessuno in tribunale lo ha assistito, gli scrive che non se ne tenga conto nei confronti di nessuno; che il Signore gli è stato vicino, gli ha dato la forza di portare a compimento l’annunzio del Vangelo, perché tutte le genti lo ascoltassero, ed è stato liberato dalla bocca del leone, cioè di essere condannato alla morte in pasto alle belve. Confida infine nel Signore che lo libererà da ogni male e lo porterà in salvo nei cieli, nel suo regno. L’Apostolo, guardando la sua vita passata la paragona ad una battaglia, ad una corsa, un impegno che ha perseguito con costanza e fedeltà verso il Signore, in cui ha riposto la sua totale fiducia e dal quale riceverà, lui e coloro che attendono con amore la sua manifestazione, la corona di gloria. Cristo, così, per il credente. è il valore assoluto della vita. Egli assiste, dà forza, sta vicino e salva per sempre coloro che hanno fede in lui. Chiediamoci, con frequenza, quale posto ha Gesù nella nostra esistenza, se sentiamo vicina la sua presenza gli dobbiamo rendere e se ci impegniamo a conservare viva la fede in lui.
Vangelo : Mt 5,1-12.
Gesù, oggi, nella parabola del fariseo e del pubblicano che si recano al tempio a pregare, ci indica quale è per l’uomo la vera giustizia: questa non sta nella presunzione del fariseo che, nel tempio, ringrazia Dio ma vanta ed elogia le sue virtù perché osserva la Legge, digiuna, paga le decime di ciò che possiede e, paragonandosi con gli altri uomini, li giudica ladri, ingiusti, adulteri, li disprezza insieme al pubblicano. Questi, invece, in fondo al tempio, stando a distanza e non alzando neanche gli occhi al cielo, si batte il petto, si riconosce peccatore e chiede a Dio che abbia pietà di lui. Gesù conclude dicendo che il pubblicano, per il suo umile atteggiamento, il riconoscimento delle colpe commesse per cui chiede perdono, ritornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo, perché: « Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato ». Dio esaudisce la preghiera di un cuore pentito e umiliato che, per la consapevolezza delle proprie colpe, chiede perdono a Dio e si affida, non tanto alla sua precaria giustizia, ma alla potenza della grazia di Dio, attribuendo a Lui l’onore e la gloria per il bene che compie. Dio ascolta solo la preghiera dell’umile, il quale riconosce che tutto deve essere vissuto per la maggior gloria di Dio e non per la ricerca della propria gloria ed esaltazione da parte degli uomini.