





Il Signore è nostra vita e risurrezione.
6 Aprile – V Domenica di Quaresima.
L’amore di Dio e la risurrezione dei morti.
Veniamo abitualmente chiamati « fedeli »; e lo siamo realmente, perchè col battesimo siamo stati « inseriti come membra vive nel Cristo ». E’ soprattutto nella comunione al Corpo e al Sangue del Signore che continua questo inserimento e questa relazione vitale che, se non ci sottrae alla morte fisica un giorno, ci è tuttavia pegno di risurrezione.
La morte, da parte dell’uomo, nonostante i suoi sforzi, può solo essere rimandata fino a sperimentare una breve o lunga agonia. Ma Gesù ha detto di essere venuto « perchè gli uomini abbiamo la vita e l’abbiano in abbondanza ».
Gesù dopo essersi presentato come il Buon Pastore, per non essere lapidato, si allontana da Gerusalemme, ma viene raggiunto dalla notizia della malattia grave del suo amico Lazzaro, fratello di Marta e Maria di Betania. Gesù si prende cura della loro sofferenza e, anche se non si recherà subito a Betania, vi andrà per compiere qualcosa di più grande che la semplice guarigione dalla malattia dell’amico, pur sapendo che la risurrezione di Lazzaro indurrà i suoi nemici alla decisione di ucciderlo, per cui confermerà le sue parole che « il buon Pastore dà la vita per le sue pecore » (Gv 10,11). Così, se la morte dell’amico rimanda alla sua morte e la risurrezione di Lazzaro alla sua risurrezione, la vita a cui è riportato l’amico rimanda alla missione di Gesù di dare la sua vita di Pastore agli uomini: « Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano » ( Gv 10,28).
Ecco perchè Gesù, per il suo amore, libera dalla morte coloro che si lasciano salvare da lui e gli sono fedeli.
Questa fedeltà a lui si manifesta prima nell’essere partecipi attraverso il battesimo « alla passione redentrice » di Gesù, morire come muore un seme; poi, nel tempo della sequela terrena, essere continuamente rinnovati nella vita nuova di grazia dalla forza dello Spirito che viene dall'Eucaristia; e infine divenire partecipi della sua gloriosa risurrezione nel cielo..
La risurrezione di Lazzaro, ultimo segno, il più eccellente, il più evidente della sua identità: « Io sono la risurrezione e la vita », è un segno, un presagio di quanto avverrà per ciascuno di noi, quando saremo richiamati non tanto a un altro tratto di esistenza terrena, ma a quella celeste.
Così, alle soglie della Veglia Pasquale, richiamati di nuovo alla realtà battesimale, evento di grazia con il quale Dio ci ha fatto il dono di passare dalla morte del peccato alla sua vita divina e, innestati in Cristo, che si fa compagno compassionevole della nostra miseria, ci perdona ogni colpa, in una vita rinnovata continuamente dallo Spirito, siamo in cammino verso la vita eterna e alla risurrezione alla fine dei tempi.
Prima Lettura: Ez 37,12-14 .
L’esilio che finisce, i morti a cui è ridonata la vita per la virtù rinnovatrice dello Spirito : era profezia e inizio per Israele, ed è divenuto realtà per noi con la risurrezione di Gesù Cristo. Da lui, asceso alla destra del Padre, riceviamo lo Spirito Santo, e quindi il principio della risurrezione. Anche la conversio-ne, il ritorno in grazia, che avviene sempre per opera dello Spirito, è una vera risurrezione: la gloria sarà il suo compimento e la sua manifestazione. La Quaresima ci è proposta come itinerario di risurrezione.
Seconda Lettura: Rm 8,8-11.
Lo Spirito Santo non sta all’esterno di noi, ma ci è comunicato nell’intimo: « Lo Spirito di Dio abita in noi », dice san Paolo. Se non fosse così, non apparterremmo neppure a Cristo: egli non sarebbe in noi. In realtà essere in grazia vuol dire avere lo Spirito di Gesù e Gesù stesso. Da qui la speranza della risurrezione, a dispetto della mortalità ancora attuale del nostro corpo. Chi ha risuscitato Cristo, risusciterà anche noi, ci renderà conformi a lui nel suo stato glorioso. La fede, oltre le apparenze, ci fa percepire questa straordinaria condizione cristiana; ci fa sperare.
