





Ascolto e contemplazione del Signore
21 Luglio – 16a Domenica del Tempo Ordinario.
Ascolto e contemplazione del Signore.
La Parola di Dio di questa Domenica ci invita a comprendere l’amicizia e l’accoglienza: Abramo ospita i tre pellegrini nella sua tenda; Marta e Maria esprimono l’amicizia a Gesù nella loro casa. L’importanza dell’ascolto della Parola di Gesù si comprende nel contesto della familiarità con la persona di Gesù. Nello stare insieme a colui che parla e nel sostare con gioia alla sua presenza, nell’ intimità del dialogo, si realizza un ascolto fecondo. Fare spazio all’amico, all’ospite nella pace e nel silenzio del proprio cuore significa entrare in sintonia di sentimenti, cogliere il senso profondo di ciò che l’amico dice. E’ questo l’atteggiamento di Maria che siede davanti a Gesù ad ascoltarlo, mentre Marta, indaffarata e presa dai mille servizi, a detta di Gesù, non sceglie la parte migliore. Gesù, certo, pur riconoscendo il primato dell’ ascolto non vuole porre in opposizione la vita contemplativa a quella attiva del servizio, vuole solo portarci a considerare entrambe le esperienze importanti per la nostra vita di fede.
Marta e Maria.
La casa di Lazzaro, di Marta e Maria a Betania era sempre aperta per Gesù quando si trovava a Gerusalemme. L’arrivo, forse improvviso di Gesù, pone Marta in agitazione nel dover preparare tutto ciò che era necessario per rendere il soggiorno di tanto gradito ospite il più accogliente possibile. In tutto questo da farsi, Marta, nel vedere la sorella Maria, seduta estasiata ai piedi di Gesù ad ascoltarlo, innervosita, fattasi avanti, disse: « Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti ». E Gesù, in maniera dolce, affettuosa e pacata, le si rivolge, dicendo: « Marta, tu ti agiti per molte cose ». Sembra quasi dirle Gesù che per lui non è tanto importante il da farsi, stirare a lucido tutto, preparare la cena, cose tutte che hanno il loro valore e sono segno di amicizia, ma che la cosa a cui tiene veramente è accoglierlo interiormente, cercando di conoscerlo, di capirlo e accettare il suo insegnamento con la mente e il cuore.
Tutto questo è possibile farlo ponendosi in atteggiamento profondo di ascolto della sua Parola. Tutto il resto è secondario. Gesù, allora, vuol dire a tutti i suoi discepoli, di ieri e di oggi, che questo è il modo giusto per accoglierlo, non solo nella propria casa, come Marta e Maria, ma soprattutto nella propria vita, ponendosi con attenzione e amore ad ascoltare la sua parola.. Ma il Signore sa bene, per averlo detto di sé, che a sua volta, dopo averlo ascoltato, bisogna subito impegnarsi concretamente nel servizio degli altri e nella carità operosa.
Questo insegnamento, valido per tutti i cristiani, di ogni luogo e tempO è la cosa essenziale : ascoltare la parola del Signore, ascoltarla con la mente e il cuore, per essere come Gesù, che continua, qui ed oggi, a vivere e realizzare per mezzo nostro la sua presenza, con la sua parola e il suo servizio.
Marta
Marta con sollecitudine si pone a servire il suo ospite e si preoccupa della sua persona. Gesù stesso, prendendosi cura della folla, che sfama moltiplicando il pane, esprime l’attenzione e il servizio agli uomini.
L’amore e la sollecitudine per il fratello chiede anche la condivisione dei beni concreti di cui egli ha bisogno. Marta, che esprime il suo amore per Gesù nel servizio, quasi gli domanda le sue attenzioni e avanza la pretesa di essere gratificata per quello che fa. La pretesa che Dio ci ascolti e ci accordi quello che gli chiediamo condiziona il nostro rapporto con lui e la nostra preghiera: chiediamo al Signore che consideri il nostro lavoro, il nostro impegno e guardi ciò che stiamo facendo per lui o per i fratelli. Come lo fu per Marta anche noi spesso facciamo esperienza dei nostri limiti e nella fatica ci rivolgiamo al Signore affidangli il nostro sfogo e nelle sue mani deponiamo la nostra debolezza: « Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciato sola a servire ?». Marta affida al Signore la sua fatica nella certezza che egli l’accoglie, nutrendo profonda fiducia in lui. Nella nostra preghiera al Signore non dobbiamo rivolgerci a lui solo per affidargli i nostri guai, ma saper dire anche noi : « Parlaci, Signore, perché i tuoi servi ti ascoltano ».
Maria.
