





5a DOMENICA DI QUARESIMA.
17 MARZO – 5a DOMENICA DI QUARESIMA
« Chi è senza peccato scagli la prima pietra ».
Il primato del perdono di Dio è ancora al centro della Parola di Dio di questa domenica. Il perdono di Dio riscatta l’uomo dal peccato di superbia e dall’egoismo in cui si rinchiude. L’agire di Dio con il suo amore sta sempre prima dell’agire dell’uomo e lo accompagna anche quando l’uomo ricade nel peccato. Il rinnegamento che l’uomo fa di Dio non riesce a flettere la fedeltà dell’amore che Dio ha per lui, perché questo amore è talmente profondo che non è soggetto a variazioni umorali o libertari da cui l’uomo può essere influenzato.
Nella prima lettura viene ricordato ai deportati in Babilonia che la fedeltà di Dio, come è avvenuto nell’Esodo, continuerà ad intervenire per liberarli e condurli nella terra promessa.
San Paolo ci ricorda che Gesù, a cui egli ha creduto, ha dato nuovo senso alla sua vita, per cui ritiene come spazzatura le cose di prima di fronte alla salvezza ottenuta per la fede in Cristo e non per l’osservanza della Legge. E’ dono gratuito di Dio la giustizia che proviene da lui, per cui possiamo conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze che ci rendono conformi a lui e ci danno la speranza di di giungere alla risurrezione.
Una donna accusata per la sua violazione della Legge
Una donna accusata di flagrante adulterio è al centro del brano evangelico di Giovanni: una peccatrice, adultera, giudicata da un tribunale che l’ha processata e per la quale bisogna applicare il verdetto della lapidazione previsto dalla legge di Mosè.
A Gesù, che gli scribi e farisei riconoscono come Maestro, viene chiesto un pronunciamento sul caso per cui lo stanno interpellando, anche se già avevano deciso sulla punizione che dovevano dare alla donna, dovendo applicarsi la legge di cui essi sono rigorosi osservanti. Essi ragionavano: se avesse perdonato alla donna lo avrebbero accusato di porsi contro l’osservanza della Legge, se l’avesse condannata gli avrebbero rinfacciato la contraddizione tra il perdono proclamato nella sua predicazione e il suo agire.
Ma Gesù riesce a svincolarsi dalla provocazione dei farisei e, impassibile davanti all’atteggiamento di condanna degli accusatori, dice in modo lapidario :”Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. Non sappiamo cosa Gesù abbia scritto sulla sabbia. Se il peccato pone l’uomo contro Dio e il peccatore resta nel male è destinato a rimanere nella polvere da cui è stato tratto. Il perdono di Dio invece rinnova l’uomo e lo rende nuova creatura.
Gesù esorta la donna ad andare e a non peccare più.
Dio, con il perdono, offre all’uomo una novità di vita. Allora anche l’osservanza della Legge ritrova il suo significato, perché Cristo è venuto a far nuova ogni cosa. Egli ridà il cuore nuovo, come si dice nel salmo 50, rinnovato dal suo Spirito.
Un orizzonte nuovo oggi ci offre la Parola del Vangelo perché il Signore ci chiama a vivere nella gioia del perdono e di una vita nuova di comunione e di amore con Lui. Ecco perché la Quaresima dobbiamo sentirla come un tempo che viene dato per una rigenerazione interiore e liberare in noi una forza di cambiamento che ci rinnova:
« Va’ e non peccare più ».
Incontrare Gesù, allora, significa iniziare un cammino spirituale che ci fa imitare Lui, uomo nuovo. Egli ci offre il modello di uomo, riconciliato con Padre, disposto a vivere il suo rapporto di figlio.
Ecco perché nella Domenica di Pasqua, dice la Liturgia, vi è una nuova creazione, in quanto con Cristo risorto l’uomo può risorgere a vita nuova e con lui tutta la creazione risorge. E ogni domenica, nel ricordo dell’evento della risurrezione, noi celebriamo la gioia di essere risorti con Cristo.
« Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei ».