Vangelo: Gv 11,1-45.
Alla notizia dell’arrivo di Gesù, Marta gli corre incontro e, alle parole di Gesù che dice: « Tuo fratello risorgerà », lei professa dapprima la sua fede nella risurrezione escatologica, ma dopo che Gesù dirà: « Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo? » (Gv 11,25-26), precisa la sua fede in lui e risponde : «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo »( Gv 11,27). Subito, allora, Marta corre a chiamare la sorella Maria, compiendo così la sua missione di discepola che crede e testimonia.
Dall’auto-proclamazione di Gesù, capiamo che il suo temporeggiare prima di andare a Betania dicendo:« questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio »(Gv 11,4) e il tempo dei «quattro giorni » trascorso da Lazzaro nella tomba, espressione certa della sua morte, senza alcuna speranza di ritorno in vita, preannunciano che il Signore della vita è più potente della morte, su cui Gesù comanda, gridando in modo autorevole e solenne: la morte è sconfitta.
Lazzaro immagine dell’umanità peccatrice.
Davanti alla tomba di Lazzaro Gesù si commuove fino alla lacrime e, dopo aver pregato, lo richiama alla vita: Lazzaro che esce legato dal sepolcro è immagine dell’umanità sotto il regime della schiavitù del peccato, situazione che si connette alla morte e che è promessa di risurrezione per coloro che credono in Gesù.
L’onnipotenza di Dio viene in soccorso alla fragilità, al dolore umano e se, con i nostri peccati e debolezze, ci affidiamo a Dio, egli, da parte sua, ci libera dal dominio della morte.
Se Cristo richiama Lazzaro dalla tomba è il segno che egli ha il potere sulla morte. Ancora con la venuta di Cristo, e dopo di essa, la morte colpisce l’uomo; Gesù ne sente tutta l’amarezza e la condivide, giungendo a piangere con coloro che piangono lo strappo di una persona amata. Ma la fede dev’essere più forte del pianto: con essa è superata la morte definitiva. Allora neppure questa, che ancora ci prende, ci invade di disperazione: « Io sono la risurrezione e la vita. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E’ tutto qui: essere in comunione con Gesù, mediante la fede che è il vincolo che ci lega a lui ed è come il passaggio dello Spirito. Tutto il resto, come tutte le vicende, compresa la morte fisica, non importa definitivamente.
Cristo, Luce del mondo.
30 Marzo - IV Domenica di Quaresima
Cristo Luce del mondo.
Dio Padre in Gesù tende la mano all’uomo, che così è messo nella possibilità di afferrarla. Sta alla nostra libertà volerlo. Come il cieco nato guarito da Gesù anche noi siamo raggiunti dalla grazia di Dio, ma siamo disponibili a farci illuminare da lui, per crescere in una fede matura?
San Paolo scrive agli Efesini e, illustrando loro la nuova identità derivata dal battesimo, poiché dalle tenebre di prima sono diventati luce nel Signore, li esorta a camminare nella luce di Cristo, che guarisce e giudica. Infatti « tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce »(Ef 5,13).
La guarigione del cieco nato, la cui cecità non deriva da nessun peccato, né personale né dei suoi genitori, è il simbolo di una condizione di cecità di tutta l’umanità: è la situazione di peccatori, precedente e indipendente dal peccato commesso.
Gesù passa, vede il cieco e di sua iniziativa gli fa la grazia della vista. Così compiendo il gesto del fango spalmato sugli occhi, che rimanda all’evento della creazione, egli rifà l’opera divina della creazione e ri-crea il cieco ridandogli la vista. sia nel corpo che dello spirito attraverso la fede.
Inviandolo a lavarsi alla piscina di Siloe, egli chiede al cieco la collaborazione all’evento della sua guarigione, così come nel battesimo, in cui Dio ci fa dono della sua grazia, frutto della sua benevolenza, ci ri-crea e chiede all’uomo di corrispondere al suo dono con una vita illuminata dalla sua luce.
Prima Lettura: 1 Sam 16,1-4.6-7.10-13.
