LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE.
10 MARZO - 4a Domenica di Quaresima
Domenica « Laetare» o della gioia.
LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE
L’amore misericordioso di Dio.
In questa domenica la Liturgia ci fa contemplare l’amore misericordioso di Dio Padre, amore che pervade tutto il progetto salvifico di Dio. Nella prima lettura, dopo che gli Israeliti sono usciti dall’Egitto, sono introdotti nella Terra promessa, così come Dio aveva promesso ad Abramo; nella seconda lettura San Paolo ricorda ai Corinzi che per mezzo di Gesù Cristo l’umanità è definitivamente riconciliata con il Padre celeste, per cui ridonda per l’uomo la grazia, il perdono, la bontà e la pace di Dio.
La Parabola della conversione.
Gesù per far comprendere l’invito alla conversione che egli rivolge agli uomini racconta la parabola del “Figlio prodigo ”: « Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre : Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Il padre divise loro le sue sostanze ».
Il più giovane, prendendo la sua parte di eredità, si allontana dalla casa del padre e va in un paese lontano. Quivi, dopo aver sperperato i suoi beni con una vita dissoluta, si ritrova senza nulla e senza amici e, rientrando in sé, riflette sulla sua esperienza negativa. Decide, allora, trovandosi in miseria, costretto a pascolare i porci e ripensando ai salariati che sono in casa di suo padre, di alzarsi, di ritornare dal padre e di riconoscere di aver peccato contro di lui. Ma il padre già lo aspetta e, vedendolo da lontano, gli corre incontro. Davanti alla confessione del figlio che gli si prostra innanzi, lo rialza, lo abbraccia, lo bacia, lo accoglie e, subito, chiamati i servi, ordina loro di preparare una gran festa perché ha ritrovato il figlio perduto. Davanti al figlio maggiore che non vuole partecipare alla festa, perché non ha mai avuto concesso di far festa con i suoi amici e non ha mai disobbedito ai comandi del padre, questi lo supplica ad entrare e a condividere la gioia della festa per aver ritrovato il figlio, il suo fratello, sano e salvo.
L’amore del Padre verso i due figli.
Il padre verso i due figli tiene un atteggiamento di amore e in lui non prevale il rimprovero ma l’accoglienza paterna, il suo perdono e esorta alla gioia per aver potuto riabbracciare il figlio prodigo, che torna nella casa paterna più spinto dalla fame che da un desiderio di pentimento e di amore verso il padre. Il figlio, ricordando i salariati nella sua casa, ritiene di poter avere almeno lo stesso trattamento dei servi, e pensa le parole da dover dire al padre : “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Baratta così la sua dignità di figlio con la possibilità di sopravvivere e di avere un tozzo di pane, di essere servo più che essere considerato un figlio morto e dimenticato. Ma il Padre non ha smesso di amarlo e per questo lo riabbraccia, ordina di rivestirlo, di mettergli l’anello al dito, i sandali ai piedi, di far festa. Così gli dimostra in modo incondizionato che egli è ancora suo figlio.
Anche verso il figlio maggiore, che pur non contesta il suo amore di padre, ma forse il suo modo eccessivo con cui ha riaccolto il fratello, che aveva sperperato la sua parte di eredità, il Padre tiene un comportamento, più che di rimprovero, di benevola esortazione a considerare che è suo tutto quello che vi è in casa, che egli non deve considerarsi salariato, che è necessario far festa e rallegrarsi perché suo fratello che era morto è tornato a vivere con loro. Il Figlio maggiore non riconosce l’amore de Padre verso suo fratello e avrebbe voluto che questi meritava di essere trattato secondo la giustizia umana, come si tratta uno che è, sì perdonato, ma da punire.