Gesù mette gli accusatori della donna adultera davanti alla loro coscienza. Questi, ritenendosi giusti in modo legale, hanno dimenticato che la vera giustizia è quella che viene da Dio, e solo se si è giusti, cioè senza peccato davanti a Dio, allora potremmo arrogarci il diritto di operare al suo posto. Solo Gesù, il solo giusto, avrebbe potuto operare in tal senso. Ma la giustizia di Dio e la sua misericordia non sono per condannare ma per perdonare come disse Gesù al paralitico : “ti sono rimessi i tuoi peccati ”; ma il gesto di Gesù aveva scandalizzato coloro che erano attorno a Lui. Il perdono che Dio dona al peccatore lo fa uscire dal suo passato e lo apre ad un rapporto di amore con Lui e con i fratelli, lo orienta verso una identità di figlio e di fratello. Il perdono non nega la presenza del peccato, ma riafferma la potenza dell’amore misericordioso e costante di Dio che sa andare oltre il peccato e la debolezza dell’uomo. La proposta che oggi il Vangelo ci offre è quella di saper andar, come fa Dio, oltre la semplice logica legale umana e ci fa aprire alla speranza che tutti davanti a Dio, essendo peccatori, siamo oggetto del suo amore. A Dio spetta la prima e l’ultima parola sulle sue creature e sui suoi figli. A noi spetta solo testimoniare questa gratuità di Dio nella nostra vita: siamo stati creati e redenti, al di là dei nostri limiti e debolezze, dall’amore di Dio.
Prima Lettura : Is 43,16-21.
Il profeta, davanti alle paure del popolo esiliato, lo invita ad aprirsi alla novità di che sta per manifestarsi. Il ricordo degli interventi di Dio nella loro storia dovrebbe dare loro speranza che Egli non viene meno alle sue promesse.
Salmo 125.
La gioia del ritorno suscita nei deportati gioia ed esultanza. Essi sono invitati a rallegrarsi, come avviene per i torrenti del Negheb, al sopraggiungere delle piogge, perché il Signore compie grandi cose, prepara per loro, dopo le lacrime, la gioia di sentirsi liberati dai mali presenti e di godere dei benefici della sua assistenza benefica.
Seconda Lettura: Fil 3,8-14.
Paolo, ricordando i privilegi di cui aveva goduto nella sua vita passata, riconosce che, dopo aver sperimentato la grazia di Dio in Gesù e il suo amore, tutto il suo passato è da considerarsi come spazzatura di cui liberarsi. La sua esistenza è ora protesa verso una meta : la pienezza della risurrezione, verso cui corre per conquistarla, essendo stato conquistato da Cristo.
Vangelo : Gv 8,1-11.
La giustizia che l’uomo deve ricercare non è tanto quella che deriva dall’osservanza farisaica ed esteriore della Legge, quanto quella che deriva dalla fede in Dio e dal suo perdono accolto nel riconoscimento del proprio peccato. E’ questo il nuovo orizzonte esistenziale che Gesù vuol farci comprendere: nell’incontro con Lui è data la novità della vita. Bisogna osservare la Legge di Dio dopo essere rinati a questa dimensione nuova dell’esistenza. “ Non pensate che sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto” ( Mt 5,1718).
LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE.
10 MARZO - 4a Domenica di Quaresima
Domenica « Laetare» o della gioia.
LA FESTA NELLA CASA DEL PADRE
L’amore misericordioso di Dio.
In questa domenica la Liturgia ci fa contemplare l’amore misericordioso di Dio Padre, amore che pervade tutto il progetto salvifico di Dio. Nella prima lettura, dopo che gli Israeliti sono usciti dall’Egitto, sono introdotti nella Terra promessa, così come Dio aveva promesso ad Abramo; nella seconda lettura San Paolo ricorda ai Corinzi che per mezzo di Gesù Cristo l’umanità è definitivamente riconciliata con il Padre celeste, per cui ridonda per l’uomo la grazia, il perdono, la bontà e la pace di Dio.
La Parabola della conversione.
Gesù per far comprendere l’invito alla conversione che egli rivolge agli uomini racconta la parabola del “Figlio prodigo ”: « Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre : Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Il padre divise loro le sue sostanze ».