Maria si preoccupa solo di ascoltare il Signore e, stando seduta ai piedi di Gesù, gli esprime la sua cordialità, la sua accoglienza, la sua disponibilità. Saper ricevere presuppone la capacità di uscire dalla logica del sentirsi in debito per quello che si riceve. Il Signore ci ama gratuitamente e ci chiede solo di accoglierlo. Che cosa potrebbe d’altronde dare l’uomo a Dio in cambio del suo amore, della sua salvezza? Marta sa che non può offrire a Gesù nulla che sia più importante di quello che lei può ricevere da lui: così si mette in ascolto della sua parola, compiendo un gesto che Gesù apprezza. Da Maria possiamo imparare a vivere la giusta relazione con Gesù: porci in autentico ascolto della parola di Gesù, realizzandola di conseguenza nella nostra vita, cosicché l’ascolto non diventi solo un sentire con le orecchie, ma attuazione del messaggio che si riceve da Gesù.
Prima Lettura : Gn 18,1-10.
Negli ospiti che Abramo accoglie con animo aperto e premuroso si rivela e si presenta il Signore. La generosità del patriarca è premiata con la promessa di un figlio. A chi bussa alla nostra porta per chiedere un favore siamo chiamati a riservare attenzione, ascolto e finezza, mentre la tentazione è di mandarlo via subito come uno scocciatore.
Seconda Lettura : Col 1,24-28.
« Lieto delle sofferenze » si dichiara Paolo: è un paradosso. Solo che egli vede le sofferenze della sua vita apostolica come una continuazione della passione di Cristo, da cui il mondo è stato salvato e che rappresenta la sostanza del Vangelo che egli predica. Egli dice di soffrire per la Chiesa, della quale si proclama ministro, cioè servitore, secondo la missione che Dio gli ha affidato. Ecco il programma: non dominare nella Chiesa, imponendo le nostre vedute, ma servire la Chiesa, cioè servire Gesù Cristo e predicare il suo mistero. Non dobbiamo infatti predicare noi stessi e dedicarci alle molte imprese; non dobbiamo pretendere di avere una vita serena, se almeno veramente vogliamo essere al servizio di Cristo, che ci ha redento con la croce.
Vangelo: Lc 10, 38-42.
Gesù è accolto con premurosa e fine ospitalità da Maria e Marta. Tale premura ci dice l’amore per Cristo fatto di opere e ci insegna come vivere l’ospitalità cristiana, che è un appello a vincere la nostra egoistica pigrizia. Maria però ha capito soprattutto il valore dell’ospite, e allora si dedica all’ascolto della sua parola. La sua non è una perdita di tempo : Gesù in presenza conta più di ogni cosa. E il segno della più gradita ospitalità Cristo stesso lo trova nel fatto che ci si metta alla mensa della sua parola, dove è lui che offre il cibo che più di tutti gli altri vale.
L'Amore a Dio e a Prossimo: compendio della Legge.
14 Luglio – 15a Domenica del Tempo Ordinario.
Gesù ci invita ad essere prossimo per ogni uomo.
Mentre Gesù va verso Gerusalemme predica il Regno di Dio e, parlando alla gente, annuncia il suo Vangelo: la lieta notizia che la salvezza è vicina. Egli dà inizio al tempo del Messia, annunciato dai profeti, tempo in cui Dio trasformerà « il cuore di pietra, ostinato nel male, con un cuore vero, di carne » obbediente a Dio. La parola che Egli annunzia dà all’uomo una nuova vitalità se accolta nel cuore e messa in pratica nella sua concretezza.
Al dottore della Legge che chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna, egli dice: « Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? ». Quello gli rispose:« Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso ». E Gesù, riconoscendo che aveva risposto bene, aggiunse: « Fa’ questo e vivrai ».
Così Gesù formula un comandamento rivoluzionario, nuovo, che ha due direzioni: verso Dio che bisogna amare, rispondendo al suo amore, e verso il prossimo, in cui ha impresso la sua immagine e somiglianza, da amare come se stessi.
Se sulla prima parte del comandamento anche noi possiamo trovarci d’accordo come il dottore della legge, sulla seconda parte, che è uguale alla prima, spesso, anche noi ci domandiamo : « Chi è il nostro prossimo?».
Forse dobbiamo constatare che con la misura con cui amiamo veramente Dio, amiamo anche il prossimo e noi; e se amiamo poco Dio, amiamo anche poco il prossimo e noi stessi.
Il dottore della Legge mette alla prova Gesù.
