





SOLENNITA' DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE.
28 MAGGIO – SOLENNITA’ DELL’ ASCENSIONE DEL SIGNORE
Gesù, che ha vinto il peccato e la morte, ci dice la liturgia del prefazio di questa solennità, «ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria »: e ciò dobbiamo tenerlo presente in ogni giorno della vita. Con Gesù, che con la sua umanità è presso il Padre, siamo già in qualche modo presenti anche noi, perché egli è il Capo del corpo di cui noi siamo membra. Possiamo quindi sperare la salvezza e la gloria eterna perché egli l’ha acquistata per sé e per noi. Noi – ci dice ancora il prefazio -,poiché adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria, non siamo lasciati soli. Con lui, che alla destra del Padre è nostro Intercessore e Mediatore, siamo già legati con Dio.
Ma se lungo il cammino terreno siamo presi dal dubbio e ci sentiamo smarriti nella ordinarietà e monotonia della nostra vita e di quella della Chiesa, non dobbiamo, però, credere che egli ci abbia abbandonato, perché la sua presenza, resa costante dallo Spirito inviato, ci accompagna nella missione nel mondo e ci fa attendere con fiducia e operosità il sua ritorno futuro, come dicono gli angeli nel momento in cui sale verso il cielo. Questa operosità dimostra il nostro impegno a vivere in maniera degna di essere accolti nella sua gioia di Signore risorto.
Nella Colletta dell’Eucaristia chiediamo a Dio: « Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro Capo, nella gloria ».
Prima Lettura: At 1,1-11.
Gesù, dopo aver confermato i suoi discepoli nella certezza della sua risurrezione, di cui avevano dubitato in varie occasioni e, anche ora, in Galilea, sul monte, dove aveva loro indicato di recarsi « quando essi lo videro, si prostrarono », ma ugualmente dubitarono, egli sale al cielo. Non li abban- dona e non se ne allontana se non visibilmente, perché, dalla destra del Padre, invia lo Spirito, che , ricevuto da essi in pienezza, li rende fortificati per la testimonianza che devono rendere al Risorto. Lo Spirito del Padre e del Figlio accompagna i discepoli nella loro missione. Essi, però, nell’attesa della venuta gloriosa di Gesù non devono rimanere inattivi e non devono preoccuparsi di quando sarà la fine del mondo e il termine della storia. Egli assicura che ritornerà ed essi, in questo tempo di attesa, dovranno manifestare la loro testimonianza nel continuare l’opera del Maestro, specialmente nelle opere della fede e della carità, nelle quali dimostrano il desiderio di riunirsi al Signore.
Ma se da una parte la comunità del Signore, sempre lungo la sua storia, come lo fu dall’inizio, può sperimentare momenti e fatti che non l’hanno resa splendida Sposa di Cristo, dall'altra ha anche molte pagine di testimonianza discreta e, oggi, con frequenza, eroica di tanti martiri. D’altronde Gesù stesso lo aveva detto: « Sarete perseguitati, ma riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra » (At 1,8-9). Così la Chiesa, pur fragile e ferita, può continuare a dare speranza agli uomini e ognuno trovare il proprio spazio di crescita umana e spirituale, poiché non è fatta di puri, ma è costituita come comunità che nel nome del Signore accoglie i peccatori, i quali, pur zoppicando, si sforzano di imitarlo.
Seconda Lettura: Ef 1, 17-23.
Paolo scrive ai cristiani di Efeso e augura loro che il Dio del Signore Gesù dia loro uno« spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui: illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo ». Tutti i discepoli del Signore dobbiamo dunque aspettare un’eredità, anche i più poveri ai quali non sia mai avvenuto di ereditare: è’ il tesoro della gloria che si riceverà con tutti i santi e che sarà donata in Gesù, Signore risorto e glorioso. Anche noi, dunque, partecipiamo dello stesso destino di Cristo, come membra del suo corpo, la Chiesa, « la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose ». Domandiamo per noi e per tutti quanto san Paolo chiedeva per la sua comunità di Efeso: « uno spirito di sapienza per una più profonda conoscenza del Dio del Signore nostro Gesù Cristo »; domandiamo di avere gli « occhi del cuore» per comprendere la nostra speranza. Finché non raggiungiamo questa comprensione, ogni notizia sul mondo, sulle cose, sulla storia a poco ci giova. Colui che ha compreso l’opera di Gesù e vi prende parte assaporandola, gustandola e vivendola ha acquistato la vera scienza. Di conseguenza tutto il resto acquista una proporzione nuova, perché disponiamo di un criterio che ci fa valutare veramente e in maniera diversa le cose, per superarle e disincantarle. E’ il criterio dei santi e che consiste nel distacco che essi hanno vissuto dalle cose terrene, nutrendo solo il desiderio supremo del Signore.
Vangelo: Mt 28, 16-20.
Gesù risorto, incontrando i discepoli sul monte della Galilea, dove aveva dato appuntamento, dà loro il potere, come lui l’ha ricevuto dal Padre, di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome delle Tre Persone della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo e insegnare loro ad osservare tutto ciò che ha comandato loro. Promette che egli sarebbe stato sempre con loro per dare valore alla predicazione, ai sacramenti e al loro ministero.