E’ un principio fondamentale, che guida tutte le iniziative di Dio: egli non si lascia impressionare dall’esteriorità: « Non conta quel che vede l’uomo. L’uomo vede l’apparenza, Ma il Signore vede il cuo-re ». E infatti per i suoi disegni sceglie chi è umile, chi è consapevole della propria povertà e confida in lui. Non devono risaltare i nostri meriti, ma la potenza della grazia. Per questo Dio elegge Davide, il più piccolo dei figli di Iesse, così come sceglierà Maria, l’umile ancella del Signore. E’ il capovolgimento esaltato dal Vangelo: l’orgoglio che è rigettato, primo è chi si fa ultimo per amore.
Seconda Lettura: Ef 5,8-14.
La condotta di un cristiano deve essere totalmente limpida da non avere nulla da coprire e da nascondere. Non compie azioni di cui vergognarsi, non cerca la complicità delle tenebre per agire, senza farsi vedere. Egli – dice Paolo – è « luce nel Signore », e quindi si comporta come « figlio della luce », nella quale nascono e maturano i frutti della bontà, della giustizia e della verità. Quella del cristiano è una vita nuova. In Quaresima dobbiamo avere il coraggio di esaminare la nostra condotta alla luce del Vangelo, di scandagliare i luoghi più segreti della coscienza le intenzioni più riposte delle scelte, che forse non riveliamo neppure a noi stessi, come per una istintiva paura.
Vangelo : Gv 9,1-41;
L’evento della guarigione operata da Gesù suscita discussioni e interrogativi: nei vicini, che domandano al cieco chi lo ha guarito e come, e nei farisei, davanti ai quali portano il cieco guarito, che chiedono con quale potere e perché lo abbia fatto. Questi ultimi, esperti in cose religiose, che vogliono conferme ai loro pregiudizi manifestando un’ostilità di fondo nei confronti di Gesù, il quale non rispetterebbe il sabato avendolo guarito, non comprendono che il Sabato è il giorno del compimento della creazione e che il miracolo di ri-creazione compiuto da Gesù ne è conferma, non trasgressione.
I farisei si pongono sempre più in atteggiamento di giudizio nei confronti di Gesù, dei genitori e del cieco. I genitori del cieco, intimiditi dal clima accusatorio dei farisei, declinano ogni responsabilità riguardo alla guarigione del figlio e nemmeno ne gioiscono.
Per il cieco guarito rispondere alle domande dei farisei è il modo con cui può dare testimonianza e crescere nella fede in Gesù, ritenendolo dapprima come profeta e, poiché gli ha aperto gli occhi, riconoscere che in lui opera Dio, diversamente dai farisei che ritengono Gesù un peccatore, perché viola il sabato.
Questi, davanti alla sollecitazione che fa loro il cieco guarito: « Volete forse diventare anche voi suoi discepoli? » , rispondono che, essendo discepoli di Mosè, non sanno di dove sia Gesù. Ma il cieco ribatte: « Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla ».
Gesù da inquisito, si trasforma in giudice, perché il suo miracolo ha diviso i presenti tra coloro che credono e coloro che non credono, fra coloro che riconoscono di essere ciechi e ricevono la vista e coloro che pretendono di vedere e invece sono ciechi, come appare dalla parole di Gesù: « Se foste ciechi, non avreste nessun peccato, ma siccome dite: “Noi vediamo ”, il vostro peccato rimane ».
Peccato e redenzione.
Si possono chiudere gli occhi dinnanzi alla luce; e allora è come se si fosse ciechi. Così è per i farisei-Giudei che, chiudendo gli occhi dinanzi a Cristo, l’unico senza peccato, venuto come Luce del mondo per liberare dalle tenebre del male e per la condanna di chi crede di vedere ed è senza luce, non ne scorgono il mistero. Il vero peccato per loro non è la cecità, ma l’indisponibilità a lasciarsi guarire basata sulla presunzione di essere già vedenti
Davanti a questo atteggiamento di rigetto e di chiusura – che in definitiva è l’orgoglio – non servono neppure i miracoli più stupendi e clamorosi, come non servono, per chi è cieco, i panorami dai colori vivaci e attraenti. Gesù condanna i farisei proprio per la loro pretesa di vedere da sé, per la loro opposizioni a lasciarsi illuminare da lui.