Se nella Bibbia è scritto: « Non mantenere odio contro un fratello… Non vendicatevi contro i vostri connazionali. Ciascuno di voi deve amare il suo prossimo come se stesso » (Lv19,17ss.), i dottori della Legge interpretavano tali comandamenti insegnando che il « prossimo erano i fratelli, i connazionali » ma gli infedeli, gli stranieri non dovevano essere considerati “prossimo “. Gesù, allora, viene messo alla prova, per far vedere a tutti, se Egli interpreta la Bibbia come i dottori della legge o se dà una spiegazione diversa nel suo insegnamento. Gesù accetta la sfida e rovescia la tradizionale interpretazione della Scrittura affermando che Dio comanda di amare tutti, anche gli estranei e i nemici. Gesù con una parabola risponde al dottore della Legge insegnando che, come il buon Samaritano, deve comportarsi chiunque vuole entrare nel Regno dei cieli.
Il buon Samaritano.
La strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico era una strada tortuosa, solitaria, incavata tra rocce e quindi luogo di facili e pericolosi incontri con ladri e briganti, specie per un viandante solitario, il quale poteva essere derubato, malmenato e lasciato mezzo morto ai margini della strada, come l’uomo di cui parla Gesù nella parabola.
I passanti, un sacerdote e un levita, per paura di contaminarsi, pur vedendolo in quello stato, passano oltre senza fermarsi. Solo un passante, della Samaria, considerato straniero e nemico dai Giudei, vedendo il ferito, si ferma , si fa prossimo, gli si fa vicino interessandosi di lui, lo aiuta sollevandolo, cura le sue ferite con vino e olio, e, portandolo in un albergo, spende il suo denaro perché venga curato.
Alla fine della parabola Gesù domanda al dottore della Legge chi dei tre passanti sia stato prossimo a quell’uomo malcapitato. Alla risposta del dottore: « Chi ha avuto compassione di lui », Gesù gli dice: « Va’ e anche tu fa’ così ».
Gesù invita tutti i suoi discepoli e i cristiani di tutti i tempi a farsi prossimo al debole, andargli vicino, interessarsi delle sue necessità, fin anche ad annullare la distanza provocata da forti disunioni o anche da inimicizie.
Per Cristo « amare il prossimo » vuol dire farsi vicino non solo a chi ti è vicino per gli affetti, ma anche a chi è lontano e ha bisogno del tuo aiuto nelle sue necessità, nelle difficoltà, perché tutti siamo creature di Dio e in Cristo siamo fratelli. In quanto partecipiamo della stessa opera salvifica, tutti siamo chiamati a diventare figli di Dio. Gesù è venuto a portarci una nuova identità umana in ogni uomo, che il peccato, l’odio, l’egoismo, la superbia, l’invidia, le divisioni deturpano, qualunque sia il colore della nostra pelle, la razza, l’età ecc.
Cristo è l’immagine del Buon Samaritano.
Attraverso Cristo, che è l’incarnazione e l’icona vivente del Buon Samaritano, Dio si è fatto prossimo all’uomo, si è chinato su di lui, che come quell’uomo è malmenato e derubato dei beni spirituali, morali e fisici da coloro che a vario titolo lo depredano. Gesù, l’Emmanuele, che si fa nostro compagno di viaggio, lui che da noi è considerato un estraneo, è venuto e ha pagato di persona per curare le nostre ferite, fasciarle e affidarci alla sua Chiesa, ai cui membri chiede di prendersi cura dei fratelli in difficoltà, e a cui promette una ricompensa, per quanto si spenderanno per il bene di essi, al suo ritorno.
Contemplando, allora, oggi, la figura e l’esempio di Gesù, il cristiano deve imparare a vivere un autentico servizio al prossimo. Nel voler incarnare il Vangelo nasce, nel credente in Gesù, la motivazione ad un impegno verso i fratelli, fatto di volontariato, di scelte concrete e di dono agli altri. Tale servizio per il discepolo di Gesù, se non vuole essere sterile attivismo, forse utile ad appagare la propria coscienza, deve essere radicato nella fede e nella preghiera.
Contemplando Gesù sofferente sulla croce, nel suo mistero di dolore per noi, il cristiano deve diventare capace di stare accanto alle sofferenze del prossimo e, per quanto è possibile, alleviarle.
La parabola, oltre ad invitarci alla sollecitudine caritatevole e al prodigarsi per i bisognosi, ci esorta ad accogliere l’Amore di Dio e a realizzarlo come ha fatto Gesù, imitandolo, per quanto ci è possibile, con la forza della fede, della grazia e della nostra buona volontà.
Prima Lettura: Dt 30,10-14.
La Parola di Dio è vicina all’uomo: essa accondiscende fino a lui. Più che per Israele, la condiscendenza della Sapienza divina e la vicinanza della Parola si attuerà per l’uomo quando il Verbo si farà carne e abiterà in mezzo a noi. Ma la prossimità della Parola di Dio non deve lasciarci incerti: è voce, è legge che va osservata, che induce alla conversione, al ritorno al Signore « con tutto il cuore e con tutta l’anima »: E infatti quando Gesù incomincerà la predicazione del Vangelo dirà: « Convertitevi ». Il Verbo si fa carne perché l’uomo sia intimamente trasformato.
