Domenica delle Palme. celebriamo Cristo Re, osannato e Crocifisso.
24 MARZO – DOMENICA DELLE PALME - 2a Domenica di Passione.
GESU’ CRISTO, FIGLIO DI DIO e SIGNORE CROCIFISSO.
Con la Domenica delle Palme la Chiesa inizia solennemente la Settima Santa che culmina con il TRIDUO PASQUALE in cui si celebra il Mistero della Morte e Risurrezione di CRISTO SIGNORE.
Dopo il cammino quaresimale, in cui con la conversione e la Penitenza siamo stati portati a contemplare la vicenda terrena di Gesù nella sua morte e risurrezione, il Triduo Pasquale ci fa rivivere il mistero dell’obbedienza totale di Cristo al Padre, prefigurata dal Servo di Jawhè, servo sofferente e perseguitato, ma fedele anche davanti agli insulti dei flagellatori, davanti ai quali, sorretto da Dio, resta saldo.
Il mistero della Croce.
La Passione di Gesù raccontata da Luca, è al centro della Litugia della Parola. E se la nostra attenzione in qualche maniera, nella prima parte, è attratta dall’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme osannato come il Figlio di David dalla folla ,festante, il racconto della Passione di Gesù, delle sue sofferenze sopportate pazientemente, ci riporta alla concretezza di ciò che ha sofferto colui che è stato vivino agli ammalati, si è chinato su ogni forma di sofferenza. Egli stesso sperimenta l’angoscia del tradimento, il dolore, la morte e la sconfitta del suo sforzo di salvare il suo popolo.
Nel pianto per l’amico Lazzaro egli ci mostra il suo amore per gli uomini e nel rifiuto da parte di Gerusalemme la sua profonda tristezza. Davanti a questi eventi Gesù non è passivo né si rassegna ma guarisce e opera il bene a coloro che incontra. Cosi nella solidarietà e nella liberazione da tutto ciò affligge l’uomo Gesù lotta contro ogni forma di male di cui l’uomo soffre. Ma le scelte operate da Gesù si tramutano in scandalo: Egli che viene a liberare i poviri e i sofferenti fa l’esperienza della sconfitta, del silenzio di Dio, della morte. Così colui che si presenta come il buon pastore diventa l’Agnello che si immola, il seminatore diventa il grano che muore, il Signore diventa il Servo sofferente che prende su di sé le nostre colpe. Gesù, allora, appare come uno sconfitto e come il “maledetto da Dio”, come è detto nel Deuteronomio:« Maledetto colui che pende dal legno »(Dt 21,21-23).
Il silenzio e la fiducia di Gesù che scandalizzano.
Davanti a Cristo crocifisso i suoi nemici possono trionfare perché hanno eliminato un in inopportuno e sembra che Dio stesso avalli il loro successo. Gesù in croce da una parte e il Padre dall’altra sono al centro di una tensione: da una parte c’è chi vuol crede a condizione che Gesù scenda dalla croce, poiché ha detto di essere Figlio di Dio, dall’altra chi crede proprio perché vi rimane, come il centurione che vedendolo spirare in quel modo dice:« Davvero costui era Figlio di Dio !». Gesù domanda al Padre perché lo abbia abbandonato, ma il Egli tace e la voce del battesimo e del Tabor non risponde.
Sul Calvario viene cancellata l’immagine di un Dio che interviene miracolosamente nella storia degli uomini per porre fine alle sofferenze. La morte reale di Gesù contesta tutte le false immagini di Dio e l’affidamento di Gesù al Padre, nelle cui mani rassegna il suo spirito, diventa il gesto supremo della obbedienza a Lui, ma anche il gesto di un Dio che manifesta il suo supremo amore per gli uomini. Si comprende, allora, perché il mistero della croce ci avvicina a Dio in modo totalmente diverso e sorprendente. Esso mette in risalto il mistero che si fa conoscere come l’inconoscibile, che domanda di accettarlo nella sua imprevedibilità, nella sua realtà scandalosa: si dona totalmente fino alla morte di croce. Gesù che muore in croce è l’uomo che fa la massima esperienza e dell’amore di Dio, di un amore di autentica donazione.
Un Dio che sconcerta.