Anche per noi, che abbiamo ricevuto nel battesimo la grazia della luce di Cristo, credere con umile e riconoscente fervore come il cieco, al quale sono stati aperti gli occhi, significa perseverare nella luce per essere autenticamente cristiani.
Crediamo anche noi, se la nostra ricerca della verità è sicura e volenterosa, se non chiudiamo gli occhi dello spirito alla luce di Cristo, se caduti nelle tenebre riconosciamo la nostra cecità, se consideriamo la fede un dono di Dio, perché l’unico vero peccato insanabile è quando non crediamo che Gesù è il Cristo, Luce venuta per illuminarci nel cammino di ritorno a Dio Padre.
La Pasqua è ormai vicina. Dobbiamo affrettarci « con fede viva e generoso impegno ». La fede è viva anzitutto quando ci fa riconoscere Gesù quale Figlio di Dio e inviato dal Padre, così come lo ha riconosciuto il cieco nato. Essa è una grazia, un miracolo che ci apre gli occhi del cuore. E’ il miracolo di Gesù che continua, una guarigione della cecità spirituale, dalle tenebre del peccato, dai « morsi del maligno ».
L’impegno è generoso quando accogliamo l’appello a tornare come figli pentiti al Padre e a riguastare la « la gioia nella cena pasquale dell’Agnel-lo ». Tuttavia una ricchezza di motivi alimenta i nostri pensieri in questo giorno del Signore.
Cristo, fonte d'acqua viva.
23 - Marzo – III Domenica di Quaresima.
Cristo, fonte di acqua viva.
In un mondo pervaso dal peccato e dalle divisione Gesù annunzia la salvezza. Nella incapacità ad essere fedele a Dio e ai valori profondi dell’uomo, la nostra umanità è divisa da appartenenza etniche, religiose e siamo, nella nostra debolezza, invasi dalla sfiducia. Cristo, davanti al peccato dell’uomo, che nella Samaritana ha un prototipo, rivolge verso di lui in suo amore, per renderlo capace di amare Dio e di adorarlo in spirito e verità. Cristo, che è acqua, luce, vita ( simboli di realtà spirituali), in questa Quaresima ci chiama a fare un cammino di conversione e non ci abbandona alla solitudine della nostra colpa. Ci offre la sua misericordia, come un giorno alla Samaritana ha offerto l’ acqua che purifica e rigenera, cioè lo Spirito Santo, che sarebbe scaturito dal suo fianco aperto sulla croce.
L’acqua, come simbolo ambivalente, nella Bibbia, se nel diluvio è stata simbolo apportatrice di morte, solitamente è considerata come il simbolo della vita, della Parola di Dio, della Legge, dello Spirito Santo.
Gesù ancora adesso elargisce « all’umanità riarsa l’acqua viva della grazia », così noi diventiamo « tempio vivo » dell’amore di Dio. Il cammino della conversione, della ripresa interiore, della riparazione della colpa passa attraverso il digiuno, la preghiera e le opere della carità fraterna. Su questa strada – quando non si limita ad essere proclamata nella liturgia, ma diventa esperienza concreta di vita – viene vinto il nostro egoismo e infranta « la durezza della mente e del cuore ».
Prima Lettura: Es 17,3-7.
La sete, che attanaglia gli ebrei che vagano nel deserto, è un banco di prova per la loro fede in Dio e per la fedeltà dell’assistenza di Dio verso il suo popolo. E’ ancora lontananza da Dio ed anche occasione per il manifestarsi della misericordia di Dio, che farà scaturire acqua dalla roccia.
Alla sete della Samaritana corrisponde il progressivo rivelarsi di Gesù, di cui la donna ne comprende l’identità attraverso un crescendo espresso dai titoli che l’evangelista Giovanni usa: giudeo, più grande di Giacobbe, profeta, Cristo.
