UN PANE DI VITA E UN CALICE DI SALVEZZA
GIOVEDI’ SANTO
UN PANE DI VITA e UN CALICE DI SALVEZZA
Il Giovedì santo la Chiesa si raduna per celebrare l’Eucaristia nel ri- cordo dell’ultima cena, del comandamento dell’amore e dell’istituzione del sacerdozio. Il Signore anticipa nel « segno » il sacrificio della croce. Colui che è ricevuto nell’Eucaristia è l’Agnello di Dio immolato, che toglie il peccato del mondo. Egli si rende presente nella celebrazione litur-gica con il suo Corpo immolato che è pane di vita e seme d’eternità, e con il suo Sangue sparso, che è bevanda di immortalità.
La Chiesa oggi ci chiama a contemplare il Cristo nell’ora del suo te-stamento e del dono della vita. E’ bene riascoltare le parole più signi-ficative di questa speciale celebrazione eucaristica.
PAROLE DA RICORDARE
Gesù nell’Ultima Cena, dopo aver lavato i piedi ai discepoli, dà loro un comando: « Vi ho dato un esempio…perché anche voi facciate come io ho fatto a voi ». Il Signore sa quanto le parole possono essere facilmente dimenticate o suonare a vuoto. Così prima di parlare, compie un gesto forte, dal significato profondamente universale, anche se forse può disturbare qualcuno, come Pietro. Dopo aver lavato i piedi dei Dodici, il Maestro li interroga. Vuol sapere se hanno compreso i suo gesto per po-terlo ripetere nel tempo, carico del suo preciso significato. In fondo, ribadisce il comando dell’amore, il suo unico e solo comandamento nuovo.E fa capire ai suoi che il ripeterlo è il solo modo utile per evangelizzare continuamente se stessi e farsi ogni giorno servi…per amore.
Gesù aveva desiderato condividere la propria Pasqua con i suoi; de-siderio struggente di intimità, di comunione, di condivisione. Quella cena con i discepoli non era stata lasciata al caso: Gesù l’ha voluta inten-samente. E quella sera egli celebra con loro la sua ultima Cena, per in-augurare una nuova Pasqua, la sua.
Da quel momento, celebrare l’Eucaristia non è conformarsi semplice-mente a un ordine ricevuto: ripetere ciò che ha fatto Gesù. Non è nean-che partecipare ad una semplice cerimonia sacra. Celebrare l’Eucari- stia è fare memoria e rivivere il dono che Gesù ha fatto di tutto se stes-so. E’ essere abitati dallo stesso desiderio, poiché è scritto nella dinami-ca dell’amore: è il volersi sedere a tavola con lui, mangiare la sua stes-sa Pasqua per entrare con lui nello stesso movimento di dono-servizio. E’ entrare nei suoi sentimenti e nel suo stesso essere, è imparare da lui ad essere fratelli e servitori degli altri. Ma più ancora amici.
L’ INQUIETUDINE DEL DONO.
L’Eucaristia, che racchiude l’amore fedele e colmo di tenerezza di Dio per il suo popolo, è un dono che inquieta. Non potrebbe essere altri- menti. Partecipare a questo dono deve far sentire a ogni cristiano l’ansia di un regalo che, liberamente offerto, attende a sua volta di essere condiviso e corrisposto.
Oltre a costituire il culmine della vita cristiana, è un immenso tesoro spirituale, che nasce da un amore infinito: Dio ama fino alla fine. E’ questo fino alla fine a qualificare l’amore di Gesù, Figlio di Dio: un amore pronto e risoluto ad affrontare qualunque sofferenza. Colui che ha proclamato le Beatitudini, manifesta in questa Cena il segreto della vera felicità, nascosto nella fedeltà più autentica e totale dell’amore:
« fino alla fine ». E come gli ebrei, nella prima Pasqua, si cinsero i fianchi per l’esodo verso la terra promessa, Gesù si cinge i fianchi prima di affrontare la grande avventura del più alto servizio che lo conduce alla Risurrezione, passando per il dono della vita attraverso la gloria della croce.
