





Morire con Cristo, per risorgere con lui.
3 SETTEMBRE – XXII DOMENICA del Tempo Ordinario.
Morire con Cristo, per risorgere con lui.
Il Signore Dio ci convoca nel giorno del memoriale della sua Pasqua. Egli ci parla con la sua Parola raccontandoci le sue meraviglie e in noi avvertiamo l’istanza, giusta e doverosa, di rendergli la lode e il nostro inno di ringraziamento, non solo con le parole ma soprattutto con la nostra vita.
In questo memoriale, il Padre celeste ci offre il suo Figlio come cibo e bevanda di salvezza. Rafforzati da questo sacramento, in cui sperimentiamo il grande amore con cui siamo stati amati, riceviamo la grazia per non lasciarci « deviare dalle seduzioni del mondo », per « discernere ciò che è buono e a lui gradito », per rispondere all’ amore del Padre con la nostra fedeltà di figli, all’amore di Cristo come discepoli, portando la propria croce dietro a lui sulle sue orme, e per porre, infine, la nostra vita al servizio dei fratelli, perché l’amore del Maestro si manifesti in modo genuino e sincero con le nostre opere nella fraternità.
Nella Colletta preghiamo dicendo: « Rinnovaci con il tuo Spirito di verità, o Padre, perché non ci lasciamo deviare dalle seduzioni del mondo, ma come veri discepoli, convocati dalla tua parola, sappiamo discernere ciò che è buono e a te gradito, per portare ogni giorno la croce sulle orme di Cristo nostra speranza ».
Prima Lettura: Ger 20,7-9.
Geremia è avversato nella sua missione profetica, tanto da volersi defilare da questo compito, perché è fatto oggetto, ogni giorno, di scherno, di derisione e di obbrobrio da parte di coloro che non condividono il messaggio che egli annunzia. Egli, per farsi sentire, poiché non è ascoltato, deve gridare, urlare: « Violenza! Oppressione! ». Per questo pensa di non voler più parlare nel nome di Dio. Ma nel suo intimo egli avverte come un « un fuoco ardente, trattenuto nelle sue ossa », si sforza di contenerlo , ma non può, perché lo spinge a continuare la missione del Signore, che lo ha « sedotto » e il profeta si « è lasciato sedurre »: su di lui il Signore ha fatto violenza ed è prevalso. Ormai, quindi, la sua esistenza è tutta presa ed è inconcepibile se non nello svolgere fino in fondo la missione del Signore. Oltre che per Geremia, anche per ognuno di noi la vocazione cristiana, cioè corrispondere all’appello di Dio e dedicarsi fedelmente a Cristo, è un’avventura che, come per i santi, ci coinvolge nella profondità della nostra esistenza.
Avere sete di Dio, cercarlo, contemplarlo nel suo santuario, ammirare la sua potenza e la sua gloria, vivere dell’amore di Dio vale più della propria vita, ci fa cantare il Salmo responsoriale di oggi.
Seconda Lettura: Rm 12,1-2.
Ogni celebrazione liturgica, specie quella del sacrificio di Cristo, deve essere seguita da una vita coerente all’esempio del Signore. Paolo esorta i cristiani ad offrire se stessi, in tutta la loro realtà, in sacrificio vivente a Dio, perché è una continuazione di quello della croce del Signore: culto spirituale offerto attraverso le opere che si compiono animati dallo Spirito di Dio. Tutta l’esi-stenza cristiana, allora, se vissuta in conformità alla volontà di Dio, come quella di Gesù, nel rinnovamento del proprio modo di pensare, discernendo ciò che è buono, a lui gradito e perfetto, può essere offerta a Dio.
Vivendo così la liturgia, cioè inverandola nella vita, possiamo dire di vivere in profondità la nostra fede.
Vangelo: Mt 16,21-27.
La prospettiva della croce, che il Signore annunzia agli apostoli, appare un qualcosa di insopportabile a Pietro, che reagisce rimproverando Gesù dicendogli: « Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai ». E Gesù voltandosi verso di lui lo apostrofa decisamente: « Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ». Così il disegno di Dio, per quanto strano possa sembrare, non può essere eluso e coloro che vi si oppongono e convincono altri a non viverlo sono tacciati come Satana, che svolge il compito precisamente di intralciare il procedimento e l’attuazione della volontà di Dio.