Gesù in tutta la sua vita ha cercato di ristabilire la verità su Dio e sull’uomo. Se Gesù, nel dono totale di sé, è la definitiva parola di Dio, e nella Passione egli è l’irradiazione della gloria del Padre, l’impronta della sua potenza e della sua sostanza, se egli è non solo il volto imano di Dio, ma è anche perfettamente uno con il Padre, allora dobbiamo purificare tutte le nostre precomprensioni su Dio, le nostre false e rassicuranti immagini che abbiamo di Lui.
Non dobbiamo riconoscere altro Dio se non quello che si manifesta così vulnerabile nella vicenda della morte del suo Cristo. Una tale rivelazione ci interpella radicalmente: qual è dunque questo Dio che si dice e si dona attraverso la morte di Colui che egli manifesta come suo Figlio?
Questo mistero è oggi al centro della fede che celebriamo: Gesù è il Re che osanniamo, ma è un re crocifisso per amore!
Solennita' di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria.
19 marzo - Solennità di San Giuseppe,
Sposo della Vergine Maria
Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 11, 1-16
La fede dei santi padri
Fratelli, la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede.
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di essere stato gradito a Dio (Gn 5, 24; Sir 44, 16). Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano.
Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare (Gn 15, 5; 22, 17; 32, 12. 13).
Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.
Responsorio Cfr. Rm 4, 20. 22; Gc 2, 22
R. Fiducioso nella promessa di Dio, non vacillò, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio. * Questo gli fu accreditato come giustizia (T. P. alleluia).
V. La fede cooperava con le opere di lui, e per le opere quella fede divenne perfetta.
R. Questo gli fu accreditato come giustizia (T. P. alleluia).
Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Bernardino da Siena, sacerdote
(Disc. 2 su san Giuseppe; Opera 7, 16. 27-30)
Il fedele nutrizio e custode
Regola generale di tutte le grazie singolari partecipate a una creatura ragionevole è che quando la condiscendenza divina sceglie qualcuno per una grazia singolare o per uno stato sublime, concede alla persona così scelta tutti i carismi che le sono necessari per il suo ufficio. Naturalmente essi portano anche onore al prescelto. Ecco quanto si è avverato soprattutto nel grande san Giuseppe, padre putativo del Signore Gesù Cristo e vero sposo della regina del mondo e signora degli angeli. Egli fu scelto dall'eterno Padre come fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, il Figlio suo e la sua sposa, e assolse questo incarico con la più grande assiduità. Perciò il Signore gli dice: Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore (cfr. Mt 25, 21).
Se poni san Giuseppe dinanzi a tutta la Chiesa di Cristo, egli è l'uomo eletto e singolare, per mezzo del quale e sotto il quale Cristo fu introdotto nel mondo in modo ordinato e onesto. Se dunque tutta la santa Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché fu stimata degna di ricevere Cristo per mezzo di lei, così in verità dopo di lei deve a Giuseppe una speciale riconoscenza e riverenza.
Infatti egli segna la conclusione dell'Antico Testamento e in lui i grandi patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso. Invero egli solo poté godere della presenza fisica di colui che la divina condiscendenza aveva loro promesso.
Certamente Cristo non gli ha negato in cielo quella familiarità, quella riverenza e quell'altissima dignità che gli ha mostrato mentre viveva fra gli uomini, come figlio a suo padre, ma anzi l'ha portata al massimo della perfezione.
Perciò non senza motivo il Signore soggiunge: «Entra nella gioia del tuo Signore». Sebbene sia la gioia della beatitudine eterna che entra nel cuore dell'uomo, il Signore ha preferito dire: «Entra nella gioia», per insinuare misticamente che quella gioia non solo è dentro di lui, ma lo circonda ed assorbe da ogni parte e lo sommerge come un abisso infinito.
Ricòrdati dunque di noi, o beato Giuseppe, ed intercedi presso il tuo Figlio putativo con la tua potente preghiera; ma rendici anche propizia la beatissima Vergine tua sposa, che è madre di colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli infiniti. Amen.
5a DOMENICA DI QUARESIMA.
17 MARZO – 5a DOMENICA DI QUARESIMA
« Chi è senza peccato scagli la prima pietra ».