Seconda Lettura: Col 1,15-20.
L’universo intero trova il suo sostegno in Gesù Cristo « primogenito della creazione »: ogni cosa è creata per mezzo di lui, e di tutte egli è il fine, la ragione. In particolare in lui trova consistenza la Chiesa: egli ne è il Capo. Ma tutte le cose sono riunite a Dio a causa e per mezzo del sacrificio di Cristo, del « sangue della sua croce ». Il grande avvenimento che interessa tutta l’umanità è la morte di Gesù in apparenza un fallimento; in realtà la salvezza è la riuscita del mondo. In particolare Cristo risorto è il Capo, l’esemplare, della Chiesa, che lo esprime e lo manifesta, lo rende presente nel mondo, come suo « corpo ». La Parola di questa lettura può farci aprire a stupendi orizzonti nella nostra vita quotidiana spesso avvolta da piccolezze, banalità, angustie meschine. Noi siamo i segni di immenso e insospettato amore, al centro di una stupenda vicenda di grazia che si concluderà nella gioia.
Vangelo: Lc 10,25-37.
Non importa tanto definire chi è il nostro prossimo; conta invece comportarsi da prossimo, e si comporta da prossimo chi introduce l’altro nel corso della propria vita, chi se ne fa carico con intimo e operoso amore. Questa è la compassione che vale. Il cristiano è uno che ha demolito gli steccati, le prevenzioni, che ha un cuore universale, e imita non il sacerdote o il levita che passano indifferenti, ma il Samaritano, l’uomo giudicato impuro e disprezzato. Del resto il vero Samaritano, che si accosta all’uomo ferito e lo salva, è Gesù stesso. Ogni atto di amore verso il prossimo è un proseguimento dell’opera di Gesù.
Ultimo aggiornamento (Sabato 13 Luglio 2013 19:20)
Il messaggio di Gesù affidato ai 72 discepoli
7 Luglio – 14a Domenica del Tempo Ordinario.
I discepoli portano a tutti il messaggio di Gesù.
Il Vangelo di Luca su cui oggi la Chiesa ci chiama a riflettere ci racconta un fatto di cui gli altri tre Vangeli non danno notizia. Durante il suo viaggio a Gerusalemme Gesù vuole avvicinare molte più persone di quante abbia già incontrato. Gesù compie allora uno sforzo di propaganda, che dovrà essere nel futuro un insegnamento e un modello per la sua Chiesa. Sceglie tra il grande numero dei suoi discepoli 72 persone, e le invia a due a due, come si usava allora, « in ogni città e luogo dove stava per recarsi ». I suoi inviati dovranno annunciare a tutti che « il regno di Dio è vicino ».
Luca intende evidenziare la portata universale della salvezza, offerta da Dio a tutti i popoli. Settantadue sono gli inviati, ad indicare la totalità dei popoli del mondo, secondo l’Antico Testamento; in questo numero è dunque simboleggiata l’estensione della missione a tutto il mondo e l’annuncio del Vangelo a tutti i popoli della Terra. Da Gerusalemme, sfavillante di gioia, la buona notizia raggiunge tutti i luoghi e ogni popolo.
Insegnamenti importanti per i discepoli e tutti i cristiani.
Ai discepoli che partono come suoi primi missionari, Gesù dà alcuni insegnamenti molto importanti anche per i cristiani di tutti i tempi. La gente a cui occorre portare il messaggio evangelico è moltissima, e i missionari saranno sempre pochi. Occorre dunque pregare Dio che mandi molti a portare la parola di Dio. L’impegno di annunciare il messaggio di Gesù porterà sofferenze, non darà successo e soddisfazione ( nel senso che il mondo dà a questi termini). I missionari di Gesù saranno come agnelli in mezzo ai lupi.
Colui che porta il messaggio di Gesù, porta la pace. La pace cristiana è la gioia e la felicità che scaturiscono dall’incontro con Dio. L’unica soddisfazione che i missionari di Gesù possiedono è che « i loro nomi sono scritti nei cieli »: cioè sono già concittadini di Dio, hanno un posto preparato nella casa del Padre.
Il messaggio di Gesù affidato a tutti i cristiani.
Possiamo constatare che molti cristiani accettano il messaggio di Gesù, ma non sentano il bisogno di portare questo messaggio alla gente. Si sono abituati a considerare questa missione come un compito dei preti, dei frati e delle suore. Quelli sono – secondo questa cattiva convinzione – gli « specialisti » nell’annunciare Gesù, lo fanno per « mestiere ». Il Concilio Vaticano II ha attribuito anche ai laici il compito missionario, rivalutando il senso della presenza cristiana nel mondo secolarizzato, nei luoghi di lavoro, per le strade, nelle città.