Seguire il Signore portando ognuno dietro a lui la propria croce è il destino di ogni uomo che vuole essere suo discepolo. Perdere la propria vita e donarla con Cristo non significa perderla ma ritrovarla nella sua pienezza, non significa rinnegarla, ma realizzare il più grande guadagno, perché solo morendo come Cristo, il seme porta frutto, e la prospettiva della risurrezione è la vera ricompensa che il Signore darà a chi è disposto a perdere la propria vita per lui e per il suo regno.
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
27 AGOSTO- XXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO (Anno A).
Professione di fede di Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Nel giorno del Signore, il Padre celeste ci invita in santa assemblea, per celebrare il« sacrificio di Cristo », con cui il Signore Gesù ci ha riscattati e redenti dal peccato, versando il suo sangue prezioso per una nuova e definitiva alleanza. Così, innestati in Cristo attraverso il battesimo, per un dono di grazia del Padre e non per i nostri meriti, siamo diventati «creature nuove», santificati dalla grazia e della vita divina che Dio ci ha dato. Siamo « pietre vive » per costruire il tempio santo di Dio, di cui Gesù è la pietra angolare e, illuminati dallo Spirito Santo, che inabita in noi, abbiamo acquistato, per dono gratuito di Dio, la libertà dei figli, per cui possiamo pregarlo: « Abbà, Padre !».
A questo grande dono della misericordia di Dio dobbiamo corrispondere aderendo come Cristo alla volontà del Padre celeste, rispondendo al suo amore attraverso l’osservanza filiale dei suoi comandamenti, sentendoli non come un gravame impraticabile ma come una luce che illumina i nostri passi nel cammino di speranza sulla terra, come una via che ci guida alla ricerca del vero bene, senza farci distrarre da nessuna parola o vicende terrene mutevoli e ambigue, e ci conduce alla meta della vita eterna nella comunione trinitaria.
Nella Colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio con questa preghiera: « O Padre, fonte di sapienza, che nell’umile testimonianza dell’apostolo Pietro hai posto il fondamento della nostra fede, dono a tutti gli uomini la luce del tuo Spirito, perché riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio vivente, diventino pietre vive per l’edificazione della tua Chiesa ».
Prima Lettura: Is 22,19-23.
Il Signore ci chiede di essere fedeli al suo amore, per realizzare continuamente quel cammino di santità a cui chiama ogni uomo. Il profeta Isaia in questa lettura ci presenta l’atteggiamento di Dio che rigetta Sebna, maggiordomo del palazzo , che resosi infedele al compito a cui Dio lo aveva chiamato, gli viene tolta la « chiave del potere », e data a Eliakìm. Questi sarebbe stato rivestito della tunica, della cintura e avrebbe agito da padre per gli abitanti di Gerusalemme e di Giuda, nessuno avrebbe potuto chiudere ciò che egli apriva o aprire ciò che avrebbe chiuso: sarebbe stato « su un trono di gloria per la casa di suo padre ».
Il Signore rigetta colui che si rende indegno della sua fiducia e affida al altri la missione e il potere di « aprire e chiudere » per realizzare i suoi voleri, così come Gesù fa con Pietro, che dopo averlo tradito, gli viene chiesto di fare una triplice professione di amore per il maestro.
Seconda Lettura: Rm 11,33-36.