Il primato del perdono di Dio è ancora al centro della Parola di Dio di questa domenica. Il perdono di Dio riscatta l’uomo dal peccato di superbia e dall’egoismo in cui si rinchiude. L’agire di Dio con il suo amore sta sempre prima dell’agire dell’uomo e lo accompagna anche quando l’uomo ricade nel peccato. Il rinnegamento che l’uomo fa di Dio non riesce a flettere la fedeltà dell’amore che Dio ha per lui, perché questo amore è talmente profondo che non è soggetto a variazioni umorali o libertari da cui l’uomo può essere influenzato.
Nella prima lettura viene ricordato ai deportati in Babilonia che la fedeltà di Dio, come è avvenuto nell’Esodo, continuerà ad intervenire per liberarli e condurli nella terra promessa.
San Paolo ci ricorda che Gesù, a cui egli ha creduto, ha dato nuovo senso alla sua vita, per cui ritiene come spazzatura le cose di prima di fronte alla salvezza ottenuta per la fede in Cristo e non per l’osservanza della Legge. E’ dono gratuito di Dio la giustizia che proviene da lui, per cui possiamo conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze che ci rendono conformi a lui e ci danno la speranza di di giungere alla risurrezione.
Una donna accusata per la sua violazione della Legge
Una donna accusata di flagrante adulterio è al centro del brano evangelico di Giovanni: una peccatrice, adultera, giudicata da un tribunale che l’ha processata e per la quale bisogna applicare il verdetto della lapidazione previsto dalla legge di Mosè.
A Gesù, che gli scribi e farisei riconoscono come Maestro, viene chiesto un pronunciamento sul caso per cui lo stanno interpellando, anche se già avevano deciso sulla punizione che dovevano dare alla donna, dovendo applicarsi la legge di cui essi sono rigorosi osservanti. Essi ragionavano: se avesse perdonato alla donna lo avrebbero accusato di porsi contro l’osservanza della Legge, se l’avesse condannata gli avrebbero rinfacciato la contraddizione tra il perdono proclamato nella sua predicazione e il suo agire.
Ma Gesù riesce a svincolarsi dalla provocazione dei farisei e, impassibile davanti all’atteggiamento di condanna degli accusatori, dice in modo lapidario :”Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Non sappiamo cosa Gesù abbia scritto sulla sabbia. Se il peccato pone l’uomo contro Dio e il peccatore resta nel male è destinato a rimanere nella polvere da cui è stato tratto. Il perdono di Dio invece rinnova l’uomo e lo rende nuova creatura.
Gesù esorta la donna ad andare e a non peccare più.
Dio, con il perdono, offre all’uomo una novità di vita. Allora anche l’osservanza della Legge ritrova il suo significato, perché Cristo è venuto a far nuova ogni cosa. Egli ridà il cuore nuovo, come si dice nel salmo 50, rinnovato dal suo Spirito.
Un orizzonte nuovo oggi ci offre la Parola del Vangelo perché il Signore ci chiama a vivere nella gioia del perdono e di una vita nuova di comunione e di amore con Lui. Ecco perché la Quaresima dobbiamo sentirla come un tempo che viene dato per una rigenerazione interiore e liberare in noi una forza di cambiamento che ci rinnova:
« Va’ e non peccare più ».
Incontrare Gesù, allora, significa iniziare un cammino spirituale che ci fa imitare Lui, uomo nuovo. Egli ci offre il modello di uomo, riconciliato con Padre, disposto a vivere il suo rapporto di figlio.
Ecco perché nella Domenica di Pasqua, dice la Liturgia, vi è una nuova creazione, in quanto con Cristo risorto l’uomo può risorgere a vita nuova e con lui tutta la creazione risorge. E ogni domenica, nel ricordo dell’evento della risurrezione, noi celebriamo la gioia di essere risorti con Cristo.
« Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei ».