Il più giovane, prendendo la sua parte di eredità, si allontana dalla casa del padre e va in un paese lontano. Quivi, dopo aver sperperato i suoi beni con una vita dissoluta, si ritrova senza nulla e senza amici e, rientrando in sé, riflette sulla sua esperienza negativa. Decide, allora, trovandosi in miseria, costretto a pascolare i porci e ripensando ai salariati che sono in casa di suo padre, di alzarsi, di ritornare dal padre e di riconoscere di aver peccato contro di lui. Ma il padre già lo aspetta e, vedendolo da lontano, gli corre incontro. Davanti alla confessione del figlio che gli si prostra innanzi, lo rialza, lo abbraccia, lo bacia, lo accoglie e, subito, chiamati i servi, ordina loro di preparare una gran festa perché ha ritrovato il figlio perduto. Davanti al figlio maggiore che non vuole partecipare alla festa, perché non ha mai avuto concesso di far festa con i suoi amici e non ha mai disobbedito ai comandi del padre, questi lo supplica ad entrare e a condividere la gioia della festa per aver ritrovato il figlio, il suo fratello, sano e salvo.
L’amore del Padre verso i due figli.
Il padre verso i due figli tiene un atteggiamento di amore e in lui non prevale il rimprovero ma l’accoglienza paterna, il suo perdono e esorta alla gioia per aver potuto riabbracciare il figlio prodigo, che torna nella casa paterna più spinto dalla fame che da un desiderio di pentimento e di amore verso il padre. Il figlio, ricordando i salariati nella sua casa, ritiene di poter avere almeno lo stesso trattamento dei servi, e pensa le parole da dover dire al padre : “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Baratta così la sua dignità di figlio con la possibilità di sopravvivere e di avere un tozzo di pane, di essere servo più che essere considerato un figlio morto e dimenticato. Ma il Padre non ha smesso di amarlo e per questo lo riabbraccia, ordina di rivestirlo, di mettergli l’anello al dito, i sandali ai piedi, di far festa. Così gli dimostra in modo incondizionato che egli è ancora suo figlio.
Anche verso il figlio maggiore, che pur non contesta il suo amore di padre, ma forse il suo modo eccessivo con cui ha riaccolto il fratello, che aveva sperperato la sua parte di eredità, il Padre tiene un comportamento, più che di rimprovero, di benevola esortazione a considerare che è suo tutto quello che vi è in casa, che egli non deve considerarsi salariato, che è necessario far festa e rallegrarsi perché suo fratello che era morto è tornato a vivere con loro. Il Figlio maggiore non riconosce l’amore de Padre verso suo fratello e avrebbe voluto che questi meritava di essere trattato secondo la giustizia umana, come si tratta uno che è, sì perdonato, ma da punire.
La parabola mette in grandissima evidenza l’amore gratuito del padre verso il figlio, di Dio verso gli uomini, che non riconoscendo il suo amore di Padre, si allontanano da lui, ma poi pentiti ritornano, giusti o peccatori che siano. Così, dice Gesù, Dio Padre, agisce con il peccatore che , presa coscienza del suo peccato, ritorna al suo amore. Ma la parabola vuole anche farci comprendere che coloro che si ritengono giusti come il figlio maggiore non possono giudicare o condannare coloro che ritornano pentiti all’abbraccio del Padre celeste, e devono anch’essi aprire il loro cuore all’accoglienza e far festa, come dice Gesù, “ perché si fa più festa in cielo per un peccatore pentito che per non novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. Egli è venuto non per i sani ma per i malati e a mostrarci il volto misericordioso dell’amore di Dio.
Prima Lettura. Gn 5,9.10-12
Il cammino dell’esodo di Israele termina con la sua introduzione nella Terra promessa in cui viene celebrata la Pasqua con gli azzimi e non più con la manna. La Pasqua è il memoriale della liberazione che non cesserà di accompagnare Israele ma non come un ricordo di un avvenimento del passato, ma come segno che continua ad assicurare la presenza e la grazia del Signore. Mala liberazione celebrata, è però per l’umanità un inizio e un’immagine, come la terra di Canaan: un’ombra della Pasqua di Cristo, che nel suo sangue ha riscattato e liberato dal peccato l’intera umanità dando la speranza che questa sarà introdotta nella vera e definitiva Terra promessa della vita eterna.
La Riconciliazione.