Fin dall’inizio del cristianesimo – è scritto nel Catechismo degli Adulti - gli apostoli insegnano che la missione è affidata al popolo di Dio nella sua globalità:« Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce », scrive l’apostolo Pietro.
Di fatto, al tempo delle origini, è vivissima in tutti i credenti la coscienza missionaria. In chiusura delle lettera ai Romani, viene ricordata una fitta schiera di collaboratori dell’apostolo Paolo nel servizio del Vangelo: sono uomini, donne, coniugi, intere famiglie. Il cristianesimo si diffonde velocemente sulle vie dell’impero romano soprattutto per l’impegno spontaneo dei credenti, da persona a persona. Urgente e imperiosa è l’esigenza di condividere con altri la propria fede. Nessuno si tira indietro. Un filosofo, Celso, pensando di screditare la nuova religione, osserva che tra i suoi divulgatori abbondano « cardatori di lana, calzolai, lavandai, gente senza istruzione e di maniere grossolane ». Sebbene i mezzi di trasporto e di comunicazione siano ancora primitivi, l’annuncio del Vangelo raggiunge in breve tempo i confini del mondo allora conosciuto.
Guardando alla comunità delle origini, la Chiesa oggi può ritrovare la coscienza della comune vocazione missionaria. La gioia del cristiano che porta la bella notizia nasce dalla consapevolezza di annunciare la salvezza di cui si è fatto esperienza. Ogni cristiano che ha fatto esperienza dell’incontro con Cristo trova il proprio « vanto » nell’annunciare il Crocifisso risorto, unica Parola-Persona che non cambia, unico salvatore che dona gioia vera.
Prima Lettura : Is 66,10-14;
Viene annunciata un’era nuova, di gioia e di consolazione: quella dell'esilio cessato e della liberazione. Non si tratta di un sogno, ma occorre credere che a condurre la storia d’Israele è Dio, il quale non è bloccato e condizionato da nessuna forza umana. La parola del profeta andava però oltre il traguardo della fine di un esilio. Egli presagiva la venuta del Messia, del Signore Gesù, il liberatore.
Seconda Lettura: Gal 6,14-18.
Il cristiano è una « nuova creatura ». Egli non si appoggia sui meriti che possono venire dall’osservanza della legge di Mosè. Non si vanta delle proprie virtù, ma della grazia, e perciò della passione del Signore assunta e rappresentata in lui. Il mondo quasi scompare, non conta: è crocifisso, così come il cristiano è un crocifisso a immagine di Gesù. E’ il paradosso: la riuscita del disegno di Dio passa attraverso la croce. Da essa proviene la pace di Dio e la misericordia. Si tratta anche per noi di portare « le stigmate di Gesù » nella vita: non tanto i segni fisici sensibili e dolorosi, ma i segni della fedeltà al Vangelo e delle opere compiute secondo la volontà di Dio.
Vangelo: Lc 10,1-12. 17-20.
I discepoli di Gesù sono inviati ad annunziare al mondo la consolazione, la pace. Il motivo di questo annuncio è che il Regno di Dio,
la redenzione,ormai è vicino. Ma occorre fare attenzione: il discepolo deve presentarsi povero, austero, fiducioso, affidato alla forza di Cristo che lo libera da ogni male, solo preoccupato della salvezza. D’altra parte lo stesso annunzio discrimina. Chi lo lasciasse cadere e lo rifiutasse incorrerebbe nella condanna, perché ha respinto l’offerta di grazia. Su di lui sarebbe imminente e peserebbe il giudizio di Dio. Il Vangelo è estremamente serio e impegnativo.
La sequela di Gesù.
30 Giugno – 13a Domenica del Tempo Ordinario.
LA SEQUELA DEL SIGNORE.
In questa Domenica il tema del seguire il Signore ci porta a ripensare il nostro essere discepoli di Gesù. Nella prima lettura Dio ordina al profeta Elia, la cui vita sta per finire, di scegliersi come discepolo il giovane contadino Eliseo. Costui imparerà da lui ad essere profeta, e dopo la sua morte continuerà ad essere “ Colui che parla nel nome di Dio ”. Eliseo, che nel campo sta arando con dodici paia di buoi, quando riceve il mantello di Elia, lascia tutto, va a baciare suo padre e sua madre. Prima, però, prende un paio di buoi, li uccide, cuoce la carne, la dà al popolo, e si pone al servizio di Elia.
Alla luce di questo avvenimento dell’Antico Testamento, Luca presenta, nel Vangelo di oggi, Gesù che raduna e istruisce i suoi discepoli sulla loro sequela di lui.
Gesù chiama i suoi discepoli.