La parabola mette in grandissima evidenza l’amore gratuito del padre verso il figlio, di Dio verso gli uomini, che non riconoscendo il suo amore di Padre, si allontanano da lui, ma poi pentiti ritornano, giusti o peccatori che siano. Così, dice Gesù, Dio Padre, agisce con il peccatore che , presa coscienza del suo peccato, ritorna al suo amore. Ma la parabola vuole anche farci comprendere che coloro che si ritengono giusti come il figlio maggiore non possono giudicare o condannare coloro che ritornano pentiti all’abbraccio del Padre celeste, e devono anch’essi aprire il loro cuore all’accoglienza e far festa, come dice Gesù, “ perché si fa più festa in cielo per un peccatore pentito che per non novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Egli è venuto non per i sani ma per i malati e a mostrarci il volto misericordioso dell’amore di Dio.
Prima Lettura. Gn 5,9.10-12
Il cammino dell’esodo di Israele termina con la sua introduzione nella Terra promessa in cui viene celebrata la Pasqua con gli azzimi e non più con la manna. La Pasqua è il memoriale della liberazione che non cesserà di accompagnare Israele ma non come un ricordo di un avvenimento del passato, ma come segno che continua ad assicurare la presenza e la grazia del Signore. Mala liberazione celebrata, è però per l’umanità un inizio e un’immagine, come la terra di Canaan: un’ombra della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha riscattato e liberato dal peccato l’intera umanità dando la speranza che questa sarà introdotta nella vera e definitiva Terra promessa della vita eterna.
La Riconciliazione.
Seconda Lettura : 2 Cor 5,17-21. Se Gesù è morto per noi per amore, la nostra vita deve essere una risposta di donazione al suo amore. Ciò significa essere una nuova creatura, vuol dire lasciarsi riconciliare con Dio, ricevere il perdono come gratuità e senza merito, perchè nel suo Figlio vittima di espiazione dei nostro peccati, ci ha riconciliati con sé e ha posto nella Chiesa i suoi Apostoli come ambasciatori di riconciliazione avendo effuso lo Spirito Santo nella Pentecoste.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
La libertà che l’uomo vuole vivere lontano da Dio è un’illusa e incauta fantasia, perché il punto di arrivo può essere una misera condizione di fame, di stenti, di umiliazione, di vergogna. Allora ritorna alla memoria la condizione perduta e si può riprendere il cammino di risalita in cima alla quale non vi è un meritato castigo, ma l’amore paziente del Padre celeste che non dimentica la sua creatura, i suoi figli prodighi, e li attende per riabbracciarli e riammetterli nella sua casa come figli, restituendoli nella loro dignità. Questa riammissione indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrasi con lo stesso entusiasmo del cuore del Padre, chi ritiene di avere più dei diritti che ringraziamenti da fare: è lo stupore dei farisei che mormorano contro Gesù, perché “accoglie i peccatori e mangia con loro”. La parabola vuole Introdurci a capire il mistero del perdono che Dio concede immisuratamente.
Dio, Padre misericordioso.
3 MARZO - 3a Domenica di Quaresima.
Dio è un Padre misericordioso verso i suoi figli.
Dio, che con li uomini intrattiene un rapporto di amore, dopo il peccato, ha sempre riannodato questo rapporto e, con Noé, con Abramo, con il popolo eletto attraverso Mosè, realizza concretamente la sua salvezza nella storia degli uomini e chiede agli uomini una libera adesione al suo amore.
A Mosè, cresciuto in Egitto, in mezzo al suo popolo schiavo del faraone, Dio, attraverso il roveto ardente, si rivela come il Dio dei Padri, e , nella sua fedeltà, lo invia a compiere la missione della liberazione del popolo oppresso.
La storia della liberazione è la prova della fedeltà di Dio, che, anche davanti alla infedeltà degli Israeliti, dimostra il suo amore misericordioso. Davanti alla gratuità di questo amore, il popolo chiederà sempre segni e prodigi potenti ed efficaci di Dio. Dio ama ugualmente questo popolo dalla “dura cervice e infedele”.
San Paolo nella lettera ai Corinzi, oggi, esorta gli israeliti che sperimentarono nei loro padri la nube di protezione di Dio, il passaggio prodigioso nel Mar Rosso, la manna con cui furono sfamati, l’acqua dalla roccia con cui furono dissetati, ad accogliere Cristo, come roccia spirituale, per non cadere nella tentazione di desiderare “cose cattive, come essi le desiderarono”, a “non mormorare…” per non “cadere vittime dello sterminatore”. Se da una parte Dio verso tutti riversa la sua bontà, è anche vero che non tutti gli uomini rispondono allo stesso modo. E’ possibile vincere la tentazione della mormorazione solo se si è radicati profondamente nella fede in Dio.