San Paolo, pieno di meraviglia, esalta la profondità, la sapienza e la conoscenza di Dio, perché il progetto salvifico di Dio, le sue scelte, le sue vie sono inaccessibili, imperscrutabili e insondabili i suoi giudizi. Tutte le vicende della storia, le scelte di Dio e i risultati di esse racchiusi nel mistero di Dio, solo lui li conosce. Forse che possiamo conoscere il pensiero del Signore, si domanda Paolo? O possiamo dargli qualche consiglio o qualche suggerimento per istruirlo, recita un Salmo? O qualcuno gli ha dato per primo qualcosa per poterne ricevere il contraccambio? All’uomo e, soprattutto, a colui che è chiamato a vivere come il suo Figlio Gesù è chiesto solo di adeguarsi alla sua santa volontà, di camminare nelle sue vie e, per quanto ci si possa impegnare a risolvere i problemi quotidiani, abbandonarsi, umili e fiduciosi, alla bontà del Padre celeste, sicuri che, essendo tutte le cose da lui, per mezzo di lui e in lui, egli viene in soccorso a chi gli è fedele e, nel giorno in cui lo invoca, recita il salmo di questa liturgia odierna, egli risponde. Il Signore, continua il salmo, nella sua grandezza guarda verso l’umile e il superbo lo riconosce da lontano. Per questo allora più che indagare sugli imperscrutabili disegni di Dio, poniamoci in atteggiamento di ringraziamento per tutto ciò che gli compie per le sue creature e per i suoi figli.
Vangelo: Mt 16, 13-20.
Anche a noi, oggi, Gesù chiede: « Chi sono io per voi? E per te? ». Forse ricordiamo quello che ci ha trasmesso l’istruzione cristiana da bambini, ma, esistenzialmente, quale posto Egli occupa nella nostra vita? Certo è che non possiamo avere ognuno una opinione diversa, accettando di lui alcune cose e tralasciandone molte altre, specie la sua prerogativa principale che è quella di essersi dichiarato apertamente Figlio di Dio, uguale al Padre: “ Chi vede lui vede il Padre che lo ha mandato”, dice Gesù agli apostoli. Su questa identità divina di Gesù è in ballo la nostra fede, perché se è Dio, si esige che lo seguiamo imitandolo, continuando a realizzare le opere che egli ha compiuto a favore degli uomini, avendo detto agli apostoli che ne « avrebbero fatto di più grandi ».
Gesù chiede ai suoi discepoli che cosa dica la gente di lui. Essi, richiamandosi all’Antico Testamento, rispondono dicendo che alcuni lo ritengono Giovanni il Battista, altri Elia o Geremia o un qualunque profeta. Ma poiché tutte le risposte date dagli apostoli sono insufficienti e riduttive perché non colgono la sua vera ed unica identità, Gesù chiede loro: « E voi chi dite che io sia?». Essi sono preceduti da Pietro che, al di là di tutte le apparenze e opinioni della gente o di coloro che lo avversavano, esclama: « Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente ! ».
Gesù lo loda, dichiarandolo beato, perché non ha dato ascolto alla carne né al sangue, né alle opinioni o alle ragioni degli uomini, per i quali è difficile poter comprendere l’identità di un Dio crocifisso, ma ha accolto la rivelazione che il Padre gli ha fatto sulla sua identità. Per questa fede professata, cambiandogli il nome da figlio di Giona in Pietro, gli affida il compito e il ministero di guidare insieme agli altri apostoli la Chiesa, gli affida le chiavi del regno dei cieli, con cui può legare e sciogliere e di confermare, come « pietra sicura », nella fede i suoi fratelli.
Questo ministero di servizio, che continua ad essere esercitato da colui che succede nella sede della Chiesa di Roma, non è un potere che blocca e deprime, ma un dovere di servizio per l’unità della fede e nella carità della Chiesa tutta, come testimonianza da rendere davanti agli uomini, perché si formi quell’unica Comunità di fede per la quale Gesù ha pregato nell’ ultima Cena.
Accogliendo, nella nostra piccolezza l’identità divina di Gesù, non vuol dire rinunziare alle nostre potenzialità conoscitive umane, donateci da Dio, per affidarci solo alla fede dei semplici, ma accogliere il dono della grazia che ci fa superare le nostre umane capacità conoscitive, per aprirci alle realtà divine.
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Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo.
(Sal 48, 14-15; CSEL 64, 368-370)
Cristo ha riconciliato il mondo a Dio
per mezzo del suo sangue
Avendo Cristo riconciliato il mondo a Dio, non ebbe certo lui stesso bisogno di riconciliazione. Infatti quale peccato suo proprio avrebbe espiato lui che non conobbe nessun peccato? Perciò quando i Giudei gli domandarono la tassa, destinata al tempio, e che la legge prescriveva per il peccato, egli disse a Pietro: «Simone, i re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri? Rispose: Dagli estranei. E Gesù: Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Mt 17, 25-27).