Anche Gesù ha sete, causata dalla sua missione per la salvezza dell'umanità e per cui assume la natura umana: così nel massimo della sua rivelazione, nell’ora della prova, della sofferenza e della croce, dirà ancora una volta: « Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù prende su di sé la sete della Samaritana e di tutto l’uomo , la sua lontananza da Dio, il suo peccato e la stessa ricerca di Dio. Egli non è venuto per giudicare o condannare l’uomo, ma indica a tutti che la ricerca di Dio non può che passare attraverso il riconoscimento doloroso della propria fragilità e del proprio peccato.
I disagi del deserto insinuano nell’animo degli ebrei la sfiducia, la mormorazione e la contestazione verso Mosè e verso Dio stesso. L’esodo invece che grazia è giudicato gesto irresponsabile:« Ci ha fatti salire dall’Egitto per farci morire! ». Dio placa quella protesta con il miracolo dell’acqua che scaturisce dalla roccia e che è segno della sua presenza in mezzo al popolo liberato.
Non ci sentiamo lontani dagli ebrei in certi momenti della vita, quando pare che Dio ci abbia abbandonato e i miracoli non avvengono. Allora ci deve venire alla mente l’esempio di Gesù nel deserto, la sua fiducia nella Parola di Dio, il suo consenso alla volontà del Padre.
Seconda Lettura : Rm 5,1-2.5-8.
Eravamo peccatori e, ciò nonostante, abbiamo ricevuto da Dio il suo stesso Figlio, Gesù Cristo morto per noi sulla croce. Di fronte a un amore così grande non dobbiamo lasciare spazio ad alcun timore. La speranza ha un fondamento incrollabile e non potrà andare incontro a delusione. Tanto più che questo amore divino « è stato riversato nei nostri cuori » con il dono dello Spirito Santo.
E’ la condizione del cristiano. Solo che spesso non se ne rende conto, e allora si conduce un’esistenza uggiosa, inquieta e insoddisfatta.
Vangelo : Gv 4,5-42.
Gesù, in cammino verso la Samaria, stanco, sì per il viaggio, ma soprattutto per il lavoro apostolico, si siede al pozzo di Giacobbe, dove attende la donna Samaritana, a cui chiede da bere. Egli, però, non ha sete tanto di acqua, quanto della salvezza della donna, a cui promette di dare lui dell’acqua.
E così, via via che la donna samaritana lascia la sua diffidenza e le appare il mistero di Cristo, che non è più lo straniero e il nemico che chiede da bere, ma lui stesso si rivela il « pozzo dell’acqua viva », che è lo Spirito, assetata, gli chiede: « Signore, dammi di quest’acqua, perché io non abbia più sete »( Gv 4,15). E Gesù, per la donna, a conclusione del colloquio, non è tanto un profeta che dice dove Dio va adorato, ma è la Verità, in cui avviene il vero culto e la perfetta adorazione del Padre. E’ la scoperta che anche noi siamo chiamati a fare: Cristo, sorgente dello Spirito che lava le colpe, soddisfa il cuore; Messia al quale ci associamo per dedicarci al Padre con un amore rinnovato dallo Spirito Santo.
La donna, dopo aver trovato la vera acqua, si fa missionaria verso i suoi concittadini: lascia l’anfora con cui attingeva l’acqua materiale, per avere quella che Gesù le dà e che le estingue la sete, e, andando a chiamare gli altri, desidera che anche questi siano dissetati dalla medesima acqua.
Se inizialmente i samaritani vogliono conoscere Gesù per le parole della donna, a cui Gesù aveva detto il suo passato, quando incontrano Gesù anch’essi restano ammirati, lo invitano a restare con loro, e le dicono: « Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo ».
La ricerca spirituale di Dio porta con sé la scoperta della propria umanità nella sua fragilità, per cui solo così ci si può aprire ad accogliere la salvezza, che estingue la fame e la sete di Dio, come scrive Isaia: « Non li colpirà più né la fame né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua »( Is 49-10)
Nel deserto dell’esistenza, in cui si sperimenta la fame e la sete di gioia, di pienezza di vita, di valori perenni e di ricerca di Dio, se la testimonianza dei cristiani può stimolare altri ad andare a Lui, solo con l’esperienza diretta di Dio e sostando con Gesù può estinguersi la sete di Lui, possiamo giungere alla professione di fede e dire come i samaritani: « E’ veramente il salvatore del mondo ».