Gesù mette gli accusatori della donna adultera davanti alla loro coscienza. Questi, ritenendosi giusti in modo legale, hanno dimenticato che la vera giustizia è quella che viene da Dio, e solo se si è giusti, cioè senza peccato davanti a Dio, allora potremmo arrogarci il diritto di operare al suo posto. Solo Gesù, il solo giusto, avrebbe potuto operare in tal senso. Ma la giustizia di Dio e la sua misericordia non sono per condannare ma per perdonare come disse Gesù al paralitico : “ti sono rimessi i tuoi peccati ”; ma il gesto di Gesù aveva scandalizzato coloro che erano attorno a Lui. Il perdono che Dio dona al peccatore lo fa uscire dal suo passato e lo apre ad un rapporto di amore con Lui e con i fratelli, lo orienta verso una identità di figlio e di fratello. Il perdono non nega la presenza del peccato, ma riafferma la potenza dell’amore misericordioso e costante di Dio che sa andare oltre il peccato e la debolezza dell’uomo. La proposta che oggi il Vangelo ci offre è quella di saper andar, come fa Dio, oltre la semplice logica legale umana e ci fa aprire alla speranza che tutti davanti a Dio, essendo peccatori, siamo oggetto del suo amore. A Dio spetta la prima e l’ultima parola sulle sue creature e sui suoi figli. A noi spetta solo testimoniare questa gratuità di Dio nella nostra vita: siamo stati creati e redenti, al di là dei nostri limiti e debolezze, dall’amore di Dio.
Prima Lettura : Is 43,16-21.
Il profeta, davanti alle paure del popolo esiliato, lo invita ad aprirsi alla novità di che sta per manifestarsi. Il ricordo degli interventi di Dio nella loro storia dovrebbe dare loro speranza che Egli non viene meno alle sue promesse.
Salmo 125.
La gioia del ritorno suscita nei deportati gioia ed esultanza. Essi sono invitati a rallegrarsi, come avviene per i torrenti del Negheb, al sopraggiungere delle piogge, perché il Signore compie grandi cose, prepara per loro, dopo le lacrime, la gioia di sentirsi liberati dai mali presenti e di godere dei benefici della sua assistenza benefica.
Seconda Lettura: Fil 3,8-14.
Paolo, ricordando i privilegi di cui aveva goduto nella sua vita passata, riconosce che, dopo aver sperimentato la grazia di Dio in Gesù e il suo amore, tutto il suo passato è da considerarsi come spazzatura di cui liberarsi. La sua esistenza è ora protesa verso una meta : la pienezza della risurrezione, verso cui corre per conquistarla, essendo stato conquistato da Cristo.
Vangelo : Gv 8,1-11.
La giustizia che l’uomo deve ricercare non è tanto quella che deriva dall’osservanza farisaica ed esteriore della Legge, quanto quella che deriva dalla fede in Dio e dal suo perdono accolto nel riconoscimento del proprio peccato. E’ questo il nuovo orizzonte esistenziale che Gesù vuol farci comprendere: nell’incontro con Lui è data la novità della vita. Bisogna osservare la Legge di Dio dopo essere rinati a questa dimensione nuova dell’esistenza. “ Non pensate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto” ( Mt 5,1718).
LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE.
10 MARZO - 4a Domenica di Quaresima
Domenica « Laetare» o della gioia.
LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE
L’amore misericordioso di Dio.
In questa domenica la Liturgia ci fa contemplare l’amore misericordioso di Dio Padre, amore che pervade tutto il progetto salvifico di Dio. Nella prima lettura, dopo che gli Israeliti sono usciti dall’Egitto, sono introdotti nella Terra promessa, così come Dio aveva promesso ad Abramo; nella seconda lettura San Paolo ricorda ai Corinzi che per mezzo di Gesù Cristo l’umanità è definitivamente riconciliata con il Padre celeste, per cui ridonda per l’uomo la grazia, il perdono, la bontà e la pace di Dio.
La Parabola della conversione.
Gesù per far comprendere l’invito alla conversione che egli rivolge agli uomini racconta la parabola del “Figlio prodigo ”: « Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre : Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Il padre divise loro le sue sostanze ».