La Chiesa, comunità di santi e di peccatori, in obbedienza a questo comando di Gesù (Mt28,10), convocata da lui, che l’ha beneficiato della rivelazione di sé nel suo corpo glorioso e investita di una dignità altissima, intraprende, fin dal tempo apostolico, la missione di testimoniare e realizzare, non a proprio nome ma a nome della Trinità tutta, l’opera salvatrice dell’umanità da lui iniziata.
La missione che affida loro esprime il potere di Signore risorto: è lui, quindi, che invia e rende efficaci gli atti di quelli che sono mandati. E’ lui che è presente e, per mezzo del suo Spirito, dà incremento alla sua opera perché la sua salvezza si estenda in tutto il mondo. La sua ascensione al cielo non lo allontana da loro, al contrario lo ravvicina in ogni tempo e spazio e, con lo Spirito Santo e il loro ministero, Gesù stabilisce il rapporto di salvezza con colui che crede. Le sue ultime parole ci sono motivo di conforto e di speranza:
« Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Nessun momento della storia più è vuoto e privo della presenza del Signore. Se l’orazione personale, come colloquio ed esperienza personale di Cristo, fa sentire questa presenza, il vertice di questa presenza e di questa comunione si trova nell’Eucaristia, in cui la relazione con Gesù, asceso al cielo, raggiunge la sua espressione più perfetta: dove c’è Gesù Cristo, là c’è il Padre, c’è il cielo. Allora non è fuor di luogo dire che l’Eucaristia ci fa già pregustare in anticipo la Vita eterna.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 2 sull’Ascensione 1, 4; PL 54, 397-399)
L’Ascensione del Signore accresce la nostra fede
Nella festa di Pasqua la risurrezione del Signore è stata per noi motivo di grande letizia. Così ora è causa di ineffabile gioia la sua ascensione al cielo. Oggi infatti ricordiamo e celebriamo il giorno in cui la nostra povera natura è stata elevata in Cristo fino al trono di Dio Padre, al di sopra di tutte le milizie celesti, sopra tutte le gerarchie angeliche, sopra l’altezza di tutte le potestà. L’intera esistenza cristiana si fonda e si eleva su un’arcana serie di azioni divine per le quali l’amore di Dio rivela maggiormente tutti i suoi prodigi. Pur trattandosi di misteri che trascendono la percezione umana e che ispirano un profondo timore riverenziale, non per questo vien meno la fede, vacilla la speranza e si raffredda la carità.
Credere senza esitare a ciò che sfugge alla vista materiale e fissare il desiderio là dove non si può arrivare con lo sguardo, è forza di cuori veramente grandi e luce di anime salde. Del resto, come potrebbe nascere nei nostri cuori la carità, o come potrebbe l’uomo essere giustificato per mezzo della fede, se il mondo della salvezza dovesse consistere solo in quelle cose che cadono sotto i nostri sensi?
Perciò quello che era visibile del nostro Redentore è passato nei riti sacramentali. Perché poi la fede risultasse più autentica e ferma, alla osservazione diretta è succeduto il magistero, la cui autorità avrebbero ormai seguito i cuori dei fedeli, rischiarati dalla luce superna.
Questa fede si accrebbe con l’ascensione del Signore e fu resa ancor più salda dal dono dello Spirito Santo. Non riuscirono ad eliminarla con il loro spavento né le catene, né il carcere, né l’esilio, né la fame o il fuoco, né i morsi delle fiere, né i supplizi più raffinati, escogitati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo hanno combattuto fino a versare il sangue, non solo uomini, ma anche donne; non solo fanciulli, ma anche tenere fanciulle. Questa fede ha messo in fuga i demoni, ha vinto le malattie, ha risuscitato i morti.
Gli stessi santi apostoli, nonostante la conferma di numerosi miracoli e benché istruiti da tanti discorsi, si erano lasciati atterrire dalla tremenda passione del Signore e avevano accolto, non senza esitazione, la realtà della sua risurrezione. Però dopo seppero trarre tanto vantaggio dall’ascensione del Signore, da mutare in letizia tutto ciò che prima aveva causato loro timore. La loro anima era tutta rivolta a contemplare la divinità del Cristo, assiso alla destra del Padre. Non erano più impediti, per la presenza visibile del suo corpo, dal fissare lo sguardo della mente nel Verbo, che, pur discendendo dal Padre, non l’aveva mai lasciato, e, pur risalendo al Padre, non si era allontanato dai discepoli.
Proprio allora, o dilettissimi, il Figlio dell’uomo si diede a conoscere nella maniera più sublime e più santa come Figlio di Dio, quando rientrò nella gloria della maestà del Padre, e cominciò in modo ineffabile a farsi più presente per la sua divinità, lui che, nella sua umanità visibile, si era fatto più distante da noi.
Allora la fede, più illuminata, fu in condizione di percepire in misura sempre maggiore l’identità del Figlio con il Padre, e cominciò a non aver più bisogno di toccare nel Cristo quella sostanza corporea, secondo la quale è inferiore al Padre. Infatti, pur rimanendo nel Cristo glorificato la natura del corpo, la fede dei credenti era condotta in quella sfera in cui avrebbe potuto toccare l’Unigenito uguale al Padre, non più per contatto fisico, ma per la contemplazione dello spirito.