Il Figlio di Dio dimostra che non deve offrire riparazione per i propri peccati, perché non era schiavo del peccato, ma libero da ogni colpa. Infatti il Figlio libera, mentre il servo è nella colpa. Perciò è esente da tutti i peccati e non paga il prezzo del riscatto per la propria anima colui che nel suo sangue dà un prezzo sufficiente a riscattare i peccati di tutto il mondo. Giustamente dunque libera gli altri chi non deve nulla per sé.
Dirò di più. Non solo Cristo non deve alcun prezzo di redenzione per sé o di propiziazione per il peccato proprio, ma neanche i singoli uomini come tali. Vale a dire il singolo non ha da presentare una propiziazione sua propria, perché propiziazione per tutti è Cristo ed egli è la redenzione di ognuno.
Infatti, il sangue di quale uomo può avere ancora un valore determinante per la sua redenzione, dopo che Cristo ha sparso il suo per la redenzione di tutti? C’è forse il sangue di qualcuno che possa paragonarsi al sangue di Cristo? Oppure qual è quell’uomo tanto potente da offrire per se stesso la propria propiziazione, più efficace di quella che Cristo ha offerto nel suo corpo, lui che solo ha riconciliato il mondo a Dio con il proprio sangue? Quale vittima più grande, quale sacrificio più valido, quale avvocato migliore di colui che si è fatto intercessione per i peccati di tutti e ha dato la sua vita in redenzione per noi?
Ciò che ha il valore determinante non è la riparazione o la redenzione propria dei singoli. Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo con il quale il Signore Gesù ci ha redenti. Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all’estremo, addossandosi la nostra sofferenza. Per questo dice: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28).
La misericordia di Dio è offerta a tutti i popoli per l'obbedienza del Figlio.
20 AGOSTO – XX DOMENICA del Tempo Ordinario.
Nell’incontro dell’Eucaristia domenicale Cristo Signore si dona a noi con il suo Corpo e il suo Sangue. E mentre noi offriamo pane e vino, semplici doni, che la Provvidenza del Padre ci elargisce, noi riceviamo in cambio, per la potenza dello Spirito di Dio che li santifica, il dono incommensurabile della presenza di Cristo Signore, che si dona, con il suo Corpo e Sangue, come cibo e bevanda di vita: viviamo un misterioso scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza divina in questo banchetto, in cui Dio Padre ci invita ad essere commensali. Ecco perché è una gioia vivere la Domenica come giorno del Signore, giorno di “ringraziamento” e di lode a Dio insieme ai fratelli per le meraviglie operate per noi. La Domenica non possiamo né dobbiamo ridurla ad un incontro superficiale o spinti solo dall’obbligo morale di adempiere ad un precetto. Bisogna viverla come incontro con Cristo nel nome di Dio Padre Creatore e Signore.
Nel giorno della risurrezione del Signore cantiamo e celebriamo anche la nostra risurrezione finale. Questa partecipazione al banchetto eucaristico nel tempo, se vissuto degnamente, diventa caparra e anticipo del banchetto eterno del cielo. Ma da questo incontro con il Signore siamo invitati a testimoniare con le parole e le opere la gioia della salvezza, evitando di ritornare nel peccato.
Nella Colletta iniziale preghiamo dicendo: « O Padre, che nell’accondiscendenza del tuo Figlio mite ed umile di cuore hai compiuto il disegno universale di salvezza, rivestici dei suoi sentimenti, perché rendiamo continua testimonianza con le opere e con le opere al tuo amore eterno e fedele ».
Prima Lettura: Is 56,1.6-7.