Il più giovane, prendendo la sua parte di eredità, si allontana dalla casa del padre e va in un paese lontano. Quivi, dopo aver sperperato i suoi beni con una vita dissoluta, si ritrova senza nulla e senza amici e, rientrando in sé, riflette sulla sua esperienza negativa. Decide, allora, trovandosi in miseria, costretto a pascolare i porci e ripensando ai salariati che sono in casa di suo padre, di alzarsi, di ritornare dal padre e di riconoscere di aver peccato contro di lui. Ma il padre già lo aspetta e, vedendolo da lontano, gli corre incontro. Davanti alla confessione del figlio che gli si prostra innanzi, lo rialza, lo abbraccia, lo bacia, lo accoglie e, subito, chiamati i servi, ordina loro di preparare una gran festa perché ha ritrovato il figlio perduto. Davanti al figlio maggiore che non vuole partecipare alla festa, perché non ha mai avuto concesso di far festa con i suoi amici e non ha mai disobbedito ai comandi del padre, questi lo supplica ad entrare e a condividere la gioia della festa per aver ritrovato il figlio, il suo fratello, sano e salvo.
L’amore del Padre verso i due figli.
Il padre verso i due figli tiene un atteggiamento di amore e in lui non prevale il rimprovero ma l’accoglienza paterna, il suo perdono e esorta alla gioia per aver potuto riabbracciare il figlio prodigo, che torna nella casa paterna più spinto dalla fame che da un desiderio di pentimento e di amore verso il padre. Il figlio, ricordando i salariati nella sua casa, ritiene di poter avere almeno lo stesso trattamento dei servi, e pensa le parole da dover dire al padre : “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Baratta così la sua dignità di figlio con la possibilità di sopravvivere e di avere un tozzo di pane, di essere servo più che essere considerato un figlio morto e dimenticato. Ma il Padre non ha smesso di amarlo e per questo lo riabbraccia, ordina di rivestirlo, di mettergli l’anello al dito, i sandali ai piedi, di far festa. Così gli dimostra in modo incondizionato che egli è ancora suo figlio.
Anche verso il figlio maggiore, che pur non contesta il suo amore di padre, ma forse il suo modo eccessivo con cui ha riaccolto il fratello, che aveva sperperato la sua parte di eredità, il Padre tiene un comportamento, più che di rimprovero, di benevola esortazione a considerare che è suo tutto quello che vi è in casa, che egli non deve considerarsi salariato, che è necessario far festa e rallegrarsi perché suo fratello che era morto è tornato a vivere con loro. Il Figlio maggiore non riconosce l’amore de Padre verso suo fratello e avrebbe voluto che questi meritava di essere trattato secondo la giustizia umana, come si tratta uno che è, sì perdonato, ma da punire.
La parabola mette in grandissima evidenza l’amore gratuito del padre verso il figlio, di Dio verso gli uomini, che non riconoscendo il suo amore di Padre, si allontanano da lui, ma poi pentiti ritornano, giusti o peccatori che siano. Così, dice Gesù, Dio Padre, agisce con il peccatore che , presa coscienza del suo peccato, ritorna al suo amore. Ma la parabola vuole anche farci comprendere che coloro che si ritengono giusti come il figlio maggiore non possono giudicare o condannare coloro che ritornano pentiti all’abbraccio del Padre celeste, e devono anch’essi aprire il loro cuore all’accoglienza e far festa, come dice Gesù, “ perché si fa più festa in cielo per un peccatore pentito che per non novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Egli è venuto non per i sani ma per i malati e a mostrarci il volto misericordioso dell’amore di Dio.
Prima Lettura. Gn 5,9.10-12
Il cammino dell’esodo di Israele termina con la sua introduzione nella Terra promessa in cui viene celebrata la Pasqua con gli azzimi e non più con la manna. La Pasqua è il memoriale della liberazione che non cesserà di accompagnare Israele ma non come un ricordo di un avvenimento del passato, ma come segno che continua ad assicurare la presenza e la grazia del Signore. Mala liberazione celebrata, è però per l’umanità un inizio e un’immagine, come la terra di Canaan: un’ombra della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha riscattato e liberato dal peccato l’intera umanità dando la speranza che questa sarà introdotta nella vera e definitiva Terra promessa della vita eterna.
La Riconciliazione.
