





La pace di Gesù e le lacerazioni che provoca.
18 Agosto 2013- XX Domenica Tempo Ordinario.
La Pace di Gesù e le lacerazioni che essa provoca.
Gesù oggi ci dice:« Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione ». Questa frase sembra disturbarci: il seguire Gesù e testimoniare il suo insegnamento può anche metterci in situazione di divisione e di lacerazione con noi stessi, i nostri stessi familiari e amici. Eppure gli angeli alla nascita di Gesù a Betlemme hanno annunziato all’umanità la pace; Egli ha proclamato nelle Beatitudini: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » ; risorgendo e apparendo agli apostoli li ha salutati augurando: « La pace sia con voi » ; nella celebrazione della Eucaristia risuonano le sue parole: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace ». Come conciliare queste espressioni con ciò che oggi Gesù ci dice?
Se leggiamo in profondità il messaggio di Gesù ci accorgeremo che le sue parole, le sue affermazioni non sono in contraddizione. Egli, come grande costruttore di pace, è venuto a riconciliarci con il Padre celeste e ci ha insegnato il perdono reciproco, il vivere da fratelli nella carità vicendevole e a costruire ponti di fraternità. La pace di Gesù non consiste nel quieto vivere di un benessere materiale ed egoistico, non è l’ accettazione disinteressata e comoda di ingiustizie, sopraffazioni e prepotenze, non il disimpegno di fronte alle gravi problematiche che ci sono nel mondo, né l’acquiescenza nei vizi che oggi dominano nelle nostre coscienze. La pace che Gesù vuole darci comporta, a volte, lacerazioni interiori con se stessi, negli affetti anche più intimi e nelle relazioni con gli altri. La pace di Gesù comporta una continua e aspra lotta contro ogni forma di male che può crescere nel nostro cuore e attorno a noi. La pace di Gesù è quella che si ha nel cuore quando viviamo in pace con Dio, in conformità alla sua volontà e nella vera fraternità dei figli di Dio.
La fede cristiana è contestazione della logica del “mondo”.
La fede e la vita evangelica del credente in Gesù si pone come contestazione del male che vuole prendere radici in noi e nel cuore degli uomini.
Gesù ci ha invitati, fin dal primo momento del suo annunzio, a convertirci, a sradicare il male dai nostri cuori, a cambiare le nostre cattive abitudini e a portare frutti buoni. I suoi insegnamenti e le sue parole sono esigenti e a volte paradossali, scandalose, lontane dalle nostre logiche interessate ed egoistiche :« Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, càvalo e gettalo via da te…Se la tua mano ti è occasione di scandalo, tagliala » ( Mt5,29). Alla donna adultera, che i farisei gli hanno portato davanti perché fosse lapidata, Gesù dice: « Donna, neanche io ti condanno, ma va’ in pace e d’ora in poi non peccare più » ( Gv 8,11). Dio vuole che noi imitiamo l’agire del Padre suo nel nostro agire quotidiano anche se il nostro operare dovesse scandalizzare e porci in conflitto con noi stessi: desidera una vera conversione delle nostre mentalità.
Il profeta Geremia, o ogni altro profeta, che viene contestato è un preannunzio di ciò che sarebbe accaduto al Cristo, il quale ha posto una pacifica contestazione nei confronti del male presente nel mondo: ai farisei che osservavano nelle minuzie la legge ma ne tradivano lo spirito, Gesù rimproverava la loro falsità apostrofandoli “sepolcri imbiancati ”. Ancora, ha contestato l’agire di coloro che avrebbero dovuto salvaguardare il diritto del povero e che invece opprimevano in nome stesso della religione, che facevano del denaro e di se stessi il loro dio invece di adorare il vero Dio. Gesù ha inoltre rivolto parole dure contro i ricchi, i gaudenti e i potenti perché non usavano le ricchezze per sostenere i deboli e i meno fortunati e angariavano i poveri. Ha contestato usanze legali come il divorzio e il ripudio che Mosè aveva permesso. Ha duramente ammonito coloro che danno scandalo: « Sarebbe meglio che si legassero una pietra al collo e si gettassero nel mare ». Ha infine esortato a tenere una vita e una condotta più fedele all’alleanza di Dio e al suo amore. Per tutto questo atteggiamento Gesù ha subito dai capi delle nazioni la condanna a morte e coloro che lo avevano osannato quando aveva moltiplicato i pani o compiuto ogni genere di miracolo lo lasciano condannare, flagellare e crocifiggere. E poiché Dio non abbandona il giusto lo ha fatto « risorgere dai morti e lo ha costituito Signore » come ebbe a dire Pietro nel giorno della Pentecoste ( At 2,24ss).
La sorte di Gesù si rinnova nei discepoli.
Anche ai discepoli Gesù preannunzia che come hanno perseguitato lui perseguiteranno anch’essi, ma assicura loro che davanti ai tribunali avranno dal suo Spirito la forza di rendergli testimonianza e anche di affrontare la morte. E proclama che saranno beati se disprezzati e perseguitati e se sarà detto ogni sorta di male contro di loro a causa sua. Nell’ultima delle Beatitudini dice: « Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi » ( Mt 5,11ss). Così fin dai primi tempi apostolici le parole di Gesù si sono realizzate nel martirio e in ogni forma di persecuzione operata contro i suoi discepoli. Accettando l’invito di Gesù a seguirlo nel suo esempio i cristiani, forti dello Spirito di Cristo, hanno cambiato il mondo con una testimonianza eroica e una contestazione pacifica. Ricordandosi della parole del loro Signore, presente nei poveri, negli emarginati e nei fratelli malati e afflitti da qualunque genere di difficoltà, i cristiani lo hanno riconosciuto e amato nei poveri, hanno difeso gli orfani e le vedove, hanno liberato coloro che sono stati prigionieri e oppressi da qualunque forma di catene, hanno cercato di costruire una società dove sono stati proclamati e anche realizzati, quando è stato possibile, i diritti fondamentali dell’uomo, della donna, dei bambini ecc. Nota è la testimonianze della lettera a Diogneto: « I cristiani amano tutti e da tutti sono perseguitati. Li si disprezza, li si condanna, li si uccide. Oltraggiati benedicono, ingiuriati trattano tutti con rispetto. Fanno loro del bene, e vengono condannati come scellerati ». E Tertulliano, a sua volta, parlando delle persecuzioni dei cristiani, perpetrate anche ai nostri giorni contro di essi, scriveva: « Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani ». In molte parti del mondo i cristiani godono di relativa tranquillità, ma le parole di Gesù del Vangelo di questa Domenica, lì dove la fede o la pratica religiosa vengono contrastate o dove si impone un parlare “politicamente corretto” impedendo la libertà di espressione o di professione pubblica della propria fede, sono ancora attuali, : « D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuova contro suocera ».
I tempi, poi, non sono quelli in cui la pratica religiosa e molti comportamenti venivano ritenuti come una regola comune, né bisogna stupirsi per le diversità di opinioni o di idee che spesso si trovano nei membri della stessa famiglia riguardo a Gesù, la fede, la pratica religiosa, i valori morali e cristiani, per cui la testimonianza della fede bisogna viverla senza paura, con grande chiarezza e umiltà di fronte a chiunque, pur nel rispetto reciproco con coloro che esprimono idee, comportamenti e opinioni differenti.
Vivere come comunità di fede, impegnati ad essere ancora oggi “luce del mondo e sale della terra ”, "come città illuminata che dal monte” indica la direzione, la rotta e l’orientamento all’uomo del nostro tempo smarrito nell’indifferentismo, nel relativismo etico, nel pluralismo di opinioni, è per i discepoli del Signore un cammino difficile ma necessario per essere edificatori della pace che Gesù vuole sia costruita tra gli uomini : pace che nasce dalla resistenza al male e dalla costruzione costante del bene fondato su valori umani, sociali, psicologici e religiosi condivisi.
Prima Lettura: Ger38,4-6.8-10.
Geremia è perseguitato e condannato a morire perché il suo messaggio non è conforme ai disegni e alle attese dei capi. La ragione è semplice: egli trasmette la Parola di Dio, il quale richiama la necessità di affidarsi a lui, e non ai propri calcoli ingannevoli, di convertirsi, e non di credere vanamente che la distruzione di Gerusalemme e l’esilio sono lontani e scongiurati. Il profeta non recede e sopporto la persecuzione. Egli è il simbolo di Cristo, il giusto condannato per il suo amore alla verità e la sua fedeltà a Dio. Alla fine Geremia viene fatto risalire dalla cisterna: prefigura così Gesù che sale risorto e glorioso dal sepolcro. Chi si affida a Dio e segue lui non può essere destinato alla perdizione.
Seconda Lettura : Eb 12,1-4.
Gesù è il modello di quanti si consegnano assolutamente a Dio. Egli è « colui che dà origine alla fede e la porta a compimento ». Con questo atteggiamento di abbandono affronta la morte di croce, donandosi liberamente e non per costrizione alla volontà del Padre, dal quale viene glorificato e costituito Signore, Ci è di esempio nelle nostre sofferenze. La passione ci sostiene e ci stimola a perseverare, a non stancarci, a non cedere. Abbiamo sempre persecuzioni per la fede, anzitutto dentro di noi. Solo una magnanimità simile a quella di Gesù – il disprezzo dell’ignominia, dice la lettera agli Ebrei – ci dà la forza di resistere.
Vangelo : Lc 12,49-53.
Gesù è tutto preso dalla tensione e dal desiderio di compiere la sua passione, di immergersi in essa per portare a temine il disegno di salvezza. Egli viene a portare il fuoco che purifica e discrimina, lo Spirito che brucia.
Il Vangelo infatti divide, in quanto esige una decisione e una presa di posizione. In questo senso porta non la pace, gli accomodamenti, i dialoghi tranquilli, ma la guerra. Di fronte a Cristo si operano si operano le scelte che sono determinate non più dai legami di sangue, che passano in secondo ordine: l’assoluto è lui. Per capire tutto questo occorre avere l’intelligenza e la sapienza evangelica, che sa individuare la presenza di Cristo, il compimento del disegno di Dio. Non bisogna essere spiritualmente tonti, ma discernere i segni dei tempi.
Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo in anima e corpo
15 Agosto – Assunzione della Beata Vergine Maria al cielo.
Quando diciamo “Padre nostro che sei nei cieli” non dobbiamo intendere un luogo materiale in cui dimora Dio, ma una esistenza diversa da quella materiale, terrena in cui viviamo noi, una esistenza nello spirito e nella immaterialità. Celebrando la solennità della assunzione della Beata Vergine al cielo, allora, crediamo che anche Maria come Gesù, che in anima e corpo risorto vive nell’esistenza divina di Verbo del Padre, vive nell’esistenza immortale, nella comunione eterna di Dio, in anima e corpo. Celebrando Maria noi celebriamo la sorte gloriosa che attende tutti noi, perché lei, dopo Gesù, è segno di sicura speranza di risurrezione e di vita in Dio. Come Maria che già vive nella gloria di Dio e nella sua presenza, anche noi aspiriamo a vivere in piena comunione con Dio.
Maria assunta perché Madre di Dio.
Se la morte, dice la Scrittura, è entrata nel mondo come conseguenza del peccato originale e della disobbedienza dell’uomo a Dio ( Rm 5,17-21), e il Cristo, il Figlio di Dio, fattosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ( Lc 1,31.35), per la sua obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce ( Fil 2,8) è divenuto causa di salvezza per coloro che gli obbediscono (Eb 5,9), riconciliandoci con Padre, con la sua risurrezione è divenuto primizia di coloro che risorgono dai morti (Cor 1,15-28) e sono destinati alla risurrezione e alla vita in Dio.
Da ciò deriva che la Beata Vergine Maria, avendo ricevuto per singolare privilegio di essere esente dalla disobbedienza di Adamo, ed essendosi come Gesù resa obbediente al progetto di Dio con il suo “sì” alla Maternità del Figlio, non ha sperimentato la morte ed ha ottenuto un’esistenza in anima e corpo in Dio come il suo Figlio partecipando della sua stessa gloria.
Maria, che ha accolto il Figlio di Dio con la fede nel suo cuore, lo ha generato nel suo grembo divenendo l’Arca di Colui che avrebbe instaurato una Nuova ed Eterna Alleanza ed è stata unita a lui in tutta la sua vita terrena, sempre per un “ conveniente dono di grazia” , partecipa pienamente della stessa gloria del Figlio nella Gerusalemme celeste. Anche in cielo Ella è “Arca dell’Alleanza”, come ci dice la Lettura dell’Apocalisse, “donna vestita di sole” che partorisce il bambino “rapito verso Dio e verso il suo trono”, compiendosi così “la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo”.
« Colei attraverso la quale Dio ha realizzato sulla terra il suo progetto di salvezza, incarnandosi e portando a compimento la nuova alleanza, gode della piena realizzazione dell’alleanza che si colloca oltre la storia umana nel regno di Dio, nella risurrezione della carne, nel cielo ». ( Dal Messale delle Domeniche e Feste,2013, Ed Elledici). E’in questa prospettiva di fede che i cristiani celebrano questa Festa solenne della Assunzione al cielo di Maria in anima e corpo.
Le grandi opere compiute in Maria dall’Onnipotente..
Ciò che celebriamo, l’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, è una delle tante meraviglie che Dio ha operato in lei. Tutto è opera di Dio e che Maria è stata scelta, nonostante la sua umiltà e fragilità, ad essere la Madre del Figlio di Dio, è un dono gratuito di predilezione del Padre. Anche noi siano, dalla creazione fino alla nostra definitiva salvezza operata da Cristo, oggetto dell’amore gratuito di predilezione di Dio Padre che avendoci incorporati al suo Figlio mediante il battesimo ce l’ha donata come nostra Madre. Per questo le tributiano la nostra venerazione e la poniamo accanto a Gesù, assunta in cielo da dove esercita anche verso di noi la sua maternità.
Maria è la primizia dell’umanità salvata e rinnovata dalla misericordia di Dio per mezzo del suo Figlio ed è posta e celebrata come segno di speranza per noi che aneliamo al cielo per essere insieme a Cristo, nostro Capo, e a lei, nostra Madre.
Dio che « Rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi » compie le sua meraviglie quando l’uomo pone, non nell’abbondanza dei beni né nel potere o nell’onore del mondo, ma nella comunione e nell’amore con lui la sua vita. Maria, avendo vissuto qui in terra in comunione con la Trinità nel suo compito di Madre, oggi è in cielo, con tutto il suo essere, anima e corpo, a partecipare della pienezza della gioia e della gloria di Dio. Maria, primizia e immagine della Chiesa, segno di consolazione e di sicura speranza, attende noi suoi figli ancora peregrinanti in questa terra d’esilio e intercede per la nostra definitiva salvezza insieme al Figlio presso Dio.
Maria ci ha preceduto nella gloria celeste.
Se Maria, per il suo ruolo nel progetto di Dio, è stata fatta oggetto di singolari privilegi, non vuol dire che noi dobbiamo porla su un piedistallo di grandezza discriminatoria, perché tutti in Cristo, per volontà del Padre. « siamo stati scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità » ( Ef1,4), predestinati ad essere figli adottivi ed eredi della stessa gloria del Figlio.
Come per Gesù, con il corpo risorto e asceso alla destra del Padre, e Maria, assunta anche lei con il corpo nella gloria, anche noi parteciperemo nella risurrezione alla loro stessa gloria: il nostro corpo si ricongiungerà al nostro spirito e con tutto il nostro essere vivremo nella pienezza di Dio.
L’Eucaristia che celebriamo, mediante l’opera dello Spirito Santo che rende presente Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue, ci trasforma in Cristo e diveniamo già partecipi dei beni futuri, di cui essa è caparra e anticipazione di immortalità.
« L’Eucaristia è pane di vita eterna per la comunione con lo stesso Gesù che Maria ha portato in grembo e dunque con quel Gesù con cui vive nella pienezza della sua femminilità,maternità, familiarità, con le storie vissute e i sentimenti nutriti » (Messalino delle Domeniche e Feste, Ed.Elledici, 2013).
Prima Lettura: Ap 11,19.12,1-6.10.
La liturgia trova l’ evocazione di Maria nell’arca dell’alleanza del santuario celeste e nella donna vestita di sole che partorisce un figlio, sottratto alle forze del male rappresentate nel drago. L’Apocalisse descrive la parabola della Chiesa, poiché alla Chiesa immediatamente si riferisce l’immagine della donna incoronata da dodici stelle. Ma Maria è nella Chiesa, come tipo ed esemplare, a sostenere le vicissitudini del popolo nuovo che rivive il cammino del deserto, protetto dalla potenza e dalla regalità di Cristo.
Seconda Lettura: 1 Cor 15, 20-27.
Gesù è risorto come il primo: a lui, e a sua immagine, seguiranno quelli che « sono di Cristo », cioè quelli che hanno creduto in lui e ne hanno ricevuto la vita. Tra tutti questi la prima è Maria, che di Cristo è la Madre.
Vangelo: Lc 1,39-56.
Maria è stata scelta da Dio per pura grazia. Questa consapevolezza fa scaturire in lei il gioioso riconoscimento della bontà di Dio, che compie opere grandi in quantici affidano a lui e in lui pongono ogni speranza.
Sia Elisabetta sia Maria gioiscono in Dio, che riconoscono come loro Salvatore che ha realizzato le promesse incarnandosi, offrendo la sua vita per amore sulla croce e risorgendo. Alla realizzazione di queste promesse partecipa innanzitutto Maria, la Madre, Colei che ha creduto; vi partecipiamo poi anche noi, perché anche noi siamo destinati come il Cristo, di cui siamo membra, alla risurrezione e alla vita in Dio per l’eternità.
La vigilanza e l'attesa del Signore.
11 Agosto – XIX Domenica del Tempo Ordinario.
La vigilanza e l’attesa del Signore.
La parola di Dio, anche oggi, ci esorta ad avere verso la ricchezza, l’attaccamento ai beni terreni e il desiderio di accumulare tesori sulla terra, un atteggiamento di distacco e a vivere nella fede la vigilanza nell’attesa del nostro incontro con il Signore. Siamo esortati dal Signore, attraverso la sua parola, non solo ad una riflessione morale sui nostri atteggiamenti nei confronti delle realtà terrene da cui dobbiamo vivere distaccati, ma soprattutto a vivere uno spirito di povertà, incamminati verso la risurrezione e all’incontro con il Signore nel suo ritorno glorioso.
Il ricordo delle opere compiute da Dio verso il suo popolo nella prima lettura ci fa riflettere sulla bontà del Signore e ce ne fa cantare le lodi.
La memoria di ciò che il Signore ha fatto per il suo popolo e per noi deve rafforzarci nella fede e vivere fiduciosi che, nella sua venuta, egli riverserà sui suoi figli l’amore che già hanno potuto sperimentare. Allora la storia dell’umanità si apre ad una prospettiva ultraterrena ed universale, cioè le nostre vicende sono inserite nell’eterno, in cui tutti siamo coinvolti per il progetto d’amore di Dio Padre. Nella lettera agli Ebrei ci viene riproposta la fede di Abramo che nella fede compie il viaggio verso un luogo a lui ignoto, la Terra promessa; la fede dei patriarchi, Isacco e Giacobbe, di Sara, i quali morirono tutti nella fede, « senza aver ottenuto i beni promessi, ma solo di averli visti e salutati da lontano, riconoscendosi di essere stranieri e pellegrini sulla terra » ; la fede del popolo d’Israele che Dio accompagna, lungo il deserto, facendosi guida con la colonna di fuoco, mentre per i battezzati nel Cristo la luce del battesimo ci guida lungo la vita terrena verso la patria celeste.
La sequela del Signore.
Nel Vangelo Gesù ci presenta precisi atteggiamenti per la nostra vita cristiana: la scelta che dobbiamo fare di seguire e imitare Gesù, tesoro da custodire nel nostro cuore. La scelta radicale di seguire Gesù si concretizza nel vendere tutto ciò che si possiede e facendo l’elemosina ai poveri; vivendo, inoltre, la povertà come distacco da ogni forma di possesso egoistico dei beni materiali, liberi interiormente e pronti a poter andare incontro al Signore nel nostro incontro con lui. E’, ci dice Gesù, in concreto, un cammino di liberazione da se stessi e dal proprio egoismo, tenendo sempre presente ciò che è davvero importante: essere sempre pronti all’incontro con il Signore. Vivere nella sobrietà, poi, non significa voler ostentare povertà, né ritenerlo dovere morale, o modo di tacitare la coscienza, ma solo vivere nella speranza del tempo nuovo che Cristo ha inaugurato con la sua resurrezione e che noi anticipiamo nella vita della Chiesa, che è primizia del regno sulla terra.
La vigilanza.
Un altro atteggiamento che il Vangelo ci suggerisce nella seconda parte è quello della vigilanza che dobbiamo vivere nell’attesa del Cristo, il quale ci ha assicurato che verrà. Se già il cristiano si sente appagato da ciò che possiede che cosa può ancora sperare? Forse dal desiderio di possedere sempre di più. Vivere nella speranza dell’incontro con il Signore richiede la capacità di farsi povero vivendo tutta la vita come un dono di grazia e come abbandono fiducioso in Dio e nella sua provvidenza. Solo chi è veramente povero nel senso evangelico può vivere la speranza, e divenuti discepoli di Gesù, testimoniare e vivere la tensione verso la vita futura realizzata da Cristo: si risponde così all’invito pressante che Egli ci rivolge: « Siate pronti , con le cinture ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito » (Lc 12,34).
San Paolo e i Padri della Chiesa hanno fatto spesso eco all’esortazione di Gesù e il Cardinale Martini scriveva: « Il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana, ma ne riassume la tensione caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l’attenzione e la cura per il momento presente. Il vigilare diviene particolarmente attuale nei tempi di crisi o di smarrimento, quando cioè la mancanza di prospettive storiche unita ad una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità dell’ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere».
Vigilare sempre, specie nell’ora della morte.
La vigilanza per il cristiano deve essere esercitata in tante modalità e tempi. Nella scelta quotidiana dei propri doveri davanti alle facili tentazioni di eluderli; l’attenzione nel porre gesti di servizio a favore dei fratelli; saper vigilare e essere pronti nell’aderire al progetto salvifico di Dio prendendo decisioni che educhino l’individuo nelle scelte della vita per sé per gli altri; vigilare soprattutto sulla morte che deve far porre l’attenzione di tutti verso chi vive l’angoscia della morte nella malattia, nella vecchiaia. La Chiesa tutta deve saper vigilare affinché, valorizzando il Sacramento dell’Unzione degli Infermi, faccia vivere il gesto come momento di comunione fraterna, come dono di una speranza nuova che rende forti nella vigilanza contro ogni forma di scoraggiamento.
Vigilare nel momento finale e più importante dell’esistenza.
In ultimo davanti alla morte il cristiano deve essere vigile e forte nella sua adesione finale al Signore, davanti al quale si è chiamati a comparire. Il cristiano, recitando l’Ave Maria, chiede alla Madre celeste che « Preghi per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte », avendo così sempre presente il ricordo che la nostra vita terrena finisce e che noi siamo chiamati ad andare verso Dio. Veniamo così richiamati costantemente verso le realtà che hanno per noi la massima importanza. Gesù d’altra parte, ci ammonisce ricordandoci: « Che importa all’uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la sua anima? » ( Mt 16,26). Gesù vuole farci vivere la nostra esistenza con grande senso di responsabilità, perché alla fine della nostra vita ci domanderà cosa abbiamo fatto per i nostri fratelli in difficoltà, per gli ammalati, gli esclusi, per gli affamati di giustizia, per i privati della loro dignità. Vigilando in ogni momento della vita, compiendo il bene, vivremo l’ultimo istante della nostra vita sicuri che nella casa del Padre celeste saremo accolti come servi saggi, chiamati a vivere con Lui nella eternità.
Prima Lettura: Sap 18,6-9.
E’ bene meditare sulle opere di Dio, sui suoi interventi di grazia, e particolarmente sulla liberazione pasquale, dove Dio stesso con i suoi miracoli conduce il suo popolo, premia quanti gli sono fedeli e giudica chi si oppone al suo disegno. Questa meditazione infonde speranza, fondata sulla fedeltà di Dio, che non abbandona. Anche i cristiani tornano, con la memoria e con il rendimento di grazie , al «glorioso emigrare », ormai avvenuto con la Pasqua di Cristo, e in atto sotto la sua guida. Rimeditando la Pasqua di Gesù, stiamo di buon animo: alimentiamo la fede; rafforziamo l’impegno. Non vacilliamo: l’Eucaristia è la presenza di Cristo che ci fa da guida nel viaggio.
Seconda Lettura: Eb 11,1-2.8-19.
La fede è ciò che contrassegna gli amici di Dio, i suoi fiduciari e collaboratori nel compimento della storia della salvezza. E’ per questa stessa fede che si è « approvasti da Dio », cioè si è giusti davanti a Dio. La fede però deve diventare operosa: si crede, si obbedisce, si spera in Colui che è fedele e si attende dalla sua infallibile parola e promessa. La fede infatti è un’attesa, un cammino, un sospiro, un desiderio, una ricerca della patria celeste oltre questa terra. Esemplare di questa fede è Abramo, con la sua disponibilità persino a sacrificare il figlio, con la certezza che « Dio è capace di far risorgere anche dai morti ». A queste condizioni siamo credenti anche noi; anche noi facciamo l'esperienza della morte e della vita. Soprattutto faremo un giorno questa esperienza , quando ci accorgeremo che Dio non ha mentito. Invece siamo sempre tentati di diffidare, di non credere fino in fondo, di trattenerci nelle buone intenzioni senza passare all’opera della fede. Gesù. ritornato alla vita dopo la morte, ci deve dare sicurezza.
Vangelo : Lc 12,32-48.
In questo mondo il cristiano è come « un piccolo gregge », ma non deve sentirsi meschino e trascurato; al contrario : il Regno è proprio dato a lui dal Padre. Questo Regno è per i poveri e gli umili, e per essere tale il discepolo del Signore si distacca dai beni di questo mondo, e pone il suo cuore altrove, dove c’è il suo tesoro, Gesù Cristo. Per la stessa ragione il cristiano vive vigile e pronto, in attesa dell’incontro con il Signore, per non farsi trovare assonnato e indisposto, ma pronto. Allora sarà Gesù stesso a invitarlo al banchetto celeste e a servirlo. Occorre essere fedeli e saggi.
Vale per tutti l’ammonimento, e in modo particolare per quanti hanno nella Chiesa una responsabilità: non devono comportarsi con arbitrio e prepotenza, ma servendo e attendendo il padrone. Solo Cristo è il Signore, e tutti siamo servi nella sua Chiesa.
Ultimo aggiornamento (Sabato 10 Agosto 2013 23:51)
i veri tesori da accumulare per il cielo.
4 Agosto – 18a Domenica del Tempo Ordinario.
I VERI TESORI.
La ricchezza, tema attuale anche nel nostro tempo, la si può considera in varia maniera: o come desiderio di possedere, o come una realtà da cui si vorrebbe essere baciati, o come preoccupazione di ciò che si vorrebbe difendere, o come sogno che non è possibile realizzare non avendo, a volte, neanche un lavoro. Con il denaro, almeno nella nostra società occidentale, si pensa di poter avere accesso a tutto, e non solo alle cose materiali.
Oltre che le case, il successo, la salute ecc. si pensa anche che è possibile comprare le persone. La proprietà (siano essi beni o denaro), da mezzo materiale, garanzia di sussistenza per la vita, la si considera, da parte di tanti, come idolo, da realizzare a tutti i costi e la si idolatra fino a diventare « avarizia insaziabile » (Col 3,5).
Davanti al benessere si assume, spesse volte, un atteggiamento da schiavi e la nostra società ci spinge verso un consumismo sfrenato, per cui il possesso delle cose diventa segno di realizzazione personale o di promozione sociale, uno status symbol. Oggi, la Parola di Dio ci chiama ad un confronto della nostra vita con essa e ci sollecita ad una presa di coscienza riguardo al nostro rapporto con la ricchezza.
Dove sta la vita sapiente?
Nella prima lettura, dal libro del Qoèlet, ci viene fornita la consapevolezza che dobbiamo avere della transitorietà delle cose umane e materiali.
La vera sapienza ci porta ad esaminare le cose spirituali e ci invita a riconoscere quello che davvero conta nella vita, considerando tutto, ricchezza, onori, successo, benessere, fatiche e preoccupazioni del cuore e affanni, come vanità. La sapienza che viene dall’alto ci invita a ricercare una felicità duratura, un bene veramente prezioso per il nostro cuore. Siamo esortati a considerare le cose che concretamente possediamo alla luce della Parola di Dio e in relazione con il Signore.
Il credente deve, allora, valutare i beni e ciò che si può avere nella vita, anche se raggiunti con fatica, alla luce della fede e della rivelazione di Dio. Gesù, poi, nel Vangelo ci insegna a diffidare della ricchezza, soprattutto quando si ricerca o la si ritiene con cupidigia e avarizia: perché la vita non dipende dall’abbondanza dei beni che si possiedono.
Gesù, attraverso la parabola del ricco possidente, i cui campi avevano dato un abbondante raccolto, e che aveva fatto un programma di vita dicendo a stesso: riposati, mangia, bevi e datti alla gioia, senza fare i conti con la morte che lo avrebbe raggiunto nella notte, ci insegna che si è stolti come quell’uomo perché « si accumulano ricchezze per sé e non ci si arricchisce davanti a Dio».
Gesù considera stoltezza porre la propria felicità nelle cose. Egli non condanna i beni in quanto tali, ma averli ridotti a meta del proprio vivere e unico scopo per poter avere gioia e felicità. Aver ridotto i beni e le ricchezze ad idolo allontana da Dio: nel Vangelo l’esperienza dei ricchi, come Zaccheo, Matteo, il giovane ricco, mostra come essi sono lontani da Dio, perché sono concentrati sui loro conti e non si accorgono di Gesù se non quando li chiama ed entra nella loro vita, donando loro la gioia dell’incontro con la salvezza. Quando Gesù viene accolto libera dalla schiavitù della ricchezza e dei beni. Matteo lascia il banco delle imposte, Zaccheo rimborsa coloro che erano stati da lui defraudati. Nella parabola dell’amministratore infedele esorta a farsi degli amici con la iniqua ricchezza attraverso l’esercizio delle opere di carità. Ma ciò che è importante per Gesù è aver incontrato lui, averlo riconosciuto come Unico Bene per la propria esistenza, essersi affidati a Lui e alla sua parola.
Accumulare tesori per il cielo.
La ricchezza della fede, riconoscere la signoria di Cristo nella propria vita, lasciarsi guidare dal sua Parola, è certamente per il credente il ricercare la vera ricchezza. Questo lo impegna come dice san Paolo a perseguire le cose di lassù in cui si trova il proprio patrimonio.
« Sembrerebbe consolatorio ammettere che nella fede tutti siamo ricchi e dunque appagati anche quando, di fatto, viviamo in condizioni precarie di vita, siamo perseguitati dai debiti e dai mutui, condannati a spendere prima ancora di aver guadagnato, dovendo confidare in rate e cambiali » (Messale delle Domeniche e feste, Elle di ci,Ed 2013). Con il suo insegnamento Gesù non vuole togliere dall’uomo il rispetto per le sue esigenze, i suoi bisogni, le sue necessità, perché a chi lo ascolta egli non rivolge solo le sue parole, ma si prende cura delle sofferenze e delle necessità di tutti gli uomini.
E nelle Beatitudini in cui proclama beati i poveri in spirito non giustifica la miseria, né desidera che l’uomo viva di stenti. Dio, se ha dato all’uomo di trarre dal suolo il nutrimento, non vuole che per l’egoismo di alcuni altri muoiano di fame o abbiano a soffrire. Beato, allora, è chi davanti a Dio sa riconoscersi povero, distaccato dai beni di fortuna o meritatamente guadagnati, e si affida al suo amore di Padre. E’ povero, ma ricco di Dio, colui che sa spogliarsi di tutto e sa vivere in comunione con i fratelli, condividendo con essi tutto quello di cui si dispone, come Gesù che da ricco che era divenne povero per arricchirci della sua ricchezza divina, si è abbassato fino alla morte per elevarci alla sua gloria e alla dignità divina. Spogliarsi, allora, delle proprie ambizioni, della propria superbia, del desiderio di predominio sugli altri, della cupidigia e dell’avarizia, dell’attaccamento e possesso dei beni materiali significa ottenere più facilmente la vita eterna.
Prima Lettura: Qo1,2;2,21-23.
Le cose terrene sono inconsistenti, sfumano in un attimo, ed è vano l’affidarvisi. Ogni realtà è intrisa di inquietudine e di affanno. Il messaggio di questa pagina biblica è sempre attuale, di fronte alla tentazione di appoggiarci alle creature, di affannarci vanamente, credendo di trovare sostegno in cose che in realtà sono destinate a scomparire. Quest’esperienza è preziosa, non perché ci deve portare all’impigrimento, all’accidia o al pessimismo desolato e scettico, ma perché sgombra il cuore e lo induce ad affidarsi a Colui che non passa, che resiste nella mutevolezza delle vicende delle creature terrene; in una parola: ad affidarsi a Dio con la povertà e la libertà del cuore.
Seconda Lettura: Col 3,1-5.9-11.
Secondo san Paolo siamo già partecipi della risurrezione. E’ vero che questo non è ancora palese, che si trova ancora nascosto. Ma è già realtà, che attende d’essere manifestata nella gloria. Intanto tutta la nostra attenzione dev’essere oltre questa terra e il suo orizzonte: la nostra condotta deve assumere il modello e il principio da Gesù risorto, nella mortificazione di tutto quello che è « terreno », e Paolo per terreno intende i vari aspetti del peccato, quello che è tipico « del’uomo vecchio », di cui si è ormai spogliati. Dunque ciò che vale veramente e assolutamente non sta fuori, ma dentro di noi: nel mondo interiore, dove opera e si fa sentire il mondo della risurrezione. Quello che è decisivo è la scoperta di questo mondo, la sua esperienza il suo gusto. Il resto passa in secondo ordine. La vita cristiana è un’attesa e un anticipo di quella eterna.
Vangelo: Lc 12,13-21.
Stolto e illuso è il ricco che affida la propria riuscita e e soddisfazione alle ricchezze, dimenticandone l’intima instabilità e insicurezza, la radicale vanità. Egli credeva che quel che importava fosse accumulare tesori terreni per sé, e dimenticava che la ricchezza che vale e che resiste è quella che si acquista e si accresce davanti a Dio.
C’è gente che sembra ricca, ed è nella miseria estrema; c’è gente che al giudizio del mondo è povera, ma possiede la vera ricchezza. La grazia, la santità, le opere di carità sono la ricchezza che resiste e non è soggetta alla volubilità e all’inconsistenza delle cose del mondo. Si tratta di essere poveri secondo il Vangelo.
La paternità di Dio:la preghiera del Padre nostro.
28 Luglio – 17a Domenica del Tempo Ordinario.
Gesù ci insegna a pregare il Padre nostro.
La parola di Dio, oggi, ci invita a riflettere sulla preghiera. Abramo, padre nella fede del popolo ebreo e nostro, ci viene presentato come colui che dialoga con Dio a tu per tu e che chiede a Lui con insistenza di preservare Sodoma dalla distruzione. Dio, come leggiamo nel salmo responsoriale, non rimane insensibile alle nostre suppliche, ma interviene in nostro aiuto, perché grande e per sempre è il suo amore e la sua fedeltà attua le sue promesse verso le creature che lo invocano. Il Vangelo, infine, ci presenta Gesù come Maestro di preghiera.
Gesù prega e invita a pregare.
Gesù, prega il Padre celeste nel silenzio della notte, in luoghi deserti, prega nel Getsemani, ormai vicino alla morte. La sua preghiera, il suo colloquio con il Padre, nasce dalla profonda conoscenza e unione inscindibile che Egli ha con Lui. Gesù nella sua preghiera porta le suppliche di tutti gli uomini, le fatiche della missione, il destino di un popolo.
Una preghiera, quella di Gesù, certo, ad un livello elevato, non facilmente raggiungibile da noi. Abramo e Gesù ci vengono presentati come modello dell’ adulto nella fede e nel rapporto con il Signore; dell’uomo maturo che cerca il Signore in una preghiera carica di responsabilità che ha assunto di fronte al popolo, per intercedere: Abramo per la sorte di Sodomia e Cristo per la salvezza dell’umanità, davanti a Dio.
Abramo, che ardisce più volte invocare il Signore per il destino di Sodoma e Gomorra, e come fa Gesù, ci insegnano ad affidare al Signore le nostre suppliche cariche di domande sul piano di Dio per gli uomini.
Abramo intercede per quel popolo, che Dio vuole distruggere a causa dei suoi peccati, sentendosi coinvolto nella vicenda di quelle città: la preghiera è anche un rivolgersi a Dio a favore di tutta l’umanità sentendosi solidale con essa nel suo destino di salvezza o di perdizione. Anche Gesù si fa compagno e solidale con l’uomo e lo accompagna nella sua crescita spirituale suggerendogli le parole che lo avvicinano a Dio, per un dialogo autentico con Lui.
Gesù insegna il Padre nostro.
I discepoli un giorno chiedono a Gesù che insegni loro a pregare, così come Giovanni, il Battista, aveva fatto con i suoi. Gesù, allora, inventa per loro e per tutti coloro che saranno i suoi seguaci la bella preghiera del Padre nostro, in cui racchiude tutta la sua maniera di dialogare con il Padre celeste e in cui ci insegna a chiedere a Dio le cose che sono fondamentali nel nostro rapporto con Lui e con i fratelli.
I cristiani hanno usato questa formula, che anche noi attualmente usiamo, fin dai primissimi tempi del cristianesimo.
Padre. La parola Padre. Tra tutte le parole che si sarebbero potute usare per indicare Dio (signore, padrone, creatore, onnipotente…) Gesù ha scelto la parola « padre », che è la più vicina per farci comprendere il profondo mistero di Dio. Se un padre è colui che dona la vita a un figlio, allora, Gesù ci ha insegnato che Dio ci ha dato la vita, la quale è un dono di un padre e di una madre, ma anche di Dio.
Come un padre è vicino al figlio per nutrirlo, aiutarlo, crescerlo bene, e, cresciuto che è, lo rispetta nella sua libertà continuando a volergli bene e a dargli una mano nelle necessità, così fa Dio con l’uomo. Per nostro amore Dio Padre sa trarre fuori il bene anche dal male e dimostra la sua pazienza paterna fino all’inverosimile. Nella parabola del Figlio prodigo Gesù descrive l’atteggiamento del Padre celeste verso l’uomo, che abbandona la casa paterna e si allontana dal suo amore, raggiungendo un alto grado di affetto paterno che sconvolge ogni logica: lo aspetta che ritorni con pazienza e, quando lo può riabbracciare, fa una gran festa per averlo riavuto sano e salvo.
Sia santificato il tuo nome. Se il « nome » per gli ebrei indica la persona che lo porta, significa che tutti lo riconosciamo come Dio. Viene santificato il suo nome, se gli uomini accolgono in loro il suo regno, che è il tempo in cui Dio vuole essere nostro Padre, poiché ci chiama ad accettarlo come Padre e ad accoglierci l’un l’altro come fratelli. Viene anche santificato il suo nome se i figli fanno la sua volontà.
Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, cioè il pane necessario per vivere. Se il cristiano lavora, si occupa del domani, non si preoccupa : se produrrà il pane e ogni cosa necessaria alla sua vita, sa che dovrà essere al servizio di chi ha meno talento, possibilità e fortuna.
Perdona a noi i nostri peccati perché anche noi dobbiamo perdonare ad ogni nostro debitore. Verso colui che ci ha offeso o fatto del male, Gesù ci insegna che dobbiamo esercitare il perdono e l’amore, condizione per poter ottenere perdono e misericordia da Dio Padre, quando al termine della vita ci incontreremo con lui.
E non abbandonarci alla tentazione ma liberaci dal male. I cristiani chiedono a Dio Padre di dar loro l’aiuto per vincere il male e non soccombervi. In queste parole della preghiera del Signore c’è semplicità, concretezza e tutto ciò che è necessario chiedere al Padre celeste con la confidenza filiale e totale in Lui. Gesù ci invita anche ad una preghiera incessante, fiduciosa, che non si stanca, poiché Dio è Padre sempre disponibile ad ascoltarci. Egli vuole il bene dei suoi figli e la nostra gioia.
Prima lettura: Gn 18, 20-32.
La pazienza di Dio, il suo ascolto pieno di comprensione, la sua disponilità a « cedere » alle richieste dell’uomo: ecco quanto appare dall’insistente e ardimentosa preghiera di Abramo, umile e coraggioso insieme. Solo che ad un certo punto la richiesta di Abramo termina, e allora avviene il castigo: neppure dieci sono i giusti per i quali Dio risparmierebbe la sua condanna. Apprendiamo da questo brano a osare nella preghiera, ad affidarci alla longanimità di Dio. Ma troviamo anche un’altra idea: i giusti risparmiano i peccatori. Questo avviene quando anche da un solo giusto, Cristo Gesù, - non da dieci - saranno espiati e perdonati tutti i peccati del mondo.
Seconda lettura: Col 2,12-14.
I nostri peccati sono stati perdonati sulla croce di Gesù. Il documento che ci condannava vi è stato appeso e annullato, dice san Paolo. Da morti che eravamo, siamo stati risorti con lui. Mediante il Battesimo si sono come ripetuti per noi e in noi i decisivi misteri del Signore, gli avvenimenti della salvezza: la sepoltura e la risurrezione. Un breve rito, con tanta grazia ed efficacia. Siamo chiamati a tornare spesso al Battesimo, che ha avuto per noi così grande virtù, contro il rischio di dimenticarcene e quasi di banalizzare quell’avvenimento determinante per la nostra esistenza adesso, nel tempo, e poi per l’intera eternità.
Vangelo: Lc 11,1-13.
Gesù è il nostro maestro di preghiera. Che cosa dobbiamo chiedere ce lo ha insegnato nel « Padre nostro »: la sua glorificazione, la venuta del suo regno; il compimento del suo disegno, il pane di ogni giorno, il perdono dei peccati, la liberazione dal Male. Non basta però chiedere: è necessaria la perseveranza, quasi importuna, che si affida al cuore di Dio, più tenero e accogliente del cuore di un padre. Dobbiamo pregare senza timore, con assoluto abbandono. La questione decisiva è quella di comprendere la paternità di Dio. Da lì deriva tutto il tono e il clima della nostra vita.