Ultimo aggiornamento (Sabato 22 Marzo 2014 16:54)
Dio benedice e salva in Gesù.
16 Marzo – 2a Domenica di Quaresima.
Oggi Gesù si rivela a noi nella sua trasfigurazione. Ce lo presenta il Padre come il Figlio amato: è a lui che dobbiamo aderire; è sulla sua parola che la nostra esistenza dev’essere programmata. In lui si conclude tutto l’Antico Testamento con la sua legge e la sua profezia. Ma seguire Cristo vuol dire assumere « nella nostra vita il mistero della croce », sulla quale ci è stato consegnato perché i nostri peccati fossero rimessi. E’ un itinerario difficile, che compiamo nella fede e nella speranza, intravedendo nel nostro pellegrinaggio i riverberi della gloria del Risorto, apparsi in Gesù trasfigurato.
Prima Lettura: Gn 12,1-4
Dio irrompe nella vita di Abramo e gli dischiude orizzonti umanamente nuovi. Abramo, affidandosi a Lui, abbandona le proprie sicurezze, il paese, la casa: è un passato che deve tramontare, perché ormai deve incominciare qualcosa di assolutamente nuovo, una nuova terra, un popolo nuovo con la promessa di un discendente, come segno e luogo della storia della salvezza; un popolo che porta in sé la benedizione di Dio: da lui sarebbe sorto Gesù Cristo, il vertice della discendenza, il senso e il fine del beni promessi ad Abramo.
Abramo, quindi, obbedisce e parte, con coraggio e fiducia in Dio che lo chiama e nel futuro che lo attende secondo il suo progetto: ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita.
Rispondere all’appello di Dio, scommettere e investire la propria vita e il proprio futuro su questo appello, lasciarsi guidare dalla sua Parola, la quale è sempre una chiamata alla conversione, vuol dire credere in Dio, mettersi in crisi nelle proprie certezze, essere sorretti dalla fede che la storia di ognuno e degli uomini non è dominata dal caso ma, come afferma Paolo, da Dio, che « ci ha salvati…secondo il suo progetto e la sua grazia », donandoci la sua grazia e misericordia in Cristo, suo Figlio e inserendoci nella sua volontà salvifica.
Seconda Lettura: 2 Tm 1,8-10.
Non si può essere veri apostoli, veri discepoli di Cristo, se non si soffre per il Vangelo. Paolo invita Timoteo a superare ogni avvilimento e ad accettare questa sofferenza; ma con Timoteo invita anche noi. Del resto, ci aiuta « la forza di Dio ». E’ la forza alla quale ci affidiamo troppo poco; eppure eassa è tale che nessun ostacolo la può piegare.
Quanto al contenuto del Vangelo: esso è la grazia, cioè il disegno di salvezza scelto da Dio, per mezzo di Cristo, fin dall’eternità e reso manifesto con la morte e la risurrezione di Gesù, vincitore della morte e luogo della vita. Ricevere la grazia vuol dire entrare in comunione con questa vita che risiede in Cristo.
Vangelo: Mt 17,1-9.
Nel racconto della Trasfigurazione sul Tabor di Matteo , Mosè ed Elia, la legge e i profeti convengono presso Gesù, poiché ne sono stati la preparazione e l’attesa. Come Mosè, convocato da Dio per ricevere la Legge è salito sul monte Sinai, dove « la gloria del Signore venne a dimorare e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno…», così « Sei giorni dopo …», la professione di fede di Pietro, che lo riconosce come « il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), l’annunzio della sua Passione, che scandalizzò gli apostoli (Mt 16 21) e delle parole dette da Gesù che « il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo » Mt 16 27, sul Tabor, in Gesù trasfigurato, si rivela la gloria di Dio in tutto il suo splendore. Qui i tre apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, saliti con Gesù, sono spettatori e testimoni della rivelazione della divinità di Gesù, finora celata dalla sua umanità. E se, da una parte, Gesù corregge le attese messianiche degli apostoli con l’annunzio della Passione, dall’altra preannunzia gli eventi pasquali con la trasfigurazione.