CHI AMA CRISTO E' AMATO DAL PADRE.
21 MAGGIO – VI DOMENICA DI PASQUA
Chi ama Cristo è amato dal Padre.
La nostra fede spesso è vissuta nel timore che Dio ci punisca. Essere cristiano significa credere che Dio è, come ci ha insegnato Gesù, un Padre premuroso verso di noi, si preoccupa e ci ama come un padre provvidente, che ama tutti, sia i buoni che i peccatori. Ha mandato il suo Figlio unigenito, Cristo Gesù, che è morto per noi, per liberarci dalla morte e ci assicura che, anche se non possiamo vederlo, toccarlo, egli non ci lascia soli, perché il suo Spirito ci accompagna sempre.
In tutto il tempo pasquale la letizia e la gioia non scaturiscono dal successo delle nostre imprese terrene, o perché i nostri giorni non conoscono motivi di ansia, ma esse ci vengono dalla costatazione e dalla certezza che siamo stati liberati dal peccato, che è la vera causa della tristezza, e dal fatto che il Signore risorto ci ha riportati ad una speranza che non conosce delusioni: la speranza della gloria eterna con lui.
Bisogna tornare spesso – e perciò è provvida la domenica – a ciò che Cristo ha fatto e insegnato se non vogliamo che la nostra gioia si inaridisca. Per non scoraggiarci in certi momenti, specie quelli difficili e tragici, la strada per uscire dall’avvilimento è quella di uscire da noi, sull’esempio di Gesù, che per il primo ha dato la sua vita per gli altri. Carità e letizia in questo tempo pasquale sono strettamente congiunte.
Nella colletta di questa domenica ci rivolgiamo al Padre dicendo: « O Dio, che ci ha redenti nel Cristo tuo Figlio messo a morte per i nostri peccati e risuscitato alla vita immortale, confermaci con il tuo Spirito di verità, perché nella gioia che viene da te, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi ».
Prima Lettura: At 8,5-8.14-17.
Gli apostoli, dopo che l’apostolo Filippo ha predicato il Cristo nella Samaria e molti hanno prestato attenzione per i segni che egli ha compiuto ( da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, e paralitici e storpi erano stati risanati), inviano Pietro e Giovanni, i quali effondono, con l’imposizione delle mani, la pienezza dello Spirito Santo su coloro che erano stati solo battezzati nel nome di Gesù. Questo dono di Cristo rinnova e mette in fuga gli spiriti immondi. Il peccato lascia come una traccia della presenza del demonio ma i battezzati, per la loro fede e per i sacramenti, ne sono liberati. La novità di vita prodotta dalla fede nel Cristo morto e risorto deve manifestarsi in un comportamento in cui, confermati dallo Spirito di verità, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi.
Seconda Lettura: 1 Pt 3,15-18.
Pietro nella sua lettera, ricca di insegnamenti preziosi, ci esorta ad adorare il Signore Gesù nei nostri cuori e coltivare l’amicizia con lui attraverso il colloquio della confidenza e dell’orazione. Ancora : dobbiamo rendere ragione della speranza che è in noi e dire i motivi per cui crediamo, facendo questo con dolcezza e rispetto, anche quando si parla male di noi, cosicché « rimangano svergognati quelli che malignano sulla buona condotta che il credente ha in Cristo ». Non si deve essere irriguardosi, prepotenti e irritanti, ma dolci, leali, rispettosi. Non bisogna inoltre meravigliarsi se si patisce qualcosa per la fede, come Gesù, del resto, che è morto per noi. Ed ecco un principio che deve esserci di guida nella nostra condotta: « Se questa è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male ».
Vangelo: 14,15-21.
Gesù, in questo brano del Vangelo, chiede ai discepoli di vivere, in continua prospettiva, l’attesa e il possesso, la promessa e la realizzazione. Ad essi, che si sentono abbandonati per aver detto che dove lui andava loro non potevano andare, Gesù li chiama “figlioli ”, e promette di non abbandonarli per sempre e che pregherà il Padre perché dia loro lo Spirito Paràclito, il Consolatore, che li accompagnerà lungo la loro esistenza e nella loro testimonianza. Giovanni scrivendo queste parole, dette da Gesù nell’ultima Cena, dopo l’evento della risurrezione, ci dice che, avendolo rivisto risorto, il Signore diventa il compimento del suo permanere tra loro e, per noi credenti, il vederlo nella visione della fede, diventa l’attuazione, nel nostro oggi, della promessa della sua presenza costante nella sua Chiesa : « … Non vi lascerò orfani: verrò di nuovo ».
Con questa presenza Gesù instaura un rapporto di comunione nell’intimo di ogni discepolo, perché Gesù dice: « Io sono nel Padre mio, e voi in me ed io in voi », dopo aver detto: « Io pregherò il Padre mio ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga sempre con voi » ( Gv 14,16). Così Gesù assicura il legame d’amore fra le Persone divine e il credente, legame esistenziale, concreto e pratico, per cui la presenza della Trinità nella nostra vita di credenti non è legata ad un luogo, al tempio, ad un qualsiasi luogo di culto, ma alla persona del credente.