Gesù chiama un gruppo di persone a seguirlo e perché diventino suoi collaboratori nel chiamare la gente alla conversione e all’accoglienza del regno di Dio. Alcuni restano ognumo nella propria casa e alla proprie attività, come Zaccheo, Lazzaro, Giuseppe d’Arimatea, Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; altri, lasciano tutto: casa, moglie e figli, il lavoro, i beni e lo seguono formando un gruppo itinerante dietro Gesù. Conducono una vita insieme e, contro la mentalità corrente che discriminava le donne dal partecipare alla vita di un gruppo, alcune fanno parte di coloro che seguono Gesù, anche se non con regolarità. Queste si rendono utili con l’assistenza domestica e il sostegno economico. Tra coloro che sono più vicini, un giorno, Gesù ne sceglie dodici, che chiama « apostoli ». Nel CdA è detto che « Gesù è legato profondamente alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che stanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia; ne fa il segno pubblico del regno di Dio che comincia ad essere visibile. Chiama i discepoli a manifestare in questo mondo la santità del Padre con una vita di carità. Dovranno essere come una sorta di sale, per dare sapore alla terra; come una città illuminata sul monte, che attrae con il suo fascino tutte le nazioni e le conduce a riconoscere Dio come Padre ». Gesù, certamente, vuole fare affidamento sui suoi discepoli che dovranno continuare la sua opera e manifestare così che il Padre, in lui, vuole farsi compagno dell’uomo.
Quale stile di discepolato?
Il discepolo, nel seguire il Maestro, quali atteggiamenti deve imparare a vivere e ad attuare? Come prima esigenza vie è quella di una pronta obbedienza. Il discepolo non può porre condi- zioni o fissare tempi per attuare la sua sequela di Gesù. Non risponde veramente chi ponesse presupposti, calcoli e condizioni.
Nel Vangelo ci è detto che Gesù, avvicinandosi i giorni della sua morte, vincendo una certa paura, si mette con forza, decisamente, in cammino verso Gerusalemme, dove si compirà la volontà del Padre e, nella sua morte e risurrezione, si realizzerà la salvezza del mondo: così Gesù dice ai discepoli che bisogna confidare in Dio e vincere ogni forma di paura e timore davanti alle difficoltà che la missione a cui li manderà potrà comportare.
Manda avanti a sé messaggeri perché nei villaggi dove Egli passa preparino la sua accoglienza. Un villaggio di Samaritani, nemici tradizionali degli ebrei, rifiuta di accoglierlo perché Gesù va verso Gerusalemme e, davanti alla proposta di Giacomo e Giovanni di chiedere una dura punizione per quelli, Gesù li rimprovera duramen-te. I discepoli del Signore devono ricercare e portare la pace, il perdono.
C’è chi chiede di seguirlo ma non ha preso in considerazione le condizioni che Gesù gli porrà: vivere senza tutte quelle sicurezze terrene e materiali che gli uomini ritengono necessarie per la vita.
Gesù ad uno chiede, perentoriamente, di seguirlo. A costui, davanti alla sua richiesta di andare a seppellire suo padre, Gesù risponde di lasciare le faccende della vita, anche molto importanti, come andare a seppellire il padre, a chi deve adempierle e di andare ad annunciare il regno di Dio. Con ciò Gesù non chiede di rinnegare la famiglia, né insegna di non adempiere ai doveri imposti dai comandamenti, vuole semplicemente insegnare al discepolo a non vivere in mezzo alle esitazioni, ai dubbi, alla mancanza di coraggio o ai tentennamenti, tutti atteggiamenti che possono mettere in pericolo la sua azione di discepolo.
Il Signore chiama ciascuno ad essere suo discepolo secondo la vocazione ricevuta.
Prima Lettura: 1Re 19, 16.19-21.
Eliseo riceve l’investitura e la prerogativa del profeta. La sua vita subisce allora un cambiamento: si distacca dalla sua famiglia e dalla sua vita di prima. Si pone nella piena disponibilità alla Parola di Dio a cui dedicherà la vita. Mettersi al servizio della Parola di Dio vuol dire essere obbedienti e pronti e non ritrarsi da nessun sacrificio.
Seconda Lettura: Gal 5,1.13-18.
Il cristiano è un uomo libero. Non lo impaccia nessun gioco, che non sia quello dell’amore. Ormai – lo ricorda Paolo ai Gàlati – la legge di Mosè con le sua imposizioni non conta più. Né la con dotta dev’essere asservita agli impulsi ai desideri dell’uomo vecchio, quello non ancora redento dalla grazia di Cristo. La guida deve essere lo Spirito Santo, e l’unico comando che riassume tutta le legge è quello dello Spirito. E’ possibile amare il prossimo proprio perché ci è dato il dono dello Spirito. Non senza ironia San Paolo scrive: « Se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri ». Allora come adesso anche nella Chiesa è facile trovare la contesa, il risentimento , l’aggressività. Se tutto questo ha come sua causa « il desiderio della carne », allora non si è liberi ma schiavi.