Anche la voce che proclama « Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo » (Mt 17,5), come era avvenuto nel Battesimo al Giordano, aiuta a comprendere la figura di Gesù come Figlio e Messia del Salmo 2, l’ amato come Isacco, in cui si compiace come del Servo Sofferente di Isaia.
Mosè ed Elia, rappresentanti dell’Antico Testamento, indicano che in esso tutto è preannuncio della figura e dell’opera di Gesù: la Legge, la Profezia, il sacrificio di Isacco, la sofferenza del Servo di Dio e, quindi, la fede in lui deve affrontare lo scandalo della passione.
Gli apostoli, davanti all’evento della trasfigurazione, rimangono estasiati e non vorrebbero allontanarsene, ma la voce dice loro che più che guardarlo trasfigurato deve essere da loro ascoltato.
Poi Gesù, il Figlio di Dio, l’amato, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre, resta solo e, insieme agli apostoli, scende dal monte per riportarli alla vita normale, quotidiana, luogo in cui bisogna ancora ascoltarlo e seguirlo, nell’obbedienza al Padre e nella sua sequela, affrontando i giorni della passione, condizione per giungere alla gloria.
I brevi momenti della trasfigurazione aprono come uno spiraglio sul mistro di Gesù, abitualmente nascosto nella sua vita mortale e che la passione verrà ad oscurare ancora di più. Ma non si dovrà dubitare : nel servizio umile della sua morte Gesù porterà a compimento il disegno di Dio, la fede non dovrà vacillare e venir meno.
Questo tempo di Quaresima è, particolarmente, il « momento opportuno per lasciare che la Parola ci smuova, ci sfidi a scommettere la nostra vita in Dio e ci provochi ad avere fiducia nel futuro di salvezza , iniziato con la morte e la risurrezione di Cristo e che avrà il pieno compimento, anche per il credente, nella stessa gloria di Dio, preannunziata con la trasfigurazione di Gesù sul Tabor.
Ultimo aggiornamento (Sabato 15 Marzo 2014 20:01)
Gesù tentato da Satana nel deserto, vince il male anche per noi.
9 Marzo – Prima Domenica di Quaresima.
La Quaresima è chiamata « segno sacramentale della nostra conversione » . Vuol dire che i giorni che passano e i riti che in essi celebriamo sono richiamo e manifestazione del nostro impegno a rivedere la vita e a giudicarla secondo le esigenze del Vangelo.
Quello di Quaresima è detto « tempo favorevole per la nostra salvezza »; tutti i tempi sono portatori di grazia e quindi invito alla redenzione della vita , ma in Quaresima le esortazioni diventano più pressanti e appassionate: la meditazione sulla nostra colpa si fa più prolungata; il sacrificio della croce fissa più intensamente la contemplazione della Chiesa, mentre i nostri cuori più attentamente sono in ascolto della Parola di Dio. Tutti questi giorni sono sotto la grande attrazione della Pasqua, i cui misteri sono al centro dell’anno liturgico e al culmine della storia della salvezza.
Prima Lettura: Gn 2,7-9. 3,1-7.
Questo testo non è una narrazione storica, ma vi troviamo il perché del peccato che, fin dalle origini, induce l’uomo ad ogni forma di male che sperimentiamo. E’ obbligo morale dell’uomo superare questo limite che non bisogna accettare passivamente e pigramente: tutti siamo chiamati in quanto creature a ricercare il bene nostro e di tutto l’uomo, a perfezionarci e assolvere al compito di maturazione umana. Ma ci ritroviamo con un limite insuperabile che è costitutivo della creatura: accettarsi nello stato di creatura è riconoscersi nella giusta relazione con Dio. Il voler oltrepassare questo limite spinge l’uomo al tentativo di equipararsi a Dio, volersi sostituire a Lui.
Allora: a motivo del demonio e del consenso dell’uomo a tale suggestione, l’uomo stesso diviene peccatore. Il peccato è un atto di diffidenza nei confronti di Dio, di autocompiacenza, di volontà di essere come Dio, misconoscendo la propria condizione di creatura. Invece di fare della creazione motivo di gioioso rendimento di grazie, l’uomo se ne accaparra, come se ne fosse l’autore. Il demonio inculca in Eva il sospetto che Dio abbia proibito di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non perché sarebbero morti, ma perché insinua subdolamente: « Non morirete affatto! Anzi Dio sa che il giorno in cui ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscerete il bene e il male ». Dio viene presentato come nemico della sua creatura. Così con la disobbedienza la relazione armonica e fiduciosa tra Dio e l’uomo viene sostituita da un atteggiamento di rivalsa contro Dio, che lo avrebbe ingannato malevolmente.