E’ volontà di Dio che tutti gli uomini partecipino della salvezza preannunziata da Isaia, ma è necessario che ogni uomo aderisca e corrisponda al suo amore nella fedeltà, si guardi dal profanare il sabato e resti fermo nella sua alleanza: « Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza sta per venire, la mia giustizia sta per rivelarsi ». In questo disegno, che non è solo per Israele, Dio lo ha posto come strumento per tutti gli uomini. Tutti, israeliti e non, purché abbiano aderito al Signore, per essere suoi servi, che non hanno profanato il Sabato e resteranno saldi nella sua alleanza, Dio li condurrà sul suo santo monte e li colmerà di gioia nella sua casa di preghiera, perché la si chiamerà « Casa di preghiera per tutti i popoli ». Questa parola del profeta, all’avvento del Messia, si realizzerà, perché la salvezza operata da Cristo, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, oltrepasserà i confini del popolo d’Israele e tutti, anche quelli che sono “stranieri”, gli “altri”, “gli estranei”, ma che sono importanti per Dio, potranno ricevere la grazia redentrice e sperimentare la misericordia di Dio.
Non solo quindi i poveri e i piccoli, ma è per tutti la misericordia che Dio ci dispensa, non per i nostri meriti ma per la sua grande bontà e grazia.
Se cerchiamo nella nostra vita, diceva un padre della Chiesa in una riflessione, gesti, sentimenti, comportamenti che ci avrebbero fatto meritare tanto amore di Dio, non troviamo che peccati.
Seconda Lettura: Rm 11,13-15,29-32.
Paolo, con il suo impegno apostolico, come apostolo delle genti, annunzia Cristo e vuole suscitare negli Israeliti, suoi consanguinei, la gelosia per il Cristo che egli ha accolto nella sua vita come Signore, affinché anch’essi lo accolgano. Egli si chiede: « Se il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, cosa sarà la loro riammissione se non un riavere la vita di comunione con Dio e la risurrezione dai morti? ».
Se gli uomini, scrive ai Romani, un tempo disobbedienti a Dio, hanno ottenuto la misericordia da lui per la disobbedienza degli Israeliti, ora anche questi, a motivo della stessa misericordia, possono ottenere misericordia e perdono, avendo Dio racchiuso tutti nella disobbedienza, per usare così verso tutti misericordia.
Così si manifesta l’amore gratuito di Dio, meritato per gli uomini dal sacrificio di Cristo, segno incomparabile della misericordia divina, della sua benevolenza e pietà. Impariamo, allora, non tanto a cercare in noi meriti quanto a rendere grazie al Signore per tutti i benefici e meraviglie operate per noi, pensando come scrive Paolo che i doni e la chiamata di Dio, per tutti, sono irrevocabili.
Vangelo: Mt 15,21-28.
Nel brano del Vangelo di oggi, anche se assistiamo all’apparente contraddizione del comportamento di Gesù, nei confronti della donna cananea, si apre un orizzonte di speranza per tutti gli uomini. Come fu per il centurione romano, anche lui “straniero”, ma lodato per la sua grande fede, il suo servo malato fu guarito, così avviene anche per questa donna: per la sua grande fede, la sua figlia è guarita dal demonio.
Dopo la sua risurrezione, Gesù, inviando nel mondo i suoi discepoli, allargherà la missione della Chiesa rivolta a tutti i popoli.
In una zona di confine tra Tiro e Sidone, nel sud della Siro-fenicia e al nord della Galilea, terra considerata impura e pagana, dove si è recato dopo una polemica con gli inviati da Gerusalemme, Gesù viene avvicinato da una donna cananea che chiede insistentemente di intervenire a favore della figlia indemoniata.
Gesù, pur affermando di fronte agli apostoli, che gli chiedevano di esaudire la richiesta della donna di guarirne la figlia, di essere stato mandato per le pecore perdute della casa di Israele, tuttavia, dopo il dialogo che intratterrà con la donna, non resta indifferente davanti al dolore di quella madre per la sofferenza della figlia e accoglie la sua supplica. L’iniziale rifiuto di Gesù con la frase: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, suscita nella donna, con la risposta che questa da’ :“... eppure anche i cagnolini , mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”, una tale fede, che se pur sembra piccola e insignificante come una briciola, davanti a Dio è così grande da essere lodata dal Signore tanto da farle ottenere la grazia.
Il Signore Gesù ci esorta a vincere la nostra incredulità e ad accogliere i doni che è venuto a portarci da parte del Padre, cioè la salvezza universale, la gioia della redenzione, il suo amore: doni che Egli accorda a tutti, e ciò avviene non tanto per i nostri meriti ma per la sua grazia e la sua immensa misericordia.