Il tempo dello Spirito.
Il tempo che intercorre tra le parole dette di Gesù e il compimento delle sue promesse, il tempo della Chiesa e il nostro è animato dal suo Spirito, che realizza quelle promesse. Lo Spirito, che è Spirito di verità, ci fa comprendere la Parola di Gesù e ci dà la forza di testimoniarla, come avviene con la parola che predica Filippo presso i Samaritani, che credono e si convertono perché la testimonianza dell’apostolo rende credibile quella Parola. Ancora, in una comunità tribolata, come scrive san Pietro, lo Spirito anima la concretezza della vita cristiana: « E’ meglio soffrire operando il bene che facendo il male ». A sorreggere questa resistenza nel bene è la speranza che unisce, per mezzo della fede, a Cristo anche nei momenti delle tribolazioni. Questa testimonianza, tradotta in opere concrete, interroga anche i non credenti, a cui bisogna essere « sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi » ( Pt 3,15)
La presenza dello Spirito promesso è un dono che si riceve solo se il discepolo si decide ad accogliere l’invito di Gesù: « Se mi amate, osserverete i miei comandamenti … Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama » (Gv 14,15.21). Così l’amore non è un semplice sentimentali- smo, ma è quello che si modella sul suo, poiché dice: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,17).
Presso di noi, dunque, abita lo Spirito Santo, chiamato da Gesù il Paraclito, il consolatore, che porta la verità, che è Gesù stesso e il suo Vangelo. Ma il luogo dove lo Spirito abita è il cuore dei discepoli del Signore, mediante la grazia. Gesù dice un’altra cosa nel brano che segue: « Non vi lascerò orfani ». E infatti lo Spirito Santo è il segno che Cristo è con noi e non ci abbandona a noi stessi, alla nostra solitudine. Poi ci sarà il suo ritorno glorioso, quando lo vedremo insieme col Padre. Sarà già il momento della morte, che non va aborrito ma, per questo motivo, atteso con gioia, si direbbe perfino con impazienza. Però adesso si devono mettere in pratica i comandamenti di Gesù: « Chi li osserva, questi è colui che mi ama ». Ecco un principio fondamentale chiarissimo: le parole da sole non sono indice di amore.
Dice Gesù: "Io sono la Via, la Verità e la Vita
14 MAGGIO – V DOMENICA di PASQUA.
Gesù, Via, Verità e Vita.
Oggi siamo chiamati a riflettere sul ruolo che ha Cristo nella nostra vita.
« Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi »: è l’invito festoso che apre oggi la liturgia. Sappiamo quali sono questi prodigi che solo Dio ha fatto e per cui ci dobbiamo rallegrare: sono la liberazione dal peccato, essere stati rigenerati figli di adozione e chiamati all’eredità eterna. Cantiamo un canto nuovo perché siamo « primizie di umanità nuova », nata per opera dello Spirito ed edificata « in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della gloria di Dio ». Tutto questo non è sogno o parole vuote. La nostra fede ci fa percepire queste realtà. Ma questa fede deve poi maturare in opere di cui la più importante è l’amore, statuto e comandamento di una vita nuova, per cui possiamo essere per l’umanità portatori e testimoni efficaci e credibili della salvezza operata da Cristo. Nell’orazione dell'Eucaristia la Chiesa prega dicendo: « O Padre, che ti riveli in Cristo maestro e redentore, fa’ che aderendo a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a te, siamo edificati anche noi in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della tua gloria ».
Prima Lettura: At 6,1-7.
La Chiesa primitiva non è esente da screzi e dissapori e non dobbiamo forse idealizzarla troppo, perché, là dove ci sono degli uomini, ci possono essere anche imperfezioni e limiti. Per il disservizio delle mense e, quindi, nella realizzazione della carità che si manifesta con l’« assistenza quotidiana », sorgono lamentele, perché quelli di lingua greca vedono trascurate le loro vedove. Gli apostoli, per non trascurare il loro impegno di predicare la parola di Dio, provvedono chiedendo ai discepoli di scegliere « sette uomini di buona reputazione, ripieni di Spirito e di sapienza ». Queste tre caratteristiche sono esemplari: la reputazione buona, la pienezza dello Spirito Santo, la saggezza. Né si può presiedere da queste caratteristiche pur trattandosi del servizio delle mense. Anche le parole degli apostoli: « Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola », attività che sono sentiti più propriamente ed essenzialmente come ministero apostolico, persuadono i discepoli ad accettare il servizio dei diaconi. Se il ministero apostolico della preghiera e della predicazione fosse trascurato, essi sarebbe infedeli alla missione e neppure la carità ci potrebbe più essere, alla fine. Sarebbe cosa grave se questo senso del primato della preghiera e della predicazione venisse meno e ci si occupasse d’altro o di ciò che altri nella comunità cristiana più convenientemente potrebbero fare. Più che porsi queste varie attività in antitesi, servizio « alle mense » e « preghiera e predicazione », si tratta di articolarli in un giusto rapporto.