Cristo e gli uomini del suo tempo
Gesù, a coloro che lo informano sulla sorte toccata a quei Galilei che furono giustiziati da Pilato, risponde dicendo che quei Galilei non erano più peccatori di coloro che erano morti nel crollo della torre di Siloe, ma invita a convertirsi perché se no si perisce allo stesso modo. Così Gesù vuol correggere la concezione religiosa del tempo per la quale si credeva che le sventure dovevano ritenersi conseguenze del peccato e punizione di Dio. Forse ancora oggi questa convinzione serpeggia nella mentalità di tanti cristiani. Gli eventi negativi devono solo farci riflettere che questi possono verificarsi in qualsiasi momento della vita dell’umanità, sia per cause naturali che per colpa volontaria o involontaria degli uomini, e che devono considerarsi segni e richiami a vivere in continua conversione, per trovarsi sempre pronti a comparire davanti al giudizio di Dio: Gesù quindi parla di peccato in cui tutti ci troviamo e invita alla conversione sotto pena di dannazione. Gesù non vuole stabilire chi è colpevole o meno ma invita ad interrogarsi sui propri atteggiamenti e azioni per guardare avanti e rinnovarsi nella fedeltà a Dio, vivendo il rapporto con Lui in maniera più intensa, convertendosi e dando il giusto senso alla propria esistenza secondo l’esempio di Gesù e secondo la volontà di Dio. La nostra vita deve annunciare qualcosa di diverso e nuovo.
L’invito alla conversione.
La parabola del vignaiolo che conclude la pericope evengelica ci invita a riflettere sulla misericordia di Dio. La supplica del vignaiolo al padrone della vigna perché gli dia la possibilità di zappare e concimare attorno al fico perché porti frutto, rivela il volto misericordioso di Dio che Gesù è venuto ad annunciarci. Dio permette sempre che coloro che sono preposti a coltivare la sua vigna la curino con la sua parola e con i sacramenti, perché ognuno porti frutti secondo la propria indole spirituale e secondo la volontà di Dio.
Convertirsi e portare frutti significa orientare tutta l propria vita secondo le esigenze del vangelo, cosicché esso permei via via tutta la nostra vita, sicuri che solo perdendosi e dandosi ai fratelli come Cristo ognuno ritrova la sua esistenza più piena e realizzata. Se da una parte,allora, la misericordia di Dio attende, dobbiamo sempre ricordare che se non ci convertiamo possiamo tutti perire come ci ammonisce Gesù: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai”.
La conversione, allora, è veramente cristiana se sarà una risposta all’amore di Dio che continuamente ci interpella, se accogliamo il suo perdono che ci rinnova tutte le volte che coscienti del nostro peccato torniamo fiduciosi alla sua misericordia.
Una vita nuova nel Signore
Dio, nella sua grande bontà, attende che noi ritorniamo a Lui. Non si rassegna a perderci. Lascia che con il tempo il fico, la nostra vita, produca i suoi frutti. Questo non deve, però, significare, né che dobbiamo essere impazienti o assillati da idealismi, che ci possono far scoraggiare se non vediamo risultati immediati di conversione e di bene, né che ci culliamo nel nostro peccato e ritardiamo il cambiamento in senso evangelico della nostra vita. Dobbiamo scoprire il volto misericordioso di Dio che scommette sui suoi figli e sulle sue creature proprio quando ormai pare irragionevole sperare qualcosa di buono. Questa è la prospediva di Dio: saper attendere, che il peccatore, come il Figlio prodigo, prenda coscienza del suo male e ritorni fiducioso al suo abbraccio paterno.