Vangelo : Lc 9, 51-62
Un primo ammonimento che ci viene dal Vangelo è la mitezza, la pazienza, che non si sostituisce a Dio giudicando e condannando. Invocare il fuoico e la consumazione è spontaneo, ma non è secondo lo spirito di Cristo. Del resto non siamo tutti quanti oggetto dell’infinita pazienza di Dio? Un altro insegnamento è la prontezza, la decisività con cui bisogna seguire Gesù e diventare suoi discepoli. E’ facile lasciarsi condizionare e sorprendere dalla nostalgia dei vari generi di legami. D’altra parte non si deve essere impulsivi nel seguire il Signore: è una via difficile, di disagio, di povertà, di stenti. Bisogna che sia ben forte il vincolo che unisce a lui e la passione di annunziare il Regno di Dio.
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12 Domenica del Tempo Ordinario.
23 GIUGNO – 12a Domenica del Tempo Ordinario.
« Voi chi dite che io sia?»
Nella Parola di Dio del Vangelo di questa Domenica c’è la domanda di Gesù rivolta ai discepoli ma anche a noi: « Voi chi dite che io sia? ».
Il Signore ci invita a pensare e a riflettere su chi è per noi Lui, il Signore Gesù, in cui diciamo di credere. La nostra vita cristiana dipende allora dalla risposta che diamo a questa domanda: è una conoscenza di Gesù solamente culturale, è una abitudine a dirsi cristiani perché per tradizione familiare siamo stati educati così, per cui non abbiamo mai preso coscienza di quello che comporta aver accolto Gesù in noi? La nostra fede deriva da un incontro personale con una persona viva: Gesù Cristo?
Quale è l’identità di Gesù?
Il Cristianesimo è l’aver accolto Gesù e vivere seguendo il suo esempio, non è né un codice di precetti, né una religione e neppure riti e liturgie varie. Chi ha scommesso l’unica vita che ha sulla persona di Gesù sente spesso la necessità di rinfrescare la propria fede in Lui e sulla sua vera identità. Spesso qualche mezzo di comunicazione in modo sensazionale ci dà qualche scoop su Gesù, magari inventando o dando interpretazioni su chi sia, ma dimenticando che gli unici testi che ci parlano di lui sono i Vangeli, che certo bisogna tenere in considerazione se non si vuole fare delle proprie opinioni l’unica e esatta identità di Gesù.
Al di là delle sue fattezze fisiche, Gesù aveva uno sguardo che colpiva chi lo incontrava, come Simone, il giovane ricco, Zaccheo; uno sguardo che parlava e faceva capire che Gesù aveva idee molto chiare e dava insegnamenti precisi e non contestabili. Più che esprimere opinioni i suoi detti erano lapidari, significativi, determinati, non che semplici e persuasivi. Esprimeva una libertà nel parlare e nel frequentare le persone che spesso scandalizzava e amava teneramente i bambini, che sapeva capire, e gli amici come nel caso di Lazzaro, tanto che i Giudei, presenti a Betania, vedendolo piangere per la morte dell’amico esclamarono: « Vedete come l’amava? ». Amava ancora il suo popolo, la sua terra, tanto che piange al pensiero della futura distruzione di Gerusalemme.
Gesù è sì uomo, ma più che uomo.
Davanti a Gesù, l’uomo, specie nel mondo occidentale, si è sempre chiesto: Ma Egli era solo un uomo? Se leggiamo il Vangelo vi troviamo frasi come quella in cui si definisce « Figlio dell’Uomo », per indicare Colui che nella profezia di Daniele è un personaggio misterioso che sarebbe venuto dal cielo e dato compimento alla Storia. Quelli del Sinedrio davanti a questa frase replicarono: « Tu dunque sei il Figlio di Dio? » (Lc22,69-70; Mc 13, 26). Avevano capito bene cosa intendeva Gesù con quelle parole “ Figlio dell’Uomo ”, riguardo alla sua origine divina, per cui lo accusarono di bestemmia. E ancora rivendica il suo potere di rimettere i peccati, come nel caso del paralitico scandalizzando i presenti (Mt9,1-8) o di giudicare l’uomo, come con la donna adultera, che gli viene presentata perché esprima il suo giudizio sulla sua ondanna o meno, e a cui dice: “Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in oi non peccare più ” (Gv 8, 1-11). Così anche altre affermazioni:« Chi dà la sua vita per me la ritroverà... »; « Chi avrò lasciato il padre e la madre, i campi e la casa per me, avrà il centuplo quaggiù, con le persecuzioni e la vita eterna »; e all’apostolo Filippo che gli chiede di mostrargli il Padre, Gesù dice: « Filippo…chi ha visto me, ha visto il Padre...Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?... Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. »(Gv 14,9-11).