Seconda Lettura : 2 Cor 5,17-21. Se Gesù è morto per noi per amore, la nostra vita deve essere una risposta di donazione al suo amore. Ciò significa essere una nuova creatura, vuol dire lasciarsi riconciliare con Dio, ricevere il perdono come gratuità e senza merito, perchè nel suo Figlio vittima di espiazione dei nostro peccati, ci ha riconciliati con sé e ha posto nella Chiesa i suoi Apostoli come ambasciatori di riconciliazione avendo effuso lo Spirito Santo nella Pentecoste.
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32.
La libertà che l’uomo vuole vivere lontano da Dio è un’illusa e incauta fantasia, perché il punto di arrivo può essere una misera condizione di fame, di stenti, di umiliazione, di vergogna. Allora ritorna alla memoria la condizione perduta e si può riprendere il cammino di risalita in cima alla quale non vi è un meritato castigo, ma l’amore paziente del Padre celeste che non dimentica la sua creatura, i suoi figli prodighi, e li attende per riabbracciarli e riammetterli nella sua casa come figli, restituendoli nella loro dignità. Questa riammissione indispettisce chi si crede giusto, chi non è capace di rallegrasi con lo stesso entusiasmo del cuore del Padre, chi ritiene di avere più dei diritti che ringraziamenti da fare: è lo stupore dei farisei che mormorano contro Gesù, perché “accoglie i peccatori e mangia con loro”. La parabola vuole Introdurci a capire il mistero del perdono che Dio concede immisuratamente.
Dio, Padre misericordioso.
3 MARZO - 3a Domenica di Quaresima.
Dio è un Padre misericordioso verso i suoi figli.
Dio, che con li uomini intrattiene un rapporto di amore, dopo il peccato, ha sempre riannodato questo rapporto e, con Noé, con Abramo, con il popolo eletto attraverso Mosè, realizza concretamente la sua salvezza nella storia degli uomini e chiede agli uomini una libera adesione al suo amore.
A Mosè, cresciuto in Egitto, in mezzo al suo popolo schiavo del faraone, Dio, attraverso il roveto ardente, si rivela come il Dio dei Padri, e , nella sua fedeltà, lo invia a compiere la missione della liberazione del popolo oppresso.
La storia della liberazione è la prova della fedeltà di Dio, che, anche davanti alla infedeltà degli Israeliti, dimostra il suo amore misericordioso. Davanti alla gratuità di questo amore, il popolo chiederà sempre segni e prodigi potenti ed efficaci di Dio. Dio ama ugualmente questo popolo dalla “dura cervice e infedele”.
San Paolo nella lettera ai Corinzi, oggi, esorta gli israeliti che sperimentarono nei loro padri la nube di protezione di Dio, il passaggio prodigioso nel Mar Rosso, la manna con cui furono sfamati, l’acqua dalla roccia con cui furono dissetati, ad accogliere Cristo, come roccia spirituale, per non cadere nella tentazione di desiderare “cose cattive, come essi le desiderarono”, a “non mormorare…” per non “cadere vittime dello sterminatore”. Se da una parte Dio verso tutti riversa la sua bontà, è anche vero che non tutti gli uomini rispondono allo stesso modo. E’ possibile vincere la tentazione della mormorazione solo se si è radicati profondamente nella fede in Dio.
Cristo e gli uomini del suo tempo
Gesù, a coloro che lo informano sulla sorte toccata a quei Galilei che furono giustiziati da Pilato, risponde dicendo che quei Galilei non erano più peccatori di coloro che erano morti nel crollo della torre di Siloe, ma invita a convertirsi perché se no si perisce allo stesso modo. Così Gesù vuol correggere la concezione religiosa del tempo per la quale si credeva che le sventure dovevano ritenersi conseguenze del peccato e punizione di Dio. Forse ancora oggi questa convinzione serpeggia nella mentalità di tanti cristiani. Gli eventi negativi devono solo farci riflettere che questi possono verificarsi in qualsiasi momento della vita dell’umanità, sia per cause naturali che per colpa volontaria o involontaria degli uomini, e che devono considerarsi segni e richiami a vivere in continua conversione, per trovarsi sempre pronti a comparire davanti al giudizio di Dio: Gesù quindi parla di peccato in cui tutti ci troviamo e invita alla conversione sotto pena di dannazione. Gesù non vuole stabilire chi è colpevole o meno ma invita ad interrogarsi sui propri atteggiamenti e azioni per guardare avanti e rinnovarsi nella fedeltà a Dio, vivendo il rapporto con Lui in maniera più intensa, convertendosi e dando il giusto senso alla propria esistenza secondo l’esempio di Gesù e secondo la volontà di Dio. La nostra vita deve annunciare qualcosa di diverso e nuovo.