Seconda Lettura : 2 Cor 5,17-21. Se Gesù è morto per noi per amore, la nostra vita deve essere una risposta di donazione al suo amore. Ciò significa essere una nuova creatura, vuol dire lasciarsi riconciliare con Dio, ricevere il perdono come gratuità e senza merito, perchè nel suo Figlio vittima di espiazione dei nostro peccati, ci ha riconciliati con sé e ha posto nella Chiesa i suoi Apostoli come ambasciatori di riconciliazione avendo effuso lo Spirito Santo nella Pentecoste.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
La libertà che l’uomo vuole vivere lontano da Dio è un’illusa e incauta fantasia, perché il punto di arrivo può essere una misera condizione di fame, di stenti, di umiliazione, di vergogna. Allora ritorna alla memoria la condizione perduta e si può riprendere il cammino di risalita in cima alla quale non vi è un meritato castigo, ma l’amore paziente del Padre celeste che non dimentica la sua creatura, i suoi figli prodighi, e li attende per riabbracciarli e riammetterli nella sua casa come figli, restituendoli nella loro dignità. Questa riammissione indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrasi con lo stesso entusiasmo del cuore del Padre, chi ritiene di avere più dei diritti che ringraziamenti da fare: è lo stupore dei farisei che mormorano contro Gesù, perché “accoglie i peccatori e mangia con loro”. La parabola vuole Introdurci a capire il mistero del perdono che Dio concede immisuratamente.
Dio, Padre misericordioso.
3 MARZO - 3a Domenica di Quaresima.
Dio è un Padre misericordioso verso i suoi figli.
Dio, che con li uomini intrattiene un rapporto di amore, dopo il peccato, ha sempre riannodato questo rapporto e, con Noé, con Abramo, con il popolo eletto attraverso Mosè, realizza concretamente la sua salvezza nella storia degli uomini e chiede agli uomini una libera adesione al suo amore.
A Mosè, cresciuto in Egitto, in mezzo al suo popolo schiavo del faraone, Dio, attraverso il roveto ardente, si rivela come il Dio dei Padri, e , nella sua fedeltà, lo invia a compiere la missione della liberazione del popolo oppresso.
La storia della liberazione è la prova della fedeltà di Dio, che, anche davanti alla infedeltà degli Israeliti, dimostra il suo amore misericordioso. Davanti alla gratuità di questo amore, il popolo chiederà sempre segni e prodigi potenti ed efficaci di Dio. Dio ama ugualmente questo popolo dalla “dura cervice e infedele”.
San Paolo nella lettera ai Corinzi, oggi, esorta gli israeliti che sperimentarono nei loro padri la nube di protezione di Dio, il passaggio prodigioso nel Mar Rosso, la manna con cui furono sfamati, l’acqua dalla roccia con cui furono dissetati, ad accogliere Cristo, come roccia spirituale, per non cadere nella tentazione di desiderare “cose cattive, come essi le desiderarono”, a “non mormorare…” per non “cadere vittime dello sterminatore”. Se da una parte Dio verso tutti riversa la sua bontà, è anche vero che non tutti gli uomini rispondono allo stesso modo. E’ possibile vincere la tentazione della mormorazione solo se si è radicati profondamente nella fede in Dio.
Cristo e gli uomini del suo tempo
Gesù, a coloro che lo informano sulla sorte toccata a quei Galilei che furono giustiziati da Pilato, risponde dicendo che quei Galilei non erano più peccatori di coloro che erano morti nel crollo della torre di Siloe, ma invita a convertirsi perché se no si perisce allo stesso modo. Così Gesù vuol correggere la concezione religiosa del tempo per la quale si credeva che le sventure dovevano ritenersi conseguenze del peccato e punizione di Dio. Forse ancora oggi questa convinzione serpeggia nella mentalità di tanti cristiani. Gli eventi negativi devono solo farci riflettere che questi possono verificarsi in qualsiasi momento della vita dell’umanità, sia per cause naturali che per colpa volontaria o involontaria degli uomini, e che devono considerarsi segni e richiami a vivere in continua conversione, per trovarsi sempre pronti a comparire davanti al giudizio di Dio: Gesù quindi parla di peccato in cui tutti ci troviamo e invita alla conversione sotto pena di dannazione. Gesù non vuole stabilire chi è colpevole o meno ma invita ad interrogarsi sui propri atteggiamenti e azioni per guardare avanti e rinnovarsi nella fedeltà a Dio, vivendo il rapporto con Lui in maniera più intensa, convertendosi e dando il giusto senso alla propria esistenza secondo l’esempio di Gesù e secondo la volontà di Dio. La nostra vita deve annunciare qualcosa di diverso e nuovo.
L’invito alla conversione.