Amare e servire è un tutt’uno. Non si ama senza essere dono: donoconcreto di se stessi nella realtà di ogni giorno. E in ogni Eucaristia si celebra non solo il dono di Cristo, ma anche il dono del suo Corpo, che è la Chiesa. In questo Cristo totale che si offre al Padre, c’è la vita di ogni credente: una vita che deve essere donata in Lui e con Lui nello Spirito.
E in questo Giovedì santo, è giusto pregare intensamente per la Chiesa, povera e fragile, spesso screditata a torto o a ragione. UnaChiesa che Gesù ama così come è, chiamata a ricalcare le orme del Maestro e che, fino alla fine, attraverso il memoriale eucaristico, deve dire al mondo tutto l’amore di Gesù per ogni uomo.
PREGHIERA
Signore Gesù, Hai reso il corpo tuo e il tuo
avevi atteso tanto la cena, sangue cibo e bevanda di vita,
l’avevi preparato con cura per tutti, buoni e cattivi,
perché fosse folgorazione perché si amassero da fratelli.
d’amore per i tuoi amici. Aiutaci a ripetere con gioia
Li volevi puliti nel cuore e tutto quello che hai fatto tu:
nella pelle e li hai lavati lavare i piedi, perdonare,
tutti, anche Pietro, testardo, amare fino a dare la vita.
e chi aveva già tradito.
ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE
Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa
(Lett. 28 a Flaviano, 3-4; PL 54, 763-767)
Il mistero della nostra riconciliazione
Dalla Maestà divina fu assunta l'umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l'altro, ad essa soggetto.
Vera integra e perfetta fu la natura nella quale è nato da Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c'è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità.
Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall'uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe.
Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l'umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l'invisibile e mortale il creatore e il Signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell'uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l'unico e medesimo Salvatore.
Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e Signore dell'universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.
Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l'umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina.
Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l'uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l'altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l'umanità esegue ciò che è proprio della umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l'altra soggiace agli oltraggi che subisce. E, come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l'umanità non abbandona la natura propria della specie.
Non ci stancheremo di ripeterlo: L'unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell'uomo. E' Dio, perché «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). E' uomo, perché: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).
Ultimo aggiornamento (Lunedì 26 Marzo 2012 13:39)
V DOMENICA DI QUARESIMA.
V Domenica di Quaresima
Geremia 31,31-34. Salmo 50. Lettera Ebrei 5,7-9. Giovanni 12,20-33.
1 Lettura
- Chi apre il Cuore, significa che ha un grande desiderio di cambiamento e vuole relazionarsi con...
- In questo caso il profeta Geremia mostra una cosa molto importante: La nuova alleanza con il Signore.
- Non è la vecchia l’alleanza con il popolo Israelita, dove il Signore li fece uscire dalla schiavitù dall’Egitto e li face camminare verso la terra promessa.
- I padri hanno tradito l’alleanza e si sono fatti un altro dio, un idolo, fatto di oro fuso.
- Un dio che non parla, che non ascolta, non vede le loro necessità e i loro limiti.
- La cosa che mi fa impazzire è che quando siamo nel benessere non guardiamo e no ricordiamo Dio. Quindi ci allontaniamo da lui con le nostre mancanze, “ Chiamati peccato”.
- Ma quando ci troviamo nella difficoltà, allora sì che ci ricordiamo di Dio.
- Ma Dio è sempre presente in ogni circostanza della nostra vita.
- Egli è l’Acqua che irriga il nostro cuore, fa germogliare in noi il senso di vivere secondo le nostra necessità, si prende cura di noi, non ci abbandona.
- La nuova alleanza è che porrà la sua legge dentro il nostro essere, la scriverò sul loro cuore.
- Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
- Chi ama è spinto verso… è Dio che si muove prende per primo l’iniziativa, sì perché Lui “ è l’Amore” che si spinge verso coloro che egli ama: Noi.