Seconda Lettura: 1 Pt 2,4-9.
San Pietro, rivolgendosi ad una comunità che vive l’assenza corporea di Gesù, dice :« Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo credete in lui » (1 Pt 1,8). Essi sono stati aggregati attraverso il Battesimo a Cristo e formano in lui, « pietra d’angolo », un tempio mentre, per coloro non credono, Gesù è « pietra di scandalo », perché essi « non obbediscono alla Parola », cioè non credono al Vangelo. La fede è credere nella Parola di Dio e la vita cristiana è sottomettersi ad essa.
La Parola che ci raggiunge tramite le Scritture e soprattutto con Gesù, Parola fatta carne, suscita in noi la fede e da questo rapporto con la Parola e con Cristo sgorga il ministero della Chiesa che continua l’opera del suo Signore. Gli Apostoli affrontano la crisi organizzativa della comunità stabilendo delle priorità: « Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio … Noi, invece, ci dedichiamo alla preghiera e al servizio della Parola »( At 6,2-4).
Oggi si parla, spesso anche a sproposito, di « laici » e di « laicato». Va bene, se si conserva viva la consapevolezza che un cristiano, prete o no, è un consacrato. Tutti i credenti formano « un sacerdozio santo ». Tutti, « quali pietre vive », sono costituiti « come edificio spirituale », così da potere offrire « sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo ». Questi sacrifici spirituali sono la nostra vita vissuta in grazia, le nostre opere animate dallo Spirito Santo. Questo è possibile se ci uniamo nella Eucaristia al sacrificio offerto da Cristo sulla croce.
Siamo un « edificio spirituale »: non varrebbe nulla una bella chiesa di pietre, se a formarla non fossimo noi con la nostra fede e la nostra carità. La chiesa di pietre è solo un segno e un aiuto: è in noi, nella comunità cristiana, che Dio dev’essere presente. Siamo noi chiamati « stirpe eletta, nazione santa, popolo di Dio », luogo della proclamazione del Vangelo, cioè delle opere della salvezza. E’ come dire che i cristiani rigettano tutto quanto è contrario alla santità, ogni forma di peccato.
In questo senso essi sono separati dal mondo, consacrati a Dio, destinati a collaborare alla redenzione del mondo e ad essere sacerdoti.
Vangelo: 14,1-12.
Gesù, a Tommaso che gli chiede di non conoscere la via dove va, si dichiara l’unica Via che conduce al Padre, come Verità della rivelazione, come unica Vita autentica. A Filippo, che gli chiede di mostrargli il volto del Padre, Gesù risponde: « Chi vede me, vede il Padre …. Io sono nel Padre e il Padre è in me ». Gesù, come unico rivelatore del Padre, immette nella intimità che c’è tra il Padre e il Figlio, perché dice:« Io sono nel Padre e il Padre è in me » e ai discepoli chiede: « Rimanete in me ed io in voi » (Gv 15,4). Quale sensazione non hanno provato gli apostoli nel sentire Gesù che dice loro: « Figlioli, ancora un poco sono con voi … Dove vado io, voi non potete venire », essi che avevano scommesso la loro vita nel seguirlo, pensando ad attese inerenti l’esistenza terrena?
All’annunzio dell’assenza del maestro sarà seguita in loro la sensazione dell’abbandono. Per questo Gesù continua dicendo: « Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me »(Gv 14,1). Gesù chiede loro di avere fede nel Padre e in lui e viceversa. Ma contemporaneamente promette che essi saranno immessi nella intimità che vi è tra lui e il Padre e tale promessa deve far superare loro il turbamento causato dall’annunzio improvviso della sua assenza.
Questa intimità si realizza oggi con la mediazione del Cristo risorto, che pur ascendendo alla destra del Padre, egli è presente nella Parola delle Scritture, attraverso l’Eucaristia con la sua presenza nel pane e nel vino, che per opera dello Spirito Santo diventano il suo Corpo e il suo Sangue. Così nell’atto del suo sacrificio di morte e risurrezione, memoriale eucaristico, che è principio di risurrezione e di vita nuova, noi riaffermiamo la nostra fiducia e la nostra fede nelle sue parole che ci assicurano: «Vado a prepararvi un posto. Verrò di nuovo e vi prenderò con me ». Al di là della morte, che non è il tragico crollo della nostra speranza, Gesù ci assicura che ci farà vivere con lui e il Padre per l’eternità. E quando si sarebbe verificata questa promessa di intimità? Bisognava aspettare la fine dei tempi per la sua realizzazione o subito dopo la morte? Come vivere nell’oggi l’efficacia della promessa di Gesù?
Voler essere suoi discepoli significa allora seguirlo in questo cammino con la fede nel Padre e in lui, con la consapevolezza della nostra miseria per giungere alla piena comunione con Dio e i fratelli.
Cristo Gesù, buon Pastore ci libera dal peccato, ci guida e ci conduce alla salvezza.
7 MAGGIO – IV DOMENICA DI PASQUA.
Cristo Gesù che ci libera, ci conduce alla salvezza.