L’invito alla conversione.
La parabola del vignaiolo che conclude la pericope evengelica ci invita a riflettere sulla misericordia di Dio. La supplica del vignaiolo al padrone della vigna perché gli dia la possibilità di zappare e concimare attorno al fico perché porti frutto, rivela il volto misericordioso di Dio che Gesù è venuto ad annunciarci. Dio permette sempre che coloro che sono preposti a coltivare la sua vigna la curino con la sua parola e con i sacramenti, perché ognuno porti frutti secondo la propria indole spirituale e secondo la volontà di Dio.
Convertirsi e portare frutti significa orientare tutta l propria vita secondo le esigenze del vangelo, cosicché esso permei via via tutta la nostra vita, sicuri che solo perdendosi e dandosi ai fratelli come Cristo ognuno ritrova la sua esistenza più piena e realizzata. Se da una parte,allora, la misericordia di Dio attende, dobbiamo sempre ricordare che se non ci convertiamo possiamo tutti perire come ci ammonisce Gesù: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai”.
La conversione, allora, è veramente cristiana se sarà una risposta all’amore di Dio che continuamente ci interpella, se accogliamo il suo perdono che ci rinnova tutte le volte che coscienti del nostro peccato torniamo fiduciosi alla sua misericordia.
Una vita nuova nel Signore
Dio, nella sua grande bontà, attende che noi ritorniamo a Lui. Non si rassegna a perderci. Lascia che con il tempo il fico, la nostra vita, produca i suoi frutti. Questo non deve, però, significare, né che dobbiamo essere impazienti o assillati da idealismi, che ci possono far scoraggiare se non vediamo risultati immediati di conversione e di bene, né che ci culliamo nel nostro peccato e ritardiamo il cambiamento in senso evangelico della nostra vita. Dobbiamo scoprire il volto misericordioso di Dio che scommette sui suoi figli e sulle sue creature proprio quando ormai pare irragionevole sperare qualcosa di buono. Questa è la prospediva di Dio: saper attendere, che il peccatore, come il Figlio prodigo, prenda coscienza del suo male e ritorni fiducioso al suo abbraccio paterno.
Prima lettura : Es 3,1.8.13.15
A Mosè appare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Signore della storia, non un idolo, cui si possa dare un nome e piegare a sé. E’ il Dio delle promesse, il Dio trascendente ma anche così vicino all’uomo, al suo popolo. Un Dio che sente le miserie del suo popolo e decide di liberarlo dalla schiavitù. “IO sono colui che sono!”: l’uomo non può comprenderlo e dominarlo, e pure sarà il redentore, la guida, la sicurezza. Se Israele sarà riscattato con l’esodo,ogni uomo sarà salvato quando “Colui che è” si rivelerà in Gesù, che davanti ai soldati nel Getsemani si proclamerà l’”IO SONO”.
Seconda lettura : 1 Cor 10,1-6.10-12
I segni che accompagnavano il popolo lungo il deserto hanno avuto piena realizzazione in Cristo. Così il lavacro, il cibo, e la bevanda spirituali per la maggior parte del popolo d’Israele non hanno potuto salvarla, a motivo della diffidenza e della mormorazione. Ciò che avvenne ai nostri padri, dice Paolo, è un ammonimento per i Corinzi e per noi, così spesso percorsi dalla ribellione , dalla mormorazione contro Dio, dalla diffidenza e dalla pretesa dei nostri meriti, e anche esposti alla tentazione di infedeltà al dono del Vangelo e della grazia. Senza una adesione interiore, fatta di fede e di opere, nessun atto sacro, nessuna comunione ai sacramenti, ci può veramente salvare.
Vangelo : Lc 13,1-9.