Prima lettura : Es 3,1.8.13.15
A Mosè appare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Signore della storia, non un idolo, cui si possa dare un nome e piegare a sé. E’ il Dio delle promesse, il Dio trascendente ma anche così vicino all’uomo, al suo popolo. Un Dio che sente le miserie del suo popolo e decide di liberarlo dalla schiavitù. “IO sono colui che sono!”: l’uomo non può comprenderlo e dominarlo, e pure sarà il redentore, la guida, la sicurezza. Se Israele sarà riscattato con l’esodo,ogni uomo sarà salvato quando “Colui che è” si rivelerà in Gesù, che davanti ai soldati nel Getsemani si proclamerà l’”IO SONO”.
Seconda lettura : 1 Cor 10,1-6.10-12
I segni che accompagnavano il popolo lungo il deserto hanno avuto piena realizzazione in Cristo. Così il lavacro, il cibo, e la bevanda spirituali per la maggior parte del popolo d’Israele non hanno potuto salvarla, a motivo della diffidenza e della mormorazione. Ciò che avvenne ai nostri padri, dice Paolo, è un ammonimento per i Corinzi e per noi, così spesso percorsi dalla ribellione , dalla mormorazione contro Dio, dalla diffidenza e dalla pretesa dei nostri meriti, e anche esposti alla tentazione di infedeltà al dono del Vangelo e della grazia. Senza una adesione interiore, fatta di fede e di opere, nessun atto sacro, nessuna comunione ai sacramenti, ci può veramente salvare.
Vangelo : Lc 13,1-9.
Senza conversione ci ammonisce Gesù si perisce. E tutti ne abbiamo bisogno. La rovina che ci toccherebbe non sarebbe solo quella materiale, sarebbe anche quella definitiva e totale, il fallimento dell’intera vita, in maniera irrevocabile. Sarebbe il castigo per la sterilità e per una esistenza improduttiva, in cui il disegno divino non è stato realizzato. Dio è paziente e per questo nella Quaresima, segno della pazienza di Dio, è insistente l’esortazione a mutar vita. Ma non dobbiamo dimenticare che se non porteremo frutti non potremo godere della salvezza.
Pregare nell'esodo.
24 Febbraio
2a Domenica di Quaresima
PREGARE NELL’ESODO
La luce folgorante della trasfigurazione è legata al buio del Venerdì Santo, giorno della croce. La manifestazione della divinità di Cristo, e quindi della sua gloria, è in qualche modo unita alla sofferenza del corpo crocifisso e morente. Viene da pensare a quante volte un eccessivo trionfalismo ha portato la Chiesa sul monte Tabor, illudendola di potere evitare il buio della passione. La Parola di Dio oggi offre in tutta la sua pienezza l’immagine di un Dio che salva gli uomini, assicurando loro fedeltà per sempre.
La via della croce
Gesù parla con Mosè ed Elia del suo esodo, che sta per compiersi a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano vissuto il loro esodo verso la libertà definitiva attraverso la sofferenza e la persecuzione. Così sarà anche dell’esodo di Gesù, il Messia. Mosè è stato il laeder del primo esodo; Elia ha difeso l’originalità di quell’esperienza al punto tale da diventare il protagonista ideale della rinascita spirituale attesa per il tempo finale ( Ml3,23-24; Sir 48,10). Il nuovo e definitivo esodo sta ora per compiersi con la morte di Gesù a Gerusalemme. Il tema dell’esodo, allora, dice riferimento alla croce: ne è un’anticipazione, un annuncio. E i discepoli percepiscono qualcosa del mistero di Gesù, ma sono lontani dal penetrarlo. Mosè ed Elia rappresentano le Scritture che già avevano annunciato la via del Figlio dell’uomo. Gesù la comprende e vi riconosce il disegno di Dio su di sé. Pietro, Giacomo e Giovanni hanno penetrato la nube, ciò che Mosè non aveva potuto fare, ma pur vedendo e ascoltando, i discepoli non comprendono. Ecco, allora, l’invito dall’alto rivolto ai discepoli:« Ascoltatelo ». Un ascolto che implica il saper cogliere in profondità la logica che guida l’esodo di Gesù a Gerusalemme e il suo compimento. Egli è il Figlio, l’Eletto; eppure la via che deve seguire è la via della croce. Una via che anche il discepolo è chiamato a comprendere e a fare propria.