Gesù che si presenta come il buon pastore è, ancora oggi, colui che accudisce, guida e conduce il popolo di Dio. Egli dice che al di fuori di lui non c’è salvezza e senza la sua croce non c’è risurrezione.
La Chiesa, che ha come origine e punto di arrivo Cristo, è chiamata a mettersi a servizio dell’umanità e a rinnovarla con il suo sacrificio.
A volte, presi dal dubbio, più o meno doloroso, più o meno violento ci domandiamo: “E se Dio non esistesse?”. Tale situazione di crisi può essere positiva per una fede più autentica. Infatti, a seconda di come pensiamo Dio, assumiamo di conseguenza atteggiamenti che ci fanno realizzare relazioni diverse con lui.
Ogni credente dovrebbe porsi la domanda: « Chi è Dio per me? »;« In chi ripongo la mia fiducia di salvezza? ». Il cristiano, come dice San Pietro, accoglie nella fede il messaggio che « Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che avete crocifisso ». Se non siamo stati anche noi lì, e non implicati in solido per la crocifissione materialmente del Signore, come gli undici, dovremmo convincerci che Gesù non è stato crocifisso solo per il peccato di quelli. La sua morte ha una portata universale: è morto per tutti gli uomini, di ogni tempo e di ogni luogo.
L’incredulità può essere vinta con l’atteggiamento di abbandono in Dio, come ha fatto Gesù nel momento della prova.
Gesù, attraverso la parabola del Buon Pastore, vuol farci comprendere che egli conosce, chiama, conduce, cammina davanti a tutti coloro che, come sue pecore, vogliono seguirlo, ed essi riconoscono la sua voce e lo seguono. Con questa similitudine, che facilmente comprendevano gli uomini di allora, Gesù vuol dirci quale relazione si pone tra lui e i suoi discepoli: una relazione di appartenenza « siamo sue pecore », di affezione « ci conosce uno ad uno e ama », di guida « come il pastore che sta alla testa delle sue pecore » che lo seguono con fedeltà e amore. Il pastore conduce le pecore verso la libertà di « pascoli ubertosi ».
Con questa immagine del buon Pastore, che si prende cura delle sue pecore con amore e sollecitudine, egli vuol dirci che dobbiamo avere una diversa comprensione di Dio, di cui non dobbiamo avere timore, ma che da parte nostra, sue pecore, dobbiamo vivere con lui una relazione esclusiva con il Pastore: relazione nuova che ci fa accogliere Cristo come porta d’ingresso nella salvezza: egli si presenta come rivelazione del Padre, mediazione unica fra Lui e l’umanità, unica guida alla vera libertà, che è dono gratuito, alla salvezza ricevuta, accettata e corrisposta con amore.
Nella colletta dell’Eucaristia di oggi preghiamo dicendo:« O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio ci hai riaperto la porta della salvezza, infondi in noi la sapienza dello Spirito, perché fra le insidie del mondo sappiamo riconoscere lz voce di Cristo, buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita ».
La giustificazione che Dio ci dà, per la nostra adesione e il nostro abbandono fiducioso in lui, è sempre un dono gratuito. Dobbiamo allora seguire, se vogliamo essere suo “ umile gregge “, Cristo con sapienza e costanza, riconoscerne la voce, e di lasciarci condurre da lui, mentre siamo « fra le insidie del mondo ». Saremmo sprovveduti se chiudessimo gli occhi su queste insidie o se pensassimo di potercene preservare da soli. Come pastore, Cristo « ci guida alle sorgenti della vita»: Egli con la sua parola, con i suoi sacramenti, che ci risanano e ci legano a lui, è la nostra vita.. L’immagine del gregge richiama quella dell’unità. Gesù « raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia ». L’unità dipende anche da ciascuno di noi, nella misura in cui supera e vince tutti i motivi di divisione, anche i più nascosti.
Prima Lettura: At 2,14.36-41.
Gesù di Nazaret, il Crocifisso, dice san Pietro, è stato costituito Signore e Messia: e questo annunzio suscita in quelli che hanno messo in croce il Cristo una trafittura del cuore e insieme il pentimento e la domanda di cosa devono fare. E l’apostolo li esorta a ricevere il Battesimo che, accolto, porta in essi come frutti la remissione dei peccati, l’effusione dello Spirito Santo e l’appartenenza alla comunità dei cristiani. Anche in noi, che abbiamo ricevuto il battesimo, è avvenuta la conversione, ci è stato dato il perdono, la grazia dello Spirito e siamo stati, per dono gratuito di Dio, inseriti nella Chiesa. Se la conversione non ha preceduto il nostro Battesimo, che abbiamo ricevuto da bambini nella fede della Chiesa, essa deve avvenire giorno per giorno; e se anche non siamo stati partecipi materialmente alla crocifissione di Gesù, i nostri peccati vi hanno gravato.
Seconda Lettura: 1Pt 2,20-25.