Senza conversione ci ammonisce Gesù si perisce. E tutti ne abbiamo bisogno. La rovina che ci toccherebbe non sarebbe solo quella materiale, sarebbe anche quella definitiva e totale, il fallimento dell’intera vita, in maniera irrevocabile. Sarebbe il castigo per la sterilità e per una esistenza improduttiva, in cui il disegno divino non è stato realizzato. Dio è paziente e per questo nella Quaresima, segno della pazienza di Dio, è insistente l’esortazione a mutar vita. Ma non dobbiamo dimenticare che se non porteremo frutti non potremo godere della salvezza.
Pregare nell'esodo.
24 Febbraio
2a Domenica di Quaresima
PREGARE NELL’ESODO
La luce folgorante della trasfigurazione è legata al buio del Venerdì Santo, giorno della croce. La manifestazione della divinità di Cristo, e quindi della sua gloria, è in qualche modo unita alla sofferenza del corpo crocifisso e morente. Viene da pensare a quante volte un eccessivo trionfalismo ha portato la Chiesa sul monte Tabor, illudendola di potere evitare il buio della passione. La Parola di Dio oggi offre in tutta la sua pienezza l’immagine di un Dio che salva gli uomini, assicurando loro fedeltà per sempre.
La via della croce
Gesù parla con Mosè ed Elia del suo esodo, che sta per compiersi a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano vissuto il loro esodo verso la libertà definitiva attraverso la sofferenza e la persecuzione. Così sarà anche dell’esodo di Gesù, il Messia. Mosè è stato il laeder del primo esodo; Elia ha difeso l’originalità di quell’esperienza al punto tale da diventare il protagonista ideale della rinascita spirituale attesa per il tempo finale ( Ml3,23-24; Sir 48,10). Il nuovo e definitivo esodo sta ora per compiersi con la morte di Gesù a Gerusalemme. Il tema dell’esodo, allora, dice riferimento alla croce: ne è un’anticipazione, un annuncio. E i discepoli percepiscono qualcosa del mistero di Gesù, ma sono lontani dal penetrarlo. Mosè ed Elia rappresentano le Scritture che già avevano annunciato la via del Figlio dell’uomo. Gesù la comprende e vi riconosce il disegno di Dio su di sé. Pietro, Giacomo e Giovanni hanno penetrato la nube, ciò che Mosè non aveva potuto fare, ma pur vedendo e ascoltando, i discepoli non comprendono. Ecco, allora, l’invito dall’alto rivolto ai discepoli:« Ascoltatelo ». Un ascolto che implica il saper cogliere in profondità la logica che guida l’esodo di Gesù a Gerusalemme e il suo compimento. Egli è il Figlio, l’Eletto; eppure la via che deve seguire è la via della croce. Una via che anche il discepolo è chiamato a comprendere e a fare propria.
La trasfigurazione ( o cambiamento d’aspetto) Degli esseri era attesa per la fine dei tempi secondo l’ apocalittica giudaica ( Dn 12,3). Poiché questa trasformazione avviene con Gesù, è segno che questa fine dei tempi è giunta. Il desiderio di Pietro di innalzare tre tende (9,33) fa supporre che l’apostolo ritenesse giunta questa fine dei tempi e che egli si pensasse già introdotto nella dimora celeste simbolizzata dalle tende eterne (16,9). Ma Pietro confonde un anticipo di pienezza con la pienezza!
Ripensare la propria vita
Mentre nella sua vita si vanno accumulando i segni della tragedia che appare prossima, Gesù si rivolge ancora al Padre: « Salì sul monte a pregare ».
La sua manifestazione luminosa nasce nella preghiera. E’ spontaneo chiedersi quale esperienza di dialogo con il Padre viviamo. Nella preghiera si approfondisce la comunione con il Signore riconoscendosi davanti a lui come figli bisognosi. Prega chi ha riposto la sua fiducia in Dio, chi ha occhi capaci di contemplare lo splendore del suo volto. E’ dunque la preghiera il contesto in cui si accoglie la luce. La parola di Dio chiama anche oggi ad una verifica personale e comunitaria, da cui possono scaturire energie nuove e tesi a rinnovare la propria vita spirituale.