La trasfigurazione ( o cambiamento d’aspetto) Degli esseri era attesa per la fine dei tempi secondo l’ apocalittica giudaica ( Dn 12,3). Poiché questa trasformazione avviene con Gesù, è segno che questa fine dei tempi è giunta. Il desiderio di Pietro di innalzare tre tende (9,33) fa supporre che l’apostolo ritenesse giunta questa fine dei tempi e che egli si pensasse già introdotto nella dimora celeste simbolizzata dalle tende eterne (16,9). Ma Pietro confonde un anticipo di pienezza con la pienezza!
Ripensare la propria vita
Mentre nella sua vita si vanno accumulando i segni della tragedia che appare prossima, Gesù si rivolge ancora al Padre: « Salì sul monte a pregare ».
La sua manifestazione luminosa nasce nella preghiera. E’ spontaneo chiedersi quale esperienza di dialogo con il Padre viviamo. Nella preghiera si approfondisce la comunione con il Signore riconoscendosi davanti a lui come figli bisognosi. Prega chi ha riposto la sua fiducia in Dio, chi ha occhi capaci di contemplare lo splendore del suo volto. E’ dunque la preghiera il contesto in cui si accoglie la luce. La parola di Dio chiama anche oggi ad una verifica personale e comunitaria, da cui possono scaturire energie nuove e tesi a rinnovare la propria vita spirituale.
Pietro vuole catturare l’aspetto glorioso della vicenda di Gesù. Noi tutti abbiamo la tentazione di mettere le nostre mani su Dio per catturarlo dentro i nostri schemi e le nostre attese. Pietro vuole fare con le sue mani una dimora a Dio. Ma il testo capovolge la prospettiva. Non è l’uomo che costruisce una casa a Dio ma è Dio che si incammina sulle strade dell’uomo, che pone la sua dimora tra di noi. Il Signore ci anticipa anche nella preghiera. E’ questa sconvolgente presenza dentro la nostra storia che deve essere compresa.
E’ a partire da essa che dobbiamo rivedere il nostro modo di intendere Dio, la sua presenza, il suo amore, la sua « onnipotenza ».
La trasfigurazione offre al discepolo un criterio di lettura della vicenda di Gesù: il Messia che si incammina, sofferente e apparentemente sconfitto verso Gerusalemme è il Messia che è nella gloria. Essa, allora, indica al discepolo che è la via della Croce che porta alla risurrezione. Al discepolo che segue il maestro deve essere sufficiente un anticipo di gloria, un lampo che conferma nel cammino. Ora è temo di esodo.
Prima Lettura ( Gn 15,5-12.17-18)
Dio stipula l’alleanza con Abramo fedele…
Abramo si fida di Dio oltre ogni ostacolo e smentita. Dio si impegna con giuramento e prende su di sé la maledizione qualora la sua fedeltà verso Abramo dovesse venir meno.
Salmo 26
Il Salmo esprime – nella prima parte – fiducia nonostante le difficoltà e i pericoli che minacciano il credente. La convinzione profonda che il Signore non abbandona il credente non induce questi ad ignorare paura e difficoltà.
Seconda Lettura ( Fil 3,17-4,1)
Cristo ci trasfigura nel suo corpo glorioso.
L’apostolo esorta i credenti a fidarsi della croce di Cristo e della logica di vita che ne deve conseguire. La carne (intesa come logica mondana) non è destinata alla risurrezione. Solo chi professa il Signore Gesù Cristo come salvatore sarà da lui trasfigurato.
Vangelo (Lc 9,28b-36)
Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò di aspetto.
Siamo al termine del ministero in Galilea. Nella esperienza della « trasfigurazione » Gesù fa comprendere più a fondo come la sua missione non debba seguire la via del messianismo trionfale ma la via della croce. Gesù incompreso ma si incammina deciso verso Gerusalemme.
L'amicizia di Dio.
Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo (Lib. IV, 13, 4-14, 1; Sc 100, 534-540)
L'amicizia di Dio
Nostro Signore, Verbo di Dio, prima condusse gli uomini a servire Dio, poi da servi li rese suoi amici, come disse egli stesso ai discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). L'amicizia di Dio concede l'immortalità a quanti vi si dispongono debitamente.
In principio Dio plasmò Adamo non perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno su cui effondere i suoi benefici. In effetti il Verbo glorificava il Padre, sempre rimanendo in lui, non solamente prima di Adamo, ma anche prima di ogni creazione. Lo ha dichiarato lui medesimo: «Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria, che avevo presso di te prima che il mondo fosse»(Gv17,5).
Egli ci comandò di seguirlo non perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per dare a noi stessi la salvezza. Seguire il Salvatore, infatti, è partecipare della salvezza, come seguire la luce significa essere circonfusi di chiarore.
Chi è nella luce non è certo lui ad illuminare la luce e a farla risplendere, ma è la luce che rischiara lui e lo rende luminoso. Egli non dà nulla alla luce, ma è da essa che riceve il beneficio dello splendore e tutti gli altri vantaggi.
Così è anche del servizio verso Dio: non apporta nulla a Dio, e d'altra parte Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma a quelli che lo servono e lo seguono egli dà la vita, l'incorruttibilità e la gloria eterna. Accorda i suoi benefici a coloro che lo servono per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo seguono, ma non ne trae alcuna utilità.
Dio ricerca il servizio degli uomini per avere la possibilità, lui che è buono e misericordioso, di riversare i suoi benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio. La gloria dell'uomo consiste nel perseverare al servizio di Dio. E per questo il Signore diceva ai suoi dicepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16), mostrando così che non erano loro a glorificarlo, seguendolo, ma che, per il fatto che seguivano il Figlio di Dio, erano glorificati da lui. E ancora: «Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria»(Gv 17, 24).
SOLO AL SIGNORE TUO DIO TI PROSTRERAI!
17 FEBBRAIO
1a Domenica di Quaresima
« SOLO AL SIGNORE TUO DIO TI PROSTRERAI ».
Le letture di questa domenica ci invitano a riscoprire chi è il Dio di Israele e il modo con il quale egli conduce la storia. In questa duplice prospettiva si delinea il cammino del credente: comprendere il volto del Dio di Gesù per seguirlo concretamente.
Nella prima lettura è narrato il centro della fede ebraica: Dio interviene – per primo e gratuitamente – per scegliere il suo popolo; dopo averlo liberato dalla schiavitù d’Egitto, dona al popolo la terra, e al dono occorre rispondere con la lode. La seconda lettura ci invita a proclamare la salvezza che viene da Gesù, il crocifisso risorto. Una salvezza proposta ora non solo ad uno, ma a tutti i popoli : il Dio di Gesù è un Dio per tutti.
Una prospettiva teologica
Nel racconto delle tentazioni abbiamo l’incontro di due personaggi. Da una parte Gesù, « guidato dallo Spirito », e dall’altra il diavolo, l’avversario, colui che verifica la consistenza della fede del credente. Gesù è coinvolto in un dibattito-provocazione-verifica.
Nella prima tentazione è in gioco il significato della filiazione di Gesù, appena proclamata dal Padre (3,22). Gesù è spinto a servirsi del suo potere di Figlio per cercare cibo e nutrimento altrove e diversamente da come il Padre richiede; ma egli rifiuta di fare miracoli e si richiama alla parola di Dio, unico e vero cibo. Gesù afferma non la sua ma l’autorità della Scrittura ( « Sta scritto » ): la sua autorità deriva dalla parola di Dio, non può prescindere da essa; invece di imporre il proprio « io » co-me vorrebbe il tentatore, Gesù si colloca in una relazione di totale fiducia nei confronti del Padre.