Ognuno di noi sperimenta nella vita un proprio percorso di fede, che se è vissuto con un attenta accoglienza della Parola di Dio, nell’umiltà e nel desiderio di seguire Gesù, riconoscendo le proprie miserie, la propria pochezza e affidandosi nelle mani del Padre celeste, potrà disporre il cuore ad accogliere la salvezza che egli ci offre.
MARIA, ASSUNTA IN CIELO IN ANIMA E CORPO, E' SEGNO DI CONSOLAZIONE E DI SPERANZA PER NOI.
15 AGOSTO – ASSUNZIONE DI MARIA AL CIELO..
Quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” non dobbiamo intendere un luogo materiale in cui dimora Dio, ma una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noi aspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), e il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8), è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9). Riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in Dio.
Da ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio, partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo, divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Maria, attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, essendosi in lei incarnato Gesù che ha portato a compimento la nuova alleanza, gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana, nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». ( Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’ in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che, avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo, ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo, da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi, che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli ancora peregrinanti in questa terra d’esilio e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso il Padre.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità, maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quanti si affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
SALVACI, SIGNORE.
13 AGOSTO-XIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO
Soprattutto la domenica, in cui Dio Padre ci raduna insieme come famiglia dei credenti e di figli adottivi, possiamo con il Figlio Gesù sperimentare la sua paternità e, nella fede, ricevere la grazia di sentire la sua azione nella nostra vita e in quella degli uomini tutti, così da poter superare le prove di ogni giorno: egli è sempre presente nella vita delle sue creature e dei suoi figli.
Affrontare con la serenità dei figli di Dio, ad imitazione di Gesù, le prove quotidiane, vuol dire vivere le difficoltà, i travagli della vita e, anche la sofferenza, con la fiducia e la certezza che il Signore ci è vicino. Egli accompagna ogni sua creatura, tutti i suoi figli, la sua Chiesa in mezzo ai marosi nel mondo, finché non giungiamo alla contemplazione della luce del volto di Dio nel cielo. Nel giorno del Signore, vivere il nostro incontro con lui accresce il desiderio del cielo, pregustando fin d’ora la gioia che ci sarà data in pienezza nell’ eternità.
Nella preghiera della Colletta diciamo a Dio:« Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e fa’ che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace ».
Prima Lettura: 1 Re 19,9.11-13.
Nel lungo cammino nel deserto, fortificato dal cibo che Dio gli provvede, Elia giunge sul monte Oreb, dove incontra Dio che gli si manifesta, non nell’esperienza eclatante del vento impetuoso e gagliardo, non nel terremoto o nel fuoco, come lo fu per Mosè, ma in una brezza leggera e, al suo passaggio, si copre il volto con il mantello. Così Elia riceve la conferma della missione a cui Dio lo manda.. E,’ quella di Elia, un’esperienza misteriosa di intimità e di quiete. Pur stando Elia « alla presenza del Signore » e avvertirne la presenza, si ferma all’ingresso della caverna. Solo con la rivelazione che il Figlio fa del Padre è possibile vedere il volto di Dio, perché, dice Gesù, chi vede lui vede il Padre. E Giovanni, nel prologo del Vangelo dice: « Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato ».
Seconda Lettura: Rm 9,1-5.
Paolo avverte nell’ animo un’angosciosa sofferenza, tanto da voler essere, se potesse, anatema, cioè staccato da Cristo, che egli pur ama intensamente, a vantaggio dei suoi fratelli israeliti a lui consanguinei. Questo perché essi, che « Sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo », non hanno accolto Cristo come il Messia, pur essendo anch’egli israelita secondo la generazione umana, venuto per realizzare le promesse divine. L’apostolo, di questo misterioso ed enigmatico comportamento, non sa darne una spiegazione, ma si affida a Dio, che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli, certo che la sua misericordia divina si manifesta verso tutti e sopra tutti. Sia questo consegnarsi all’ insondabile disegno di Dio, sia questa passione per la conversione dei fratelli israeliti, deve spingere i credenti nel Cristo come i fratelli ebrei, più che ad atteggiamenti di inimicizia e di ostilità, a vivere momenti di fraternità e accoglienza e di collaborazione.