Gesù, scrive nella sua lettera ai cristiani san Pietro, è modello, esempio di vita e artefice della salvezza che è frutto dell’obbedienza di Gesù al Padre e al progetto di salvezza che il Padre ha predisposti in lui. Così con il gesto del pastore che è disposto a dare la vita per le sue pecore, a difenderle davanti a chi vuole strappargliele e a guidarle verso i pascoli ubertosi della vita, Gesù esprime la sua solidarietà con gli uomini che vengono costituiti suoi fratelli. Egli raduna “i figli di Dio che erano dispersi”, come il pastore raduna le sue pecore, e custodisce le anime dei credenti nell’ « ovile del Padre ». Realizza così la figura biblica del Messia pastore. Ma la salvezza che egli porta passa attraverso il dolore del Servo sofferente, che come agnello viene portato alla croce (1Pt 2,24) che diventa strumento della nostra vita, perché Gesù dice di « essere venuto perché gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore »(Gv 10,10-11).
Così per gli uomini, la sopportazione paziente della sofferenza ha un modello concreto: Cristo che, soffrendo per noi, ha accettato con fiducia e la passione e la croce per liberarci dai nostri peccati.
Poiché anche per i cristiani, varie situazioni sono oggetto di persecuzione, di ingiustizie, non può mancare in loro l‘atteggiamento fondamentale e decisivo, cioè l’affidamento che rimette la loro causa « a colui che giudica con giustizia », a Dio che tiene conto di tutto. Questa certezza induce anche al timore. Non illudiamoci: Dio ci giudicherà con giustizia e, se anche riusciamo ad ingannare gli uomini, non possiamo certamente Dio.
Vangelo: Gv 10,1-10.
Gesù ci viene presentato dal brano del Vangelo di Giovanni come il pastore ideale che guida i credenti in lui. Gesù, ci dice ancora Giovanni, afferma solennemente che egli è la « porta delle pecore », attraverso la quale esse passano per entrare nell’ovile e per uscire al pascolo. Così con questa immagine Gesù si presenta come mediatore di salvezza: non ci sono altri spazi e altri passaggi di salvezza: « Se uno entra attraverso di me, sarà salvato ». Gesù con la sua opera copre tutta l’area della salvezza. Da lui solo, venuto a dare la vita e a darla in abbondanza con il dono di se stesso, può aversi la salvezza. Cristo è così l’antitesi del ladro, dello sfruttatore. Il Signore risorto è il pastore della Chiesa: ed è solo lui che essa deve ascoltare e di lui seguirne il cammino. Bisogna fare attenzione a non seguire altre voci e altri capi: sono estranei tutti quelli che non passano da lui. Questo è un richiamo a quanti nella Chiesa hanno il ministero, perché rappresentino fedelmente Cristo; ed è un invito a rendere grazie perché nell’episcopato, in comunione con il Papa, siamo sicuri di trovare il segno visibile di Gesù pastore e porta.
L'incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus.
30 – APRILE - 3a DOPMENICA DI PASQUA
L’incontro con i due discepoli di Emmaus.
Con la risurrezione di Gesù inizia il cammino della Chiesa e quello dei due discepoli, che vanno verso Emmaus e lo riconoscono nello spezzare il pane.
Questo cammino rappresenta il percorso di fede che parte dall’ascolto delle Scritture, culmina nello spezzare il pane dell’Eucaristia, memoriale del sacrificio di Cristo, e rimette i discepoli in cammino di testimonianza di quello che hanno sperimentato con il Signore risorto.
I discepoli di Emmaus fanno trasparire delusione e tristezza, perché gli eventi che attendevano non si sono verificati e, perciò, la loro speranza è infranta. Sono frustrati per il fraintendimento che essi hanno della figura del Messia, che non contempla la passione, per cui la notizia della risurrezione di Gesù resta per loro inaccessibile. Essi, mentre si allontanano da Gerusalemme, si allontanano dal luogo della crocifissione, dalla comunità dei discepoli. Conversano e discutono manifestando una memoria conflittuale degli eventi accorsi a Gesù e nel pellegrino, che si accompagna loro lungo il cammino, non riescono a riconoscerlo e comprenderlo risorto.
Il pellegrino, a differenza dei due, interpreta le Scritture e gli eventi partendo dalla gloria: « Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria ?» (Lc 24,26). Gesù inserisce la passione all’interno del piano di salvezza che ha il suo centro nella risurrezione. Egli, con delicatezza, accompagna i due nel cammino di fede, così come la Chiesa è chiamata a fare con gli uomini di oggi, accostandoli, ascoltandoli, camminando con loro e accompagnandoli con pazienza, fino a far loro scoprire la sua presenza: « quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro » (Lc 24,30).
Con il richiamo dell’Ultima Cena, Gesù lega l’Eucaristia agli eventi pasquali e viceversa, rendendoli attuali ed efficaci quando vengono rivissuti nel suo memoriale. Così i discepoli, riconoscendolo nello stesso momento in cui scompare e sostituendo alla vista e percezione fisica la fede in lui, rileggono il loro cammino e la vicenda di Gesù alla luce dell’esperienza del Risorto.
Nella colletta iniziale ci rivolgiamo a Dio dicendo:« O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane ».
La comunità ricostruita.
Incontrare Gesù risorto comporta un ritornare dagli altri fratelli, per raccontare la propria esperienza del Signore e, come i due, « Ritrovare riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro »(Lc 23,33). Così ci si riconosce nella comunione ecclesiale, dalla quale ci si allontana per vari motivi, e che intorno alla fede nel Risorto viene ritessuta.