La parabola del vignaiolo che conclude la pericope evengelica ci invita a riflettere sulla misericordia di Dio. La supplica del vignaiolo al padrone della vigna perché gli dia la possibilità di zappare e concimare attorno al fico perché porti frutto, rivela il volto misericordioso di Dio che Gesù è venuto ad annunciarci. Dio permette sempre che coloro che sono preposti a coltivare la sua vigna la curino con la sua parola e con i sacramenti, perché ognuno porti frutti secondo la propria indole spirituale e secondo la volontà di Dio.
Convertirsi e portare frutti significa orientare tutta l propria vita secondo le esigenze del vangelo, cosicché esso permei via via tutta la nostra vita, sicuri che solo perdendosi e dandosi ai fratelli come Cristo ognuno ritrova la sua esistenza più piena e realizzata. Se da una parte,allora, la misericordia di Dio attende, dobbiamo sempre ricordare che se non ci convertiamo possiamo tutti perire come ci ammonisce Gesù: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai”.
La conversione, allora, è veramente cristiana se sarà una risposta all’amore di Dio che continuamente ci interpella, se accogliamo il suo perdono che ci rinnova tutte le volte che coscienti del nostro peccato torniamo fiduciosi alla sua misericordia.
Una vita nuova nel Signore
Dio, nella sua grande bontà, attende che noi ritorniamo a Lui. Non si rassegna a perderci. Lascia che con il tempo il fico, la nostra vita, produca i suoi frutti. Questo non deve, però, significare, né che dobbiamo essere impazienti o assillati da idealismi, che ci possono far scoraggiare se non vediamo risultati immediati di conversione e di bene, né che ci culliamo nel nostro peccato e ritardiamo il cambiamento in senso evangelico della nostra vita. Dobbiamo scoprire il volto misericordioso di Dio che scommette sui suoi figli e sulle sue creature proprio quando ormai pare irragionevole sperare qualcosa di buono. Questa è la prospediva di Dio: saper attendere, che il peccatore, come il Figlio prodigo, prenda coscienza del suo male e ritorni fiducioso al suo abbraccio paterno.
Prima lettura : Es 3,1.8.13.15
A Mosè appare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Signore della storia, non un idolo, cui si possa dare un nome e piegare a sé. E’ il Dio delle promesse, il Dio trascendente ma anche così vicino all’uomo, al suo popolo. Un Dio che sente le miserie del suo popolo e decide di liberarlo dalla schiavitù. “IO sono colui che sono!”: l’uomo non può comprenderlo e dominarlo, e pure sarà il redentore, la guida, la sicurezza. Se Israele sarà riscattato con l’esodo,ogni uomo sarà salvato quando “Colui che è” si rivelerà in Gesù, che davanti ai soldati nel Getsemani si proclamerà l’”IO SONO”.
Seconda lettura : 1 Cor 10,1-6.10-12
I segni che accompagnavano il popolo lungo il deserto hanno avuto piena realizzazione in Cristo. Così il lavacro, il cibo, e la bevanda spirituali per la maggior parte del popolo d’Israele non hanno potuto salvarla, a motivo della diffidenza e della mormorazione. Ciò che avvenne ai nostri padri, dice Paolo, è un ammonimento per i Corinzi e per noi, così spesso percorsi dalla ribellione , dalla mormorazione contro Dio, dalla diffidenza e dalla pretesa dei nostri meriti, e anche esposti alla tentazione di infedeltà al dono del Vangelo e della grazia. Senza una adesione interiore, fatta di fede e di opere, nessun atto sacro, nessuna comunione ai sacramenti, ci può veramente salvare.
Vangelo : Lc 13,1-9.
Senza conversione ci ammonisce Gesù si perisce. E tutti ne abbiamo bisogno. La rovina che ci toccherebbe non sarebbe solo quella materiale, sarebbe anche quella definitiva e totale, il fallimento dell’intera vita, in maniera irrevocabile. Sarebbe il castigo per la sterilità e per una esistenza improduttiva, in cui il disegno divino non è stato realizzato. Dio è paziente e per questo nella Quaresima, segno della pazienza di Dio, è insistente l’esortazione a mutar vita. Ma non dobbiamo dimenticare che se non porteremo frutti non potremo godere della salvezza.