Gesù è certamente grande come uomo, ma soprattutto è Dio, perché Figlio di Dio. Egli intendeva questa identità di Figlio non come lo siamo tutti noi, come lo sono tutte le creature. Egli è il Figlio unigenito del Padre, che opera in unità col Padre e compiendo le opere che il Padre gli ha dato da compiere.
Quale risposta da parte di ognuno di noi?
Chi siamo chiamati ad annunziare? Un uomo o l’Uomo-Dio,CristoGesù? Ognigenerazione deve rispondere e fare una scelta di vita come voleva Gesù dai suoi contemporanei. Nessuno può eludere la domanda e la risposta non può che essere personale, una presa di coscienza che ognuno deve maturare da solo, nel silenzio, perché solo così ci si può porre alla sua sequela.
La fede, ricevuta da bambini come dono di Dio in quanto battezzati, non può ridursi solo un dato anagrafico o un atto formale: il contenuto del battesimo, l’ essere figli di Dio e crescere nella vita divina, bisogna farlo proprio, vivendo sì in una cultura cristiana, che da sola non è sufficiente, ma divenendo sempre più testimoni autentici del Signore, morto e risorto. Gesù non è solo un dato culturale o storico.
La fede in Gesù ci chiede di vedere le cose che non sono visibili umanamente in lui, la capacità di andare oltre il dato storico, un’apertura al dato spirituale e celeste dell’opera e della persona di Gesù Cristo.
Il nostro pensiero cristiano moderno e occidentale, spesso ha allontanato dalla vita concreta il problema di Dio e di Cristo, relegandolo in speculazioni razionali storiche,esegetiche e teologiche a volte lontane dalla realtà storica di Gesù e dalla nostra. In ogni forma di esperienza religiosa, il credente deve essere cosciente della presenza diCristo nella propria vita, presenza che sia più conforme alle esigenze evangeliche e secondo una perenne testimonianza ecclesiale, per allontanare i tanti ostacoli ad una risposta autentica di fede e non cadere in un facile relativismo religioso fatto, a propria misura, da ognuno. La risposta di fede a Dio, mediante Cristo, che la Scrittura, esalta come unico mediatore tra Dio e gli uomini, deve investire tutta la vita personale, immergendola nella verità di Cristo e vivendola nella comunione con Dio. Scrive D. Maria Turoldo: « L’uomo e Cristo stanno di fronte come il problema e la sua soluzione, come il desiderio e la sua soddisfazione, solo chi trova in Cristo la soluzione del suo problema, la soddisfazione del suo desiderio, è salvo ».
Prima Lettura: Zc 12,10-11,13.
Un figlio trafitto, primogenito, che come vittima diviene motivo di pentimento e di salvezza, mentre viene effuso lo spirito. è segno dei tempi del Messia. Ora sappiamo bene chi sia quel trafitto dal quale viene uno “ spirito di grazia e di consolazione, che trasforma il cuore e lo rigenera. E’ il Cristo crocifisso dinanzi al quale avviene la conversione.
Ci si va dicendo che oggi il senso del peccato è scaduto: per poterlo riavere non servono pure considerazioni sociologiche ; non basta neppure la constatazione delle ingiustizie sociali: occorre riandare a Colui che per il peccato è morto in croce, e che nella sua morte ha meritato il dono dello Spirito Santo che purifica e riconcilia con Dio.
Seconda Lettura: Gal 3,26-29.
Chi crede diviene figlio di Dio, poiché credere è affidare se stessi a Dio, nell’abbandono assoluto della propria esistenza. Per questa confidenza agisce la grazia che ci rende figli di Dio. Essa opera nel battesimo, dove l’uomo imita la morte di Gesù e ne riceve i frutti; dove rivesta – come dice Paolo – Gesù Cristo e quindi diventa con lui figlio del Padre celeste. Attraverso il battesimo, lavacro di rigenerazione, passa in noi la vita di Dio, che ci assimila a lui e ci rende sue immagini viventi. Per questa figliolanza le divisioni scompaiono, gli steccati che ci dividono e ci oppongono crollano. Siamo fatti uno in Cristo Gesù. Figli di Dio, dunque fratelli tra noi e se fratelli dobbiamo volerci bene. Questo dovrebbe essere il nostro quotidiano impegno di testimonianza dei valori spirituali della nostra fede.
Vangelo: Lc 9, 18-24.
Anche a noi Gesù oggi chiede, come un tempo ai discepoli, chi egli sia per noi. E’ per noi Gesù, come per Pietro e gli altri, il Cristo, il Figlio di Dio? Il Vangelo ci chiede di rinnovare la nostra fede in Lui e adeguare la nostra testimonianza secondo una fede personale, autenticamente evangelica, ecclesiale ed esistenziale.