Il frutto diventa, così, appetibile sotto tutti gli aspetti e il mangiarlo avrebbe fatto superare il limite creaturale: cadere nella tentazione di mangiarlo non apporta certo in Adamo ed Eva la sazietà del loro desiderio. Così l’uomo si rivolge anche verso le altre creature di Dio non con il giusto rapporto di amministratore della creazione ma come padrone e possessore!
Il risultato è che l’uomo viene sì a conoscere, ma che cosa? La propria nudità, simbolo della propria miseria, che infonde rossore, timore e vergogna.. Ogni nostro peccato conferma e continua il primo peccato.
Ma ormai il pensiero del peccato dev’essere intimamente congiunto con quello della misericordia, cioè con quello della croce di Gesù, dove egli muore, per riportare l’uomo alla vita di figlio di Dio per il dono della grazia. Così Cristo, recuperando l’identità dell’uomo che ha disobbedito al creatore, con la sua obbedienza, da creatura lo rende figlio del Padre celeste e restaura un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità.
Seconda Lettura: Rm 5,12-19.
Il triste cammino del peccato inizia da Adamo, e porta nel mondo la morte. Tutti gli uomini nascono con l’impronta di quella colpa e di quella morte. Ma questo non è il destino vero e ultimo dell’uomo. Al peccato di uno, cioè di Adamo, sopravviene, ben più potente ed efficace, la grazia di uno, cioè di Cristo. Per la ribellione del primo uomo è venuto il male e la condanna, per l’obbedienza del secondo, è venuta la giustificazione. Nella nostra stessa vita deve sopravvenire alla conseguenza del primo peccato, e ai peccati personali che purtroppo già hanno intessuto e, meglio si dovrebbe dire, hanno disfatto la nostra vita, l’abbondanza della grazia. Questi giorni ci preparano alla comprensione rinnovata della croce, sulla quale Gesù ci ha riscattato e ridato la vita.
Vangelo : Mt 4, 1-11.
Gesù non si lascia suggestionare dal diavolo nel deserto. Egli sperimenta nella tentazione del diavolo il limite delle creature e non lo supera, per insegnarci che anche noi possiamo vincere le stesse tentazioni. Non cede come ha fatto Adamo e come ha fatto Israele lungo il suo peregrinare nel deserto. Dopo i quaranta giorni di digiuno « ebbe fame ». Anch’egli, pur essendo stato proclamato al Giordano dal Padre « figlio prediletto in cui si è compiaciuto » sperimenta la debolezza e Satana lo tenta proprio sulla sua dignità filiale: « Se tu sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane ». Ma Gesù lo respinge perché innanzitutto si preoccupa di ascoltare la Parola di Dio e di lasciarsene nutrire, rifiuta anche la via facile del miracolo applaudito, che è un mettere alla prova Dio, e infine reagisce alla prospettiva del potere terreno come compenso dell’adorazione del demonio, perché solo Dio dev’essere adorato; lui solo dev’essere servito.
Entrambi si basano sulla Scrittura, Satana per tentarlo alla disobbedienza e Gesù per respingerlo, interpretandola come criterio della sua relazione filiale.
Queste tentazioni del deserto sono, come tutta intera la sua esistenza, una continua messa alla prova fin sulla croce, su cui la sua obbedienza al Padre è confermata ed è sconfessata la disobbedienza dei progenitori. Così Gesù manifesta la sua conformità alla volontà salvifica del Padre riconciliando l’umanità disobbediente con la sua obbedienza sulla croce, dove appare spoglio di gloria e di potere: ma è quella la via misteriosa della salvezza del mondo.
In questa Quaresima da Cristo riceviamo la forza di vincere le tentazioni, piccolo e grandi che siano , poiché tutte si risolvono in quelle tre che Gesù ha decisamente superato per sé e per noi, dandocene un esempio..