Nella seconda tentazione viene proposto a Gesù di ottenere la regalità di questo mondo mediante un atto di adorazione nei confronti del tentatore. Il rifiuto di Gesù attesta che Egli attende dal Padre – e solo da lui – come e quando stabilire la sua regalità sull’universo intero. Al tentatore, che rivendica per sé un culto riservato solo a Dio, Gesù ricorda che esiste una sola signoria: « Il Signore, Dio tuo adorerai . a lui solo renderai culto ».
La terza tentazione è posta da Luca a Gerusalemme che, nella prospettiva di Luca, è il punto culminante del ministero di Gesù. Il tentatore conduce Gesù là dove deve concludere la sua missione e dove si deve decidere la sua accoglienza o il suo rifiuto da parte del popolo giudaico. Se Gesù si gettasse dall’alto del pinnacolo del tempio, egli farebbe sua l’attesa popolare per la quale il Messia avrebbe dovuto imporsi con segni e prodigi. Ora, la via scelta da Gesù comporta l’entrare nella vicenda umana fino in fondo: Messia sì, ma crocifisso.
Convertirsi al Dio di Gesù.
Accettando di morire per rimanere fedele alla logica del dono e del servizio, Gesù diventa l’immagine perfetta del Dio che fa vivere e che dona la vita. Il racconto delle tentazioni non rivela solo la discussione circa il progetto messianico di Gesù; ci indica come l’uomo – che segue la logica scelta da Gesù – è chiamato a vivere per non cedere alla tentazione e per poter adorare il Dio di Gesù. Nelle scelte di Gesù sono offerte, infatti, precise indicazioni al credente. Gesù si manifesta come: l’uomo che rifiuta di essere figlio di Dio annullando la sua umanità, sottraendosi ai limiti della natura e del tempo che sono il tessuto nel quale si snoda tutta la vicenda umana; il credente, che incontra l suo Dio in una Scritura che apre il cammino e sollecita ad un costante rinnovo della fede.
Le tentazioni trovano la loro migliore attualizzazione nella distinzione di un grande teologo russo, Florenskij, il quale sostiene che è molto diverso conoscere le cose e conoscere le persone. Non si può conoscere il Padre, la Persona per eccellenza, secondo mi principi dell’evidenza, volendolo ridurre ad un’idea chiara e distinta. Non si incontra Dio nella pretesa della scienza, che tende sempre ad allontanare il mistero. Dio, come ogni persona, si conosce nella fiducia e, restando in sua compagnia, nella comprensione della sua storia. Si comincia a prestargli fede, poi si mantiene il contatto con lui per scoprire di amare Dio al di sopra di ogni cosa. E’ questo il senso della preghiera.
1a Lettura Dt 26,4-10:Professione di fede del popolo eletto.
Al centro della fede ebraica non sta un’idea di Dio ma un’esperienza storica nella quale in Signore si è fatto conoscere. E il deserto è , nella tradizione biblica, il luogo dove il popolo verificherà la propria fiducia nel Dio liberatore. Si scontrano così due progetti: quello di Dio e quello,legato alle speranze degli uomini.
Sal Resp. 90;
L’inizio del salmo è un invito alla professione di fede;Dio agisce in favore dei suoi fedeli, ma questo intervento non sottrae ai conflitti, alle situazioni difficili.
2a Lettura Rm 10,8-13: Professione di fede per chi crede in Cristo.
Il testo della lettera ai Romani ci presenta la professione di fede del cristiano. Egli è invitato a proclamare che Gesù è il Signore e che Dio è intervenuto nella sua storia - una storia che sembrava chiusa sul legno della croce – risuscitandolo dalla morte. Non basta credere a tutto ciò: è necessario proclamarlo, annunciarlo.
Vangelo 4,1-13: Gesù fu guidato dallo Spirito nel deserto e tentato dal diavolo.
Nel racconto di Luca sia il tentatore sia Gessi richiamano alla Scrittura. Ma solo il modo con il quale Gesù legge e interpreta la Scrittura permette il manifestarsi il volto del Dio di Israele e del Dio di Gesù. L’interpretazione della Parola fatta da Satana è, invece, una tentazione dalla quale anche i credenti non sono esenti.
Ultimo aggiornamento (Domenica 17 Febbraio 2013 14:15)