Vangelo: Mt 14,22-33.
Dopo la moltiplicazione dei pani, per cui la folla ammirò la straordinaria potenza di Gesù, egli costringe i discepoli a precederlo sull’ altra riva del lago e « sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo, a pregare ». Nel Vangelo di Matteo la moltiplicazione dei pani era stata un segno della sua messianicità, anche se fraintesa da parte dei discepoli e da quelli che avevano assistito all' evento , volendolo fare re. Così congeda la folla e li costringe a partire, affinché non cedessero alla tentazione della gloria.
Nella sua pedagogia Gesù vuole insegnare ai suoi discepoli che non ci si deve appropriare dei segni della benevolenza di Dio, né di chi ha sperimentato un evento o un dono di grazia di Dio, per ottenere, a proprio beneficio o interesse, il consenso o soddisfare la propria sete di dominio sugli altri.
Ancora. Nella preghiera solitaria e a contatto con il Padre celeste, Gesù vuole vincere la tentazione di rivelarsi nella sua identità di Messia e di Figlio di Dio, perché vuole ancora una volta insegnarci che il bene, che i suoi discepoli fanno, deve portare gli uomini a dare gloria al Padre celeste e a porre Dio al centro della propria testimonianza e non alla ricerca di gloria o di successi propri: tentazione sempre presente nella vita di ognuno e della sua Chiesa, a cui difficilmente si sfugge, se si perde il vero senso del rapporto con Dio che, nella preghiera e nel rapporto intimo con lui, ci fa riscoprire la nostra identità di figli nella sua giusta luce.
Essere saliti sulla barca di Cristo, la sua Chiesa, e trovarsi in mezzo al lago della storia, agitato da forte vento e da onde paurose, è certamente anche un altro momento che ci può cogliere come discepoli di Gesù e di credenti in lui, lungo la nostra vita e nella vita della Chiesa. Se allora Gesù è assente, come lo era nella barca, nell’ episodio del vangelo di oggi, la comunità del Signore è incapace di compiere serenamente la traversata verso l’altra riva e si è presi facilmente dalla paura degli eventi più o meno sconvolgenti che agitano la nostra e la vita della Chiesa e del mondo. Solo se si crede alla reale presenza di Gesù in mezzo alla vita degli uomini e della sua Chiesa, e non lo si crede un fantasma, e se ascoltiamo la sua parola: « Coraggio, sono io, non abbiate paura! », con cui manifesta la sua identità divina, allora la sua presenza ci dà coraggio e serenità.
E anche quando come Pietro, rassicurati dalla sua presenza e dal calmarsi dei travagli e delle vicende tormentate della nostra esistenza, gli chiediamo di camminare verso di lui, chiamandoci a svolgere una missione, non dobbiamo perdere la nostra fede in lui e non aver paura, perché rischiamo di affondare.
In quel momento, solo rivolgendoci a lui e non pensando alle difficoltà e ai travagli in cui versiamo, gridando come Pietro: « Signore, salvami! », potremo aggrapparci alla mano che Gesù ci tende e trovare salvezza nella rinnovata fiducia in Lui..
Con la presenza di Gesù tra noi, ogni tempesta si placa, ogni dissidio si risolve, ogni difficoltà si supera, ogni turbamento si rasserena e, facendo esperienza della sua presenza, anche a noi ci viene spontaneo rinnovare la stessa professione di fede degli apostoli: « Davvero tu sei il Figlio di Dio ». Dall’ accogliere nella fede questa identità di Gesù ci viene la nostra serenità e la forza per vincere ogni forma di timore che può sorprenderci nella “traversata della vita nostra, della Chiesa e dell'umanità tutta”.
M E M O R I A DI
S A N T 'E L E N A
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VENERDI’ 18 AGOSTO
ALLE ORE 18.30
SARA CELEBRATA LA SANTA MESSA
PRESSO LA GROTTA Di SANT’ELENA alla rotonda
Leonforte, 08 agosto 2017 il Parroco.