In tutte le letture della Parola di Dio di questa domenica centrale è la narrazione degli eventi pasquali, con tutte le emozioni e livelli di comprensione propri dei vari personaggi a cui Gesù appare.
Il Cristo risorto è sempre presente nella Chiesa, specialmente nei sacramenti pasquali, cioè nell’Eucaristia. In essa noi lo riconosciamo come il Cristo crocifisso e risorto, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio nel mondo. Lo riconosciamo non separati l’uno dall’altro, ma tutti insieme. La comunità cristiana, che si raccoglie per spezzare il pane, è il segno dell’ « umanità nuova pacificata nell’amore », l’amore che deriva dal Figlio di Dio, « vittima di espiazione per i nostri peccati ».
Siamo fratelli, dotati dell’identica e della più grande dignità che è quella di essere figli di Dio. Parte da qui la carità vicendevole e la speranza di essere un giorno in comunione con Gesù risorto. Rimeditando questo e applicandoci a metterlo in pratica, facciamo l’esperienza della « rinnovata giovinezza dello spirito » di cui parla una colletta. Gli anni che trascorrono possono sì lasciare in noi tracce di vecchiezza, ma non nella vita interiore che già è una condivisione della risurrezione di Gesù.
Prima Lettura: At 2,14.22-33.
Dopo la passione, sopportata per dare compimento alla volontà del Padre nel disegno, misterioso e salvifico, Gesù è risuscitato dal Padre. Così, quello che sembrava un fallimento risulta una riuscita. Ma quel che ora è importante è accogliere tutta la grazia che è contenuta nel mistero della morte e della risurrezione del Cristo redentore. E’ difficile per l’uomo comprendere la ragione per cui Dio abbia scelto il cammino della croce per salvare l’umanità: appartiene al suo segreto insondabile. Di fatto dalla croce fluisce la grazia che ci riconcilia con lui e ci reintegra nel rapporto di amore che Dio aveva stabilito creandoci.
Seconda Lettura: 1 Pt 1,17-21.
La lettura degli eventi pasquali, sui quali siamo chiamati a riflettere, vuole condurci a meditare sui risvolti pratici che essi hanno nella vita dei credenti: la Chiesa, costituita da coloro che accolgono la predicazione apostolica e si fanno battezzare, è la comunità di coloro che credono in Dio e si riconoscono nella comune fede nel Cristo crocifisso e risorto.
Se siamo stati liberati dal peccato con un prezzo altissimo, impensabile: il Sangue di Gesù, ne proviene che siamo stati amati con un amore davvero grande, immenso, poiché il Figlio di Dio, come aveva detto agli apostoli, ha dato per noi la sua vita e ci ha posti in rapporto filiale col Padre (1 Pt 1,21).
L’uomo, è importante agli occhi di Dio, se per liberarlo Gesù è ha sopportato la passione ed è morto in croce. E’ un disegno – come dice san Pietro – che è stato oggetto della scelta divina « già prima della fondazione del mondo »: disegno eterno, manifestatosi negli ultimi tempi « per voi ». E’ per tutti noi, e per ogni uomo che in Gesù è stato concepito e salvato.
Se i cristiani, nel mondo, vivono come stranieri, perché perseguono una patria che non è di questo mondo visibile, ciò non significa che sono alieni. Anzi, il cristiano deve, anche se si sente straniero, partecipare attivamente e con pieno coinvolgimento nella terra dove abita per il bene e la salvezza degli uomini, ma contemporaneamente sa di essere cittadino di un’altra patria, verso cui il cristiano si sente in cammino. Questo è il senso del camminare dei due discepoli del Vangelo verso l’Emmaus, come anche il nostro: siamo lungo la nostra esistenza in cammino, condividendo un tratto di percorso, accompagnati da Gesù che ci spiega le Scritture quando ci sentiamo tristi e sfiduciati e ci fa comprendere, coinvolgendoci, le sue vicende, fino a riconoscerlo risorto quando, nell’Eucaristia, nello spezzar del pane come avvenne nell’Ultima Cena e tutte le volte che la comunità la celebra in sua memoria..
Vangelo: Lc 24,13-35.
I discepoli di Emmaus sono guidati da Gesù a rileggere la Scrittura e a trovarvi che la passione sopportata dal Signore, per entrare nella gloria, non è stato un incidente improvviso e contrario al disegno di Dio, ma ne è stata il compimento. Questa « provvidenza » della passione ora prosegue in noi, non senza suscitare incomprensione a motivo della tardezza e ottusità del nostro cuore. Dobbiamo anche noi tornare alle Scritture per attingervi conforto alla fede e alla speranza. Dobbiamo chiedere a Gesù che sia lui a introdurci in esse e a spiegarcele in modo tale che ci arda il cuore, come ai due discepoli.
Osserviamo poi che Gesù è riconosciuto alla frazione del pane, all’Eucaristia: là è avvertita la sua presenza e la sua compagnia. Spiegazione delle Scritture e frazione del pane: è già la nostra Messa, cui prendiamo parte per poter compiere con Gesù la nostra Pasqua.