Pietro vuole catturare l’aspetto glorioso della vicenda di Gesù. Noi tutti abbiamo la tentazione di mettere le nostre mani su Dio per catturarlo dentro i nostri schemi e le nostre attese. Pietro vuole fare con le sue mani una dimora a Dio. Ma il testo capovolge la prospettiva. Non è l’uomo che costruisce una casa a Dio ma è Dio che si incammina sulle strade dell’uomo, che pone la sua dimora tra di noi. Il Signore ci anticipa anche nella preghiera. E’ questa sconvolgente presenza dentro la nostra storia che deve essere compresa.
E’ a partire da essa che dobbiamo rivedere il nostro modo di intendere Dio, la sua presenza, il suo amore, la sua « onnipotenza ».
La trasfigurazione offre al discepolo un criterio di lettura della vicenda di Gesù: il Messia che si incammina, sofferente e apparentemente sconfitto verso Gerusalemme è il Messia che è nella gloria. Essa, allora, indica al discepolo che è la via della Croce che porta alla risurrezione. Al discepolo che segue il maestro deve essere sufficiente un anticipo di gloria, un lampo che conferma nel cammino. Ora è temo di esodo.
Prima Lettura ( Gn 15,5-12.17-18)
Dio stipula l’alleanza con Abramo fedele…
Abramo si fida di Dio oltre ogni ostacolo e smentita. Dio si impegna con giuramento e prende su di sé la maledizione qualora la sua fedeltà verso Abramo dovesse venir meno.
Salmo 26
Il Salmo esprime – nella prima parte – fiducia nonostante le difficoltà e i pericoli che minacciano il credente. La convinzione profonda che il Signore non abbandona il credente non induce questi ad ignorare paura e difficoltà.
Seconda Lettura ( Fil 3,17-4,1)
Cristo ci trasfigura nel suo corpo glorioso.
L’apostolo esorta i credenti a fidarsi della croce di Cristo e della logica di vita che ne deve conseguire. La carne (intesa come logica mondana) non è destinata alla risurrezione. Solo chi professa il Signore Gesù Cristo come salvatore sarà da lui trasfigurato.
Vangelo (Lc 9,28b-36)
Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò di aspetto.
Siamo al termine del ministero in Galilea. Nella esperienza della « trasfigurazione » Gesù fa comprendere più a fondo come la sua missione non debba seguire la via del messianismo trionfale ma la via della croce. Gesù incompreso ma si incammina deciso verso Gerusalemme.
L'amicizia di Dio.
Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo (Lib. IV, 13, 4-14, 1; Sc 100, 534-540)
L'amicizia di Dio
Nostro Signore, Verbo di Dio, prima condusse gli uomini a servire Dio, poi da servi li rese suoi amici, come disse egli stesso ai discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). L'amicizia di Dio concede l'immortalità a quanti vi si dispongono debitamente.
In principio Dio plasmò Adamo non perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno su cui effondere i suoi benefici. In effetti il Verbo glorificava il Padre, sempre rimanendo in lui, non solamente prima di Adamo, ma anche prima di ogni creazione. Lo ha dichiarato lui medesimo: «Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria, che avevo presso di te prima che il mondo fosse»(Gv17,5).
Egli ci comandò di seguirlo non perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per dare a noi stessi la salvezza. Seguire il Salvatore, infatti, è partecipare della salvezza, come seguire la luce significa essere circonfusi di chiarore.
Chi è nella luce non è certo lui ad illuminare la luce e a farla risplendere, ma è la luce che rischiara lui e lo rende luminoso. Egli non dà nulla alla luce, ma è da essa che riceve il beneficio dello splendore e tutti gli altri vantaggi.
Così è anche del servizio verso Dio: non apporta nulla a Dio, e d'altra parte Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma a quelli che lo servono e lo seguono egli dà la vita, l'incorruttibilità e la gloria eterna. Accorda i suoi benefici a coloro che lo servono per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo seguono, ma non ne trae alcuna utilità.
Dio ricerca il servizio degli uomini per avere la possibilità, lui che è buono e misericordioso, di riversare i suoi benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio. La gloria dell'uomo consiste nel perseverare al servizio di Dio. E per questo il Signore diceva ai suoi dicepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16), mostrando così che non erano loro a glorificarlo, seguendolo, ma che, per il fatto che seguivano il Figlio di Dio, erano glorificati da lui. E ancora: «Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria»(Gv 17, 24).