- La legge è la regola della nostra vita, non possiamo vivere senza regole, vivremmo da dissoluti e regnerebbe il caos più assoluto.
- Come possiamo conoscere Dio?
- Sono le sue opere che lo fanno conoscere, noi che abbiamo avuto in dono la vita gli diamo testimonianza sia ai piccoli che al più grande. Così si fa conoscere Dio!
- Egli cancella dalla sua mente a dal suo cuore la nostra iniquità, e non ricorderà più nulla.
- Chi ama dimentica veramente le mancanze fatte, perdona, cioè da un dono all’altro: rivivere.
- Da tutto questo si evince che c’è una prefigurazione dell’Amore, cioè la nuova alleanza dove si suggella con il sangue di Cristo.
Salmo
- Nella pietà di Dio si sperimenta la gioia del suo amore perché si incarna ogni giorno nella nostra vita e nell’intimo del nostro cuore: Dio crea in noi un cuore puro.
2^ lettura
- Cristo offre come sacerdote, nei giorni della sua vita terrena, preghiere e suppliche, con nforti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo.
- Sì egli offre la sua vita, si abbandona alla volontà del Padre e da questa viene esaudito.
- Cristo si fida!
- Noi siamo capaci di fidarci?
- Pur essendo figlio, imparò l’obbedienza.
- Noi siamo capaci ad essere figli obbedienti?
- La sofferenza, il patire di Cristo ha fatto sì che noi avessimo il dono della salvezza eterna.
Vangelo
- Di fronte alla libertà dell’uomo, Gesù si ferma: il grande progetto di annuncio del Regno portato avanti con passione in tre anni si sta rivelando un fallimento.
- Che fare?
- No, non se l’aspettavano un maestro così, i greci.
- Forse si aspettavano un grande profeta o, meglio, un filosofo saggio disposto a condividere con loro la sua dottrina.
- Invece trovano un uomo turbato e dubbioso, che si vede in quell’interessamento da parte dei pagani una specie di segnale, un’intuizione della propria fine.
- A volte non capita anche a noi una cosa simile, sentire, intuire delle cose cha stanno per accadere?
- Tutto si sta compiendo, dunque, forse davvero sta per suonare l’ultima campana.
- Non è bastato quando detto, né i segni,né il volto svelato del Padre.
- Tutto inutile: l’uomo non sembra in grado di cambiare o meglio non vuole mettere la buona volontà di cambiare, preferisce tenersi un Dio severo e scostante, un Dio da servire con sfarzose cerimonie, processione etc. da poter corrompere con tutto ciò che non gli appartiene e non gli aggrada.
- Sotto le varie cerimonie con il fumo dell’incenso e i vari canti egli non è presente è presente l’uomo che ha bisogno di tutto questo per sentirsi a posto con la propria coscienza e si realizza in queste forme di esteriorità.
- Gesù si pone delle domande e nello stesso tempo c’è li poniamo anche noi.
- Che fare ora?
- Arrendersi?
- Lasciar perdere, sparire?
- Abbandonare l’uomo al suo destino?
- Una scelta finale è la sconfitta. Forse lasciarsi andare, forse consegnarsi, forse sparire, forse servirà a far capire che parlo sul serio. Forse. Sono tutti i forse di ogni uomo che entra nella dimensione della paura, dello sconforto.
- Gesù ha sperimentato per primo il forse del suo destino.
- Ma come esserne certi?
- È in gioco la libertà di ogni singolo uomo, non quella di Dio.
- Ma se il chicco di frumento non muore, non porta frutto.
- E allora?
- Gesù accetta, rischia, si dona.
- Egli andrà fino in fondo, anche a costo di essere uno dei dimenticati della Storia.
- Ma in tutto questo si evince che innanzitutto è la gloria di Dio e il bene dei fratelli.
- La croce è per Cristo un cammino e no una meta, essa è il vero volto di Cristo.
Ultimo aggiornamento (Lunedì 26 Marzo